Strategia della tensione, il buco nero parte dal nordest, fra depistaggi e sottovalutazioni. A Udine nel 2010 tritolo venne trovato nella sede del Msi: perchè fatto brillare in tutta fretta?

“Il destino della nostra comunità non può essere preda dell’odio e della violenza. Per nessuna ragione la vita di una sola persona può essere messa in gioco per un perverso disegno di carattere eversivo”. Nel cinquantesimo anniversario della strage di Piazza Fontana, così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto alla seduta straordinaria del Consiglio a Palazzo Marino a Milano, alla presenza dei parenti delle vittime della bomba alla Banca nazionale dell’Agricoltura. Un discorso molto simile a quelli commemorativi che in passato sono stati pronunciati per commemorare questa come altri stragi, ma in questa occasione Sergio Mattarella è andato oltre quando ha pronunciato parole che prima di lui altri rappresentanti dello Stato avrebbero dovuto esprimere: “L’identità della Repubblica è segnata dai morti e dai feriti della Banca Nazionale dell’Agricoltura”, l’attentato del 12 dicembre 1969 è stato “un attacco forsennato contro la nostra convivenza civile” e “uno strappo lacerante” per un’intera nazione vittima del disegno della “strategia della tensione”. “Quella stagione fu specchio dell’anima, della sofferenza del nostro popolo, chiamato a rafforzare una fedeltà laica e civile ai valori della Costituzione: il patto di cittadinanza - basato su principi fondativi, ideali civili, storia plurale ma comune - lasciatoci in eredità dalla Lotta di Liberazione”. “Una fedeltà chiesta anzitutto ai servitori dello Stato: uomini degli apparati di sicurezza, Forze Armate, Magistratura, incaricati dalla comunità di vegliare sulla serenità del vivere civile. Non si serve lo Stato se non si serve la Repubblica e, con essa, la democrazia. L’attività depistatoria di una parte di strutture dello Stato è stata, quindi, doppiamente colpevole – ha detto Mattarella - Un cinico disegno, nutrito di collegamenti internazionali a reti eversive, mirante a destabilizzare la giovane democrazia italiana, a vent’anni dall’entrata in vigore della sua Costituzione. Disegno che venne sconfitto”. Parole forti ma tardive, non certo per responsabilità dell'attuale presidente perchè se quel disegno golpista venne sconfitto lo furono per la reazione popolare e non certo per le attività giudiziarie o d'indagine, perchè in realtà le attività golpistiche che animavano quella stagione erano individuabili ed individuate ma non trovarono lo Stato davvero pronto a reagire e non trovarono compimento nella giustizia. Un attività depistatoria pianificata che è proseguita nel tempo fino ad anni più recenti, nella migliore delle ipotesi per sottovalutazione e insipenza. Vogliamo ricordare un fatto “minore” ma la cui sottovalutazione, forse non inseribile in un disegno, ma semplicemente dovuta a voglia di non cercare rogne e scansare la fatica di indagini in stile delitti irrisolti del passato che quando sono “politici” sono pericolosi per investigatori e Pm che preferiscono magari indirizzare gli sforzi per “cold case” di cronaca nera come quelli sul cosiddetto “mostro di Udine” per fare un esempio, che forniscono belle paginate sui quotidiani locali, anche se alla fine si stringerà solo un pugno di mosche. Il fatto di cui parliamo, il ritrovamento di esplosivo nella vecchia sede del Msi di Udine, che trovo all'epoca, era l'aprile del 2010 ben poca eco sulla stampa e nessuna indagine seria, poteva certamente essere in continuità con le dinamiche della strategia della tensione perchè l'esplosivo, come il dna delle persone, può raccontare molto, ma non se viene fatto brillare in fretta e furia. Eppure alcuni personaggi che avevano frequentato quella sede di via Vittorio Veneto avevano conoscenze riconducibili alla strage di Peteano e magari, indirettamente, a quella di piazza Fontana, di Brescia, alle stragi sui treni e perfino a quella alla stazione di Bologna. Conoscenze di persone e movimenti neo-fascisti più volte ricostruiti ma che, evidentemente, non vennero considerati un collegamento plausibile fra quel tritolo murato in una intercapedine di una architrave nella sede del Movimento Sociale Italiano. Oggi sappiamo come il nordest, Friuli compreso fosse il terreno di coltura di quella ideologia nefasta che attinse perfino ad una presunta volontà patriottica contro il pericolo invasione sovietica, forse autentica per qualcuno, ma profondamente strumentale per altri, che ruotava intorno al fenomeno Gladio.

Ma torniamo all'aprile 2010, il 20 Aprile quando si venne a sapere che un arsenale era stato trovato nell'edificio dove c'era la sede udinese del Msi. Esplosivi e parti di armi erano rimaste nascosti sotto quelle travi per decenni in parte custoditi dentro una scatola di metallo per biscotti che riportava la data del 1947 che non vuol dire ovviamente che quella era la data nella quale erano stati nascosti gli ordigni. 1,2 Chili di tritolo, bombe a mano e addirittura una mina antiuomo. Quasi tutti i giornali locali si guardarono bene da mettere in correlazione quei ritrovamenti sulle possibili attività eversive e puntarono invece sul fatto che quegli esplosivi, evidentemente giunti magicamente in quel luogo, in caso di detonazione sarebbero stati capaci di mandare all'aria il palazzo di via Vittorio Veneto con le conseguenze prevedibili del caso. Sembrava che il fatto che quei locali fossero stati per decenni la sede storica del Msi di Giorgio Almirante fosse un caso, esattamente come casuale era stata la scoperta dell'arsenale. Infatti erano stati gli operai della ditta incaricata della ristrutturazione dell'edificio a notare la presenza di una nicchia celata sopra un architrave, spazio nel quel era contenuto al riparo da occhi indiscreti la scatola metallica con il tritolo e il resto del materiale bellico. Dal verbale dei carabinieri emerse che si trattava di 1,2 chili di tritolo in dodici candelotti da cento grammi l'uno, una bomba a mano Srcm, un altra di fabbricazione inglese N36, un otturatore per fucile Mauser modello K98, un caricatore vuoto per pistola Beretta modello 34, una mina antiuomo a paletto con accenditore, un corpo centrale di una bomba da aereo americana a frammentazione da 14 libbre, cinque metri di miccia detonante. Nessuno, almeno ufficialmente sembra essersi posto con serietà il quesito non solo su chi avesse nascosto il piccolo kit terroristico e come mai nessuno l'avesse recuperato prima dell'abbandono delle sede. Ovviamente più di qualcuno doveva sapere perchè la chiusura dell'intercapedine con mattoni e cemento non doveva essere attività frequente in una sede di partito. In ogni caso anche se il soggetto fosse stato uno il fatto era inquietante e qualche indagine sarebbe stata opportuna. Lo chiesi allora, come capo redattore di EpolisFriuli, ai carabinieri soprattutto quando venimmo a sapere che

il materiale esplosivo, posto sotto sequestro e in un primo momento messo in sicurezza in un deposito, era stato fatto brillare in fretta e furia, senza alcuna analisi particolare. Lo chiedemmo, facendo riferimento al tritolo usato per le stragi al capitano allora titolare delle “indagini”, che in maniera sbrigativa e quasi infastidita, ci disse che non vi era nulla su cui indagare. Forse era così, ma vale la pena ricordare che così come nelle indagini di mafia occorre seguire la pista del denaro, in quelle di terrorismo è la pista degli esplosivi e delle armi, a poter fornire elementi utili. A patto ovviamente che le indagini si vogliano fare.

Fabio Folisi