Usa-Israele ex amanti, l’Iran terzo incomodo

Amore sì, ma con tante scintille. Settant’anni punteggiati di dissensi, ma sempre annacquati dagli interessi comuni in una relazione tutta speciale. Però adesso la ‘liaison’ tra Israele e gli Usa, alla vigilia delle elezioni politiche del 17 marzo in cui il Premier Benjamin Netanyahu si gioca il terzo mandato consecutivo, è punteggiata di sgarbi e sospetti. Si sa da tempo che tra il leader di Gerusalemme e Obama non corre certo un filone di simpatia, più che mai in questo momento che Netanyahu è negli States non su invito del Governo, ma dei repubblicani, suoi avversari storici e adesso in maggioranza in entrambi i rami del Congresso. La disistima reciproca tra i capi di Washington e di Israele è dimostrata dal fatto che Barack sta facendo il vuoto attorno all’ospite: infatti non lo incontrerà né lui né il suo vice Biden, né il segretario di Stato Kerry. Ammaccatura nel cerimoniale, ma soprattutto un grosso problema politico dato il sospetto israeliano sul tentativo americano di agganciare l’ex nemico Iran (fin dai tempi di Khomeini, per non parlare di Ahmadinejad) sia sul nucleare sia sul ruolo-chiave che Obama vorrebbe attribuire a Teheran in questo momento di disfacimento della galassia sunnita in Medio Oriente. L’offensiva anti-Isis a Tikrit, la città di Saddam, sta sviluppandosi grazie all’aiuto dell’Iran. Ma sui problemi dell’atomica e del terrorismo Israele non è certo favorevole alla svolta Usa. Infatti dice: “Per Washington è questione di sicurezza, per noi addirittura di sopravvivenza”. Netanyahu afferma stizzito che gli States non possono trattare il suo Paese come ‘vassallo’, quasi una ‘Repubblica delle banane’. Ma questo avrebbero potuto dirlo sia Ben Gurion, sia Golda Meir, sia Yitzhak Shamir. L’amore Usa-Israele è di lunga data: quando nel 1948 l’Onu fece nascere lo Stato ebraico, Washington fu la prima a riconoscerlo. Dopo soltanto 11 secondi! Però quello attuale non è certo l’incidente diplomatico più clamoroso tra i due Stati. Ricordiamo per esempio la reazione di Bush padre quando gli Usa chiesero di bloccare la costruzione delle colonie ebree in Cisgiordania. Shamir mise sul tavolo il fatto che al partito del leader repubblicano del Texas erano necessari i voti della potente lobby sionista in America. Il segretario di Stato James Baker anticipò Grillo e Salvini con un poco diplomatico “Vaffa”. Mal gliene incolse poiché nelle successive elezioni presidenziali l’appoggio degli ebrei ai democratici portò alla Casa Bianca Bill Clinton. Poi tutto si aggiustò come quando tra innamorati si riesce a perdonare la scappatella del partner. Ma stavolta i sospetti hanno allargato il solco tra i due Paesi, mai così distanti per la presenza di un terzo (pericoloso) incomodo, appunto l’Iran.

Augusto Dell’Angelo

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