Menis (Uil) boccia il Jobs Act. In Fvg i dati 2014 sono ancora più negativi.

jobs act 2

"Favorire i licenziamenti, non crea posti di lavoro", è quanto ha affermato il segretario generale della UIL del Friuli Venezia Giulia, Giacinto Menis, in occasione del seminario su contratto a tutele crescenti e nuovi ammortizzatori sociali tenutosi a Palmanova.

“Non basta il Jobs Act a trainare la ripresa - ha commentato Menis -. Non basta l’ennesima modifica del sistema di regole che investono il lavoro per creare crescita e nuove opportunità occupazionali. Servono invece concrete misure di contrasto alla crisi, fondate sul sostegno all’economia reale attraverso l’adozione di politiche industriali e piani di investimento capaci di rilanciare i nostri sistemi produttivi”.

Quella di Menis è un'esplicita bocciatura nei confronti del Jobs Act varato dal governo Renzi il 20 febbraio.

Il governo, che aveva annunciato il taglio delle tantissime formule di contratto esistenti, s’è per ora limitato a prospettare l’abolizione di due sole di queste (le associazioni in partecipazione ed il job sharing, praticamente introvabile).  

Per quanto riguarda il Friuli Venezia Giulia la situazione nell'anno appena passato continua ad essere nera: le ore di cassa integrazione autorizzata hanno quasi toccato la cifra dei 33 milioni (il numero più alto mai registrato in regione), in negativa controtendenza rispetto ai valori del resto del Nord-Est ed al dato medio italiano. Solo il Lazio è andato peggio.

L’estensione ai licenziamenti collettivi voluta dal governo Renzi delle nuove norme sui licenziamenti illegittimi di natura economica rischia ora di dare nuove occasioni per licenziamenti immotivati oppure discriminatori. Un altro pericolo è che le aziende non corrette sfruttino gli incentivi all'assunzione per operare licenziamenti senza motivo: la UIL avrebbe preferito, per questa ragione, alzare l'indennizzo in caso di licenziamenti individuali.

Secondo i dati presentati dalla UIL, in regione, da gennaio a settembre dello scorso anno l’81% dei nuovi contratti ha partorito altre forme instabili di lavoro, oltre a quelle che figurano nel novero di partite Iva e voucher.