Anche nell’Islam qualcuno sostiene che affinchè le politiche arabe progrediscano, bisogna eliminare l’elemento religioso, ma purtroppo si tratta di una minoranza

Non sono certo ancora voci maggioritarie nell'Islam quelle che chiedono con forza che il potere politico e le istituzioni vengano liberate dalla pesante influenza della religione, anzi in molti paesi del nord Africa anche in quelli "moderati" il voto esprime una tendenza poco rassicurante. Tuttavia ci sono voci controcorrente  che esistono e che è giusto veicolare perchè queste posizioni possono nel tempo indicare una strada originale ai tanti fedeli di Allah che cercano di conciliare il loro credo religioso con le necessità registrate da una società moderna, anche se molti in occidente pensano si tratti di una battaglia persa. Fra queste voci c'è anche quella di Karim Barakat docente di filosofia presso l’Università Americana di Beirut che ha espresso le sue posizioni  anche sul giornale Al-Arabiy al-Jadeed. Purtroppo al pensiero di islamici come Karim Barakat si contrappone il pensiero dei partiti islamici che cercano di reintrodurre il controllo religioso sulle istituzioni. Basti pensare a quanto avvenuto in Egitto o anche in Stati che nel tempo si erano faticosamente smarcati da una certa oppressione ideologica, come la Turchia che vede una involuzione del pensiero ed un ritorno alle logiche islamiche. Emblematico è oggi anche il caso del Marocco dove è stato un trionfo alle elezioni amministrative per il partito islamista del primo ministro Abdelilah Benkirane, anche se al momento questo partito non caratterizza la sua azione sulle questioni religiose, come avvenne per esempio in Egitto con Morsi, ma si è concentrato nella lotta alla corruzione e alla disoccupazione. Il Pjd (partito islamista) ha superato così la prova di queste elezioni, vissute dagli osservatori come un anticipo delle politiche dell'anno prossimo, quando, in caso di vittoria, potrebbe mostrare il vero volto, o almeno così temono in molti. Tornando al professor Karim Barakat scrive pochigiorni fa su Al-Arabiy: “Le narrative religiose (considerate di emanazione divina) non hanno smesso di influenzare il corso della politica araba. Questo concetto è stato chiarito soprattutto negli ultimi decenni, con la rinascita dell'islamismo. Ma quando più di un attore politico inizia a promuovere questa o quella versione della fine del mondo, ci si chiede come questo possa tradursi in realtà nella politica. La fede nell’escatologia – cioè credere che una serie di eventi tragici porteranno alla fine del mondo – ha iniziato a occupare un ruolo fondamentale nel processo politico e decisionale di oggi. Tuttavia, questo fenomeno non è nuovo, né per la politica né per la regione. Nella storia, questa fede ha giocato un ruolo chiave nel motivare le scelte politiche che hanno accentuato la spaccatura tra musulmani sunniti e sciiti. Nell’Europa medievale, l’escatologia ha alimentato dibattiti e conflitti, ma il continente è riuscito a deviare da queste convinzioni con l’introduzione di idee politiche alternative, come quelle di Machiavelli e Hobbes, aprendo la strada alla sfera della politica indipendente. La politica non era più concepita per prepararsi al Giorno del Giudizio, portando invece avanti le idee di Stato e di diritti dei cittadini. Come applicare una transizione simile all’interno delle politiche arabe e islamiche? È possibile capire la politica in termini di diritti in opposizione alle dottrine religiose? Hezbollah ha fatto progressi in questo senso con l’adozione di obiettivi non settari. Dal 2006, infatti, il movimento ha adottato politiche che non sono né limitate ai musulmani sciiti, né coinvolgono solo loro. Posizioni simili sono state notate in Iran, dove la politica ha iniziato a muoversi su un terreno più diplomatico, non esclusivamente legato alle dottrine dell’islam sciita. I movimenti sunniti, invece, non hanno adottato posizioni simili. Dalla parte dei moderati, la Fratellanza Musulmana in Egitto, per esempio, ha intensificato la sua retorica religiosa dopo l’elezione di Mohammed Morsi come presidente, nel 2012, e ha continuato a farlo anche dopo la sua deposizione. Agli estremi, invece, Al-Qaeda e Daesh (ISIS) sono del tutto devoti all’escatologia politica. La fedeltà assicurata da Ayman al-Zawahiri a Mullah Akhtar Mansour, il nuovo leader talebano, è indicativo del continuo tentativo di ristabilire il califfato musulmano. Daesh, che ha già proclamato il suo califfato, aspetta che si avverino le profezie sulla battaglia finale che verrà il trionfo dei veri credenti e che aprirà la strada alla fine del mondo. La diffusione di Daesh e di altri movimenti fondamentalisti violenti ha fatto sì che i regimi secolari perdessero la loro influenza. E quando nel processo decisionale non ci si preoccupa del benessere dei cittadini, non dovrebbe sorprendere che la violenza diventi la risposta. Questo accade quando la propria causa diventa sacra, mentre le altre vengono demonizzate. L’avvento di Daesh, dunque, è il prodotto del vuoto creato da una mancanza di ragione politica e di secolarismo. Finché lo Stato non sarà capace di sviluppare la propria sfera di razionalità politica, non influenzata dalla religione, produrrà solo modelli di tirannia religiosa. Un problema grave, soprattutto se si tiene in conto la totale assenza di una qualsiasi infrastruttura sulla quale costruire questa coscienza politica”.

Per leggere l'articolo originale di Karim Barakat Clicca qui