Prosegue il braccio di ferro tra Atene e Berlino, pardon Bruxelles

La crisi della Grecia sta sollevando concrete paure tra i vertici di Bruxelles, timorosi degli effetti (disastrosi) di un possibile contagio nel caso di una fuoriuscita dell'euro da parte della Grecia.

Atene dichiara di voler evitare a tutti i costi un default e che una intesa "che sarà raggiunta molto presto". A gettare acqua sul fuoco la Bce: "In assenza di un accordo rapido si potrebbero materializzare i rischi di un aggiustamento al rialzo dei premi sul rischio dei paesi dell'eurozona più vulnerabili". E' l'allarme che lancia la Bce nel Financial Stability Review, che, quasi banalmente, sottolinea: "la lunghezza e l'incertezza delle trattative portano estrema volatilità nella Borsa greca".

Forte di questa situazione, il ministro delle finanze Yanis Varoufakis si diverte a fare la parte di Davide contro Golia e, dinanzi al suo Parlamento dichiara: "Il governo greco vuole la ristrutturazione (cioè riduzione) del debito".

In realtà l'esito dello scontro tra Atene e Bruxelles è tuttaltro che scontato, per cui prima di pensare a stappare le bottiglie, Tsipras e soci devono fare molta attenzione. Il corteo dei detrattori è molto numeroso e influente, quasi quanto quello di coloro che si stanno adoperando per evitare il default greco. Berlino, in particolare, non nasconde affatto il proprio scetticismo e chiede il pieno rispetto del programma di riforme proposto, ma mai formalmente sottoscritto dalle parti.

Nel frattempo la data del prossimo rimborso al Fmi (300 milioni di euro entro il 5 giugno) si avvicina inesorabile, entro tale data le decisioni devono essere prese. Qualunque esse siano.

A meno di un ulteriore gioco di prestigio della diplomazia e della politica, che renderebbe lo stallo attuale ancora più difficile e costoso da sciogliere.