MEDIO ORIENTE ANALISI: Arabia Saudita: le incognite della pericolosa successione dopo la morte di Abdullah

L'Arabia Saudita piange il suo leader e la successione, vista l'età di 90 anni suonati, era preparata da tempo in famiglia, ogni clan ha dato battaglia per vincere. Insomma ufficialmente, tutto sarebbe in ordine. Ma il condizionale è d'obbligo. Come previsto, il fratellastro di Abdullah bin Abdulaziz al-Saud, il principe Salman (79 anni) quindi ha ereditato il potere. Questo era previsto visto che in Arabia Saudita, come in altri regni del Golfo, la successione è organizzata principalmente all'interno della famiglia, con i fratelli in prima istanza, prima di passare ai discendenti diretti. Una differenza rispetto alle monarchie occidentali. Ma la situazione si complica per il primo atto ufficiale del nuovo monarca che è stato quello di nominare suo fratello Moqren, 68 anni, "principe ereditario". Come il defunto Abdullah, Salman e Moqren sono tra i tanti, figli di Abdelaziz al-Saud, padre fondatore dell'Arabia Saudita. Considerato l'anello più debole della famiglia, il principe Moqren era stato nominato secondo vice primo ministro, una posizione tradizionalmente occupata dall'erede al trono. Risultato di complessi negoziati all'interno della famiglia di Saud, questa azione ha dovuto calmare le rivalità familiari, per adesso Moqren ha vinto la sua battaglia visto che potrebbe un giorno ereditare il regno, ma la sua nomina come "principe ereditario" lascia anche aperta la possibilità di intense battaglie all'interno del governo saudita nei prossimi mesi e anni. Prima di prendere la successione Abdullah, il principe Salman e suo figlio infatti, erano riusciti a sloggiare il Vice-Ministro della Difesa figlio principe ereditario Sultan, l'ex principe erede al trono. Una posizione strategica per il medio termine, sostenuta dal re. A seguito di una lunga lotta, re Abdullah era, nel frattempo, riuscito a nominare un suo figlio, come ministro di Stato, cosa che ha permesso l “rampollo” l'accesso ad informazioni di prima mano sullo stato e sulle politiche del paese. Insomma anche se superficialmnete, tutto sembra andare bene nel regno dei Saud, nulla sarà come prima. La fine del regno di Abdullah segna il passaggio da un tempo relativamente pacifico ad una possibile tumultuosa ricomposizione degli assetti del Medio Oriente. Fatto che preoccupa non poco Barack Obama che si è subito lanciato in un appassionato ricordo del defunto monarca in funzione di stabilizzazione della posizione del nuovo, nella speranza cioè che non cambi nulla. Speranza che gli analisti pensano essere vana. Infatti tutto lascia pensare che quello di Abdullah possa essere l'ultimo regnante di un Arabia Saudita sotto la protezione del patto con gli Stati Uniti in cambia dell'accesso privilegiato alle risorse petrolifere del maggiore produttore del mondo. Invece l'alleanza con gli Usa vacilla da tempo per la volontà di Washington di raggiungere un accordo sul nucleare iraniano e avvicinandosi così al principale rivale dell'Arabia Saudita nella regione. In segno di protesta, a metà ottobre del 2013, l'Arabia Saudita aveva annunciato il suo rifiuto di far parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Una decisione simbolica da Ryadh ufficialmente per protestare contro il fallimento della comunità internazionale nel porre fine alla guerra in Siria per esprimere preoccupazione disappunto per il riavvicinamento di Washington con Teheran. Sullo sfondo resta comunque la questione siriana, dove l'Arabia Saudita sostiene varie fazioni per combattere sia il regime siriano di Assad che lo Stato islamico. Si tratta di una lotta su due tavoli da una parte in funzione anti Iran che invece fornisce un forte sostegno al regime siriano, ma dall'altra Riyadh partecipa alla coalizione internazionale nella lotta contro il califfato, insieme agli Stati Uniti e paradossalmente anche all'Iran. Ma la questione iraniana non è l'unico motivo per il nuovo attivismo internazionale del regime saudita, infatti dallo scoppio delle rivoluzioni arabe del 2011, l'Arabia Saudita si è spostata da una strategia di influenza ad una strategia di potere. Per vent'anni, l'Arabia si basava principalmente sulle reti clientelari culturali in tutto il mondo, compresi i centri di assistenza e le associazioni islamiche in Indonesia e nel mondo arabo che trasmettono il pensiero dell'Islam fondamentalista, ora invece è passata alla azione diretta, prima del 2011, l'Arabia Saudita non aveva mai inviato proprie truppe all'estero, a differenza degli Emirati Arabi Uniti. Ed invece, ad esempio, truppe saudite sono intervenute in Bahrain nel 2011 per la repressione dei manifestanti . Insomma il regime saudita si è convinto negli ultimi anni che la politica di "status quo" per mantenere una sfera di influenza ai suoi confini e preservare la natura del proprio regime non è più appropriata. Di fronte al ravvicinamento del suo vecchio nemico Iraniano agli Usa Riyadh non esclude più alcuna opzione, compresa quella militare in un paese straniero quando decide che questo è coerente con i propri interessi. Insomma in quattro anni, l'ora defunto Abdullah ha dovuto avviare un completo cambiamento della sua dottrina strategica ed il nuovo monarca sarà certamente prosecutore di questa politica interventista con il ritorno alla ribalta dell'Arabia Saudita come uno dei principali attori politici-finanziari in Medio Oriente, in grado di compensare con le proiprie immani risorse perfino il congelamento degli aiuti degli Stati Uniti al Cairo e convincere i Paesi del Golfo a sposare le proprie opinioni di politica estera. Non è passato inosservato agli analisti infatti, che nell'estate del 2013, dopo il colpo di stato in Egitto del generale Sissi, per tutelare i propri interessi relativi al Canale di Suez l'Arabia Saudita ha speso 5 miliardi di dollari di cui 2 di depositi senza interessi ed in prodotti petroliferi. E quando Cairo deve pagare di nuovo a metà del 2013 4 miliardi di prestito al Qatar, Riyadh convince gli Emirati Arabi Uniti a "comprare" questo debito, pagando lo stesso importo in sostegno all'Egitto per coprire il rimborso. Inoltre sempre sotto l'influenza saudita il conto finale di 12 miliardi dollari arrivano all'Egitto. Ma non solo la politica neo interventista saudita innervosisce gli Usa, all'inizio dell'anno infatti anche la questione del rapporto di prezzo-produzione dell'oro i nero è diventato grande fonte di controversia tra Riyadh e Washington. Ma è anche sul fronte interno che il nuovo monarca dovrà affrontate alcune complessità. Dal 2005, il re Abdullah aveva cercato di introdurre diverse misure considerate "progressiste", come ad esempio l'introduzione di elezioni comunali, aperte alle donne, che ancora però non godono neppure lontanamente di diritti e libertà, come quello banale di poter guidare un auto. In termini di libertà civili, l'Arabia Saudita è ancora considerato uno dei peggiori regimi del mondo, anche se per convenienza l'occidente, ha stigmatizzato quanto avveniva in altri Paesi islamici (esempio l'Afghanistan talebano) ma ha soprasseduto sulle nefandezze del proprio ricco alleato medio orientale. Non vorremmo essere facili profeti ma se continua il deterioramento dei rapporti fra Washington e Riyadh presto avremmo delle grandi campagne contro le potiche segregazioniste saudite, perrchè certe cose si possno tollerare da un facoltoso socio in affari, ma se questo si sfila allora è un altro paio di maniche. Eppuyre non è che la situazione a Riyadh non fosse nota , secondo Amnesty International, ad esempio a Riyadh si è praticato il più alto numero di esecuzioni capiatali al mondo nel 2014, dietro l'Iran e l'Iraq. Almeno 87 condannati a morte sono stati giustiziati solo lo scorso anno. Tanti i reati puniti con la morte, la rapina a mano armata, lo stupro, l' omicidio, apostasia e il traffico di droga. Le decapitazioni sono il metodo più comune per effettuare le esecuzioni. Ma c'è anche un problema di libertà d'espressione, dal 2012 è imprigionato il blogger Raif Badawi che esprimeva semplice volontà di libertà e democrazia è stato condannato a dieci anni di carcere e 1000 frustate, che gli vengono inferte a rate, un tanto a settimana durante il venerdì di preghiera. Da questo punto di vista difficile che si cambi qualcosa, la giustizia saudita è ampiamente monopolizzata dagli Ulema e dalla religione, del resto la dinastia Saud trae la propria legittimità proprio da una presunta investitura divina. Indipendenti al punto di vista istituzionale, gli Ulema sono dal XVII i più fedeli alleati della dinastia. Alleati di sistema fondamentali per la sostenibilità della teocrazia tanto che gli Ulema prestano il loro sostegno ai reali dandogli la continua legittimità di cui hanno bisogno, fino a mettersi in gioco per controllare non solo lo spazio religioso ma anche quello legale, ed economico attraverso la partecipazione al capitale in molte aziende saudite. Questa sovrapposizione fra potere religioso e temporale ha portato ad un sistema medievale di gestione del potere. Ma ciò non impedisce l'Arabia Saudita di astringere alleanze con i Paesi occidentali, compresi quelli europei.