Scafisti orribili “Caronte” del terzo millennio, ma i colpevoli di omicidio colposo sono nei palazzi delle capitali Europee

Tragedia del peschereccio Adriana naufragato mercoledì al largo della penisola del Peloponneso. La dinamica è chiara, come del resto era chiara anche a Cutro. Se non in maniera volontaria, in maniera certamente colposa si è deciso che fossero naufraghi di serie b per i quali il soccorso, se non opzionale, è comunque una rogna che si spera di passare da un paese all’altro. I governi e le disposizione dette e non dette alle loro strutture di soccorso in mare tendono a ridurre l’impatto dei flussi migratori utilizzando miserabili ostruzionismi e scarichi di responsabilità. Eppure basta un’occhiata alla foto del peschereccio Adriana, per capire che non si può sostenere che su quella imbarcazione non vi fosse una drammatica emergenza. Lo sapevano ad Atene, lo sapevano a Roma, lo sapevano a Bruxelles. Il copione successivo è sempre lo stesso. Centinaia di morti annegati, senza nomi e senza corpi, scambio di accuse e poi, via, tutti a stracciarsi le vesti con l’ipocrisia di Governi e Europa che si trovano concordi in attesa che cali l’attenzione mediatica con l’ennesimo, vuoto e ipocrita “mai più”. Attenzione mediatica che certamente calerà fino al prossimo naufragio con annessa omissione di soccorso. Così la cronaca ci racconta che Atene chiede l’assistenza di Europol per le indagini e si chiude la ricerca di improbabili sopravvissuti, già improbabili a qualche ora dall’evento, immaginarsi dopo giorni. L’inchiesta, altro copione comune nella narrazione dei governi, sia esso quello Meloni che quello greco, è incentrato sugli scafisti, i novelli “Caronte” traghettatori diabolici che, esattamente come il loro mitologico predecessore che trasportava le anime dei morti da una riva all’altra, diventava viaggio della speranza solo se i viaggiatori nell’ade disponevano di un obolo per pagare il viaggio. Chi non aveva moneta era costretto a stare in eterno senza pace tra “le nebbie del bosco silente, nel vestibolo” o come oggi nella stiva sommersa di un natante in fondo al mare. Del resto siamo nel solco della tesi “Piantedosi” sulle responsabilità di chi si prende in maniera incosciente i rischi di morte e soprattutto su quelli della lotta agli scafisti da ricercare nell’intero globo terracqueo. Oggi nel mirino della Grecia ci sono nove presunti scafisti sopravvissuti, tutti egiziani di età compresa fra i 20 e i 40 anni. Certamente brutta gente ma che non possono essere gli unici responsabili di quanto avvenuto, perché i mandanti in realtà oltre che nei paesi di origine dei malcapitati profughi e migranti sono nei palazzi del potere delle capitali europee, nessuna esclusa. Ma alla politica Ue basterà additare quei trafficanti che sono stati indicati come membri dell’equipaggio da altri sopravvissuti. Tutti sono accusati di omicidio colposo, traffico di esseri umani e di fare parte di una organizzazione criminale, una struttura che ha organizzato 18 passaggi pericolosi dalla costa libica all’Italia negli ultimi mesi. Del resto la dinamica è sempre la stessa, tutti i profughi a bordo avevano versato fra i 5mila e i 6mila euro per il passaggio e qualcuno aveva anche pagato bonus aggiuntivi all’equipaggio per un posto al sole, per evitare cioè di essere rinchiusi nel soffocante buio della stiva un inferno destinato soprattutto a donne e bambini. Così mentre siamo in piena farsa tragica, la Open Arms fa sapere di aver localizzato un’imbarcazione di legno in acque internazionali con a bordo 117 persone che sono state tratte in salvo. Tra i naufraghi ci sono 25 donne, 31 minori e un bimbo di 3 anni. L’operazione è scattata dopo molte ore di ricerca, a seguito della richiesta di aiuto arrivata dall’imbarcazione che era alla deriva in acque internazionali. «Loro potranno vivere e avere un futuro – scrive Open Arms su Twitter – Abbiamo compiuto la nostra missione: proteggere la vita e difendere i diritti di ciascun essere umano». «L’imbarcazione in legno e con doppio fondo, era partita da Sabrata alle 3 del mattino e viaggiava sovraccarica e in condizioni precarie – fa sapere la ong – Le persone soccorse provengono in prevalenza da Eritrea, Sudan e Libia». «Tutte le autorità competenti erano state tempestivamente avvisate – prosegue la nota – ma non avendo ricevuto alcuna risposta, la nostra imbarcazione ha iniziato la ricerca e ha effettuato il soccorso, così come previsto dalle normative internazionali. In questo momento le persone sono tutte a bordo della nostra nave, dove il nostro team medico sta effettuando le prime valutazioni sulle loro condizioni di salute». Vedremo se partirà l’ennesimo rimpallo su dove far sbarcare questi sopravvissuti in attesa che qualche altro natante sia meno fortunato e non incontri una Ong.