L’Italia non corre più ma spopola fra i marosi

A meno di un anno dalle Olimpiadi di Rio, L'Italia dello sport ci offre uno spaccato che può applicarsi anche alla politica e all'economia nazionali. Nello stadio pechinese che nel 2012 vide gli inquietanti fasti del regìme comunista cinese, per la prima volta gli azzurri dell'atletica non hanno meritato lo straccio di una medaglia ai Mondiali.
Questo vuol dire che il Paese è fermo, non corre più. E' del tutto assente. Come l'economia che arranca e la politica che si sfregia con le baruffe interne. Ma fortunatamente ci sono altri due lati del problema. Noi che certo, fino all'avvento della Pellegrini e della tuffatrice Cagnotto, mai avevamo brillato per qualità natatorie, stavolta ai Mondiali di Kazan abbian fatto incetta di allori sia in piscina sia tra i marosi nelle prove chilometriche nei fiumi. Sport di fatica. Il che vuol dire che sappiamo imporci sacrifici per uscire dal tunnel della recessione.
Altra perla nel motociclismo: a Silverstone, in Inghilterra, una pista notoriamente 'indigesta' a Valentino Rossi, il 'professore intramontabile' non soltanto è salito sul gradino più alto del podio, ma è riuscito a portare accanto a sé due allievi, italiani pure loro. Una esaltante tripletta.
Merito della fantasia tattica di gara di Valentino, ennesima dimostrazione che la nostra gente sa inventarsi sempre qualcosa per ottenere il successo.
Eppure l'atletica ha brillato a Pechino, a cominciare dallo stratosferico Bolt. E i nostri? Comprimari mortificanti, che non ci han nemmeno provato a far qualcosa. C'è di peggio: in gran parte delle gare non c'era ai blocchi di partenza alcun italiano.
Eppure avevamo una grande tradizione, dai velocisti Berruti e Mennea ai fondisti Cova e Antibo, ai marciatori Pamich e Dordoni, ai maratoneti Damilano, Baldini e Bordin. A dire il vero, il campanello d'allarme era già suonato ai Giochi di Pechino 2012: la staffetta veloce 4 x 100 nemmeno in gara dopo che ai Mondiali di Helsinki avevamo conquistato l'argento.
La svolta si è avuta col sudtirolese Schwazer che con il doping fece precipitare il tricolore nella vergogna. E' da allora che si è spenta la luce.
Non è questione di tecnica e di impianti. Il fatto è che la fatica fa sempre più paura a certi italiani. Adesso quindi non ci sono più un movimento, una cultura, uno sforzo individuale e collettivo. E neppure tra gli extracomunitari sbarcati sulle nostre coste è ancora emerso un campione.

Marina Luciana bernes
Marina L.Bernes@alice.it