Ridimensionato Erdogan, “no” alla deriva autoritaria i turchi vogliono democrazia

Era un voto storico, quasi fatale, quello turco. Infatti il Paese doveva uscire da un bivio: ha scelto di continuare nel sogno democratico dei moti di Gezi Park nel 2013 e di non consentire al 'sultano' Recep Tayyp Erdogan di fare ancora come vuole. Una sovranità quasi assoluta da 13 anni, da quando è Presidente. Anzi peggio, perché la sua ambizione dichiarata era una maggioranza talmente ampia da garantirgli il passaggio a una Repubblica presidenziale, con poteri illimitati. Una dittatura personale.
Era un vero e proprio referendum pro o contro Erdogan e lui l'ha perso. L'esito del voto nel 'gigante musulmano' fa felici l'Ue che lo considera sicura frontiera contro il radicalismo islamico (ma lo è?), l'Italia che ha laggiù mille aziende ben radicate e anche il mondo arabo moderato che specchia nelle acque del Bosforo le speranze di un salutare contagio democratico.
In 13 anni il grintoso e carismatico leader ha rivoltato il suo Paese ergendosi a bandiera contro il fondamentalismo laico di Ataturk e si è proposto (l'aveva fatto anche Mussolini…) come 'uomo della provvidenza'. Ha vinto la battaglia economica facendo della Turchia uno Stato in pieno sviluppo. Ma la sua smania di potere (contestata anche da alcune frange del suo partito) l'ha portato ad avvitarsi su se stesso e a chiedere appunto di cambiare la Costituzione a suo piacimento (e utilità).
Per ottenerlo, gli erano necessari 330 seggi, maggioranza assoluta. Con quella semplice gli è invece d'obbligo venire a patti con gli altri partiti per formare il Governo. Un'elezione, quindi, con la matematica a decidere il futuro del Paese. E del suo leader.
C'era anche la novità dell'Hdp, il 'Podemos' curdo, intenzionato a rompere le uova nel paniere di Erdogan. Era costretto però a superare l'alta soglia di sbarramento (10%) per poter entrare nell'Assemblea nazionale. Ce l'ha fatta ed è una vera primizia in riva al Bosforo.
La sua linea anti-Presidente è stata concentrata anche sulla politica estera. Ankara ha infatti adesso pessimi rapporti con tutti i Paesi arabi, in particolare con l'Egitto. Guarda con tolleranza l'Isis, lo Stato islamico di Al Baghdadi, sostiene i rivoltosi in Libia, è contro Israele. E irrita spesso anche gli alleati occidentali. In più odia i giornalisti, che vorrebbe condannare all'ergastolo se osano criticarlo.
Augusto Dell’Angelo