La svolta anti Isis dell’Arabia Saudita diventa concreta, arrestati oltre 400 presunti jihadisti

Non c'è andato con la mano leggera Re Salman di Arabia Saudita, ha usato il pugno di ferro per cercare di sradicare i jihadisti dal suo paese, sembra una contraddizione dato che proprio sauditi fossero grandi finanziamenti anche in un passato recente alle organizzazioni terroristiche. Ora, dopo che la Stessa Arabia Saudita è stata oggetto delle attenzioni dell'Isis il cambio di rotta, nnunciato da mesi ma che si è tradotto nella maggiore operazione anti-Isis finora avvenuta nel regno, sono stati infatti arrestati 431 militanti islamici di 9 nazionalità diverse.
La retata è stata segnata da aspri scontri con un bilancio pesante non solo fra i terroristi ma anche fra le forze di sicurezza. La serie di blitz, avvenuti in più città, ha causato infatti la morte di 6 terroristi e 37 militari e civili sauditi con almeno 120 feriti. Riad afferma di aver sventato “attentati di grandi dimensioni” contro sedi diplomatiche straniere, leader di primo piano della sicurezza saudita e moschee nell’Est del regno simili a quelle già colpite da terroristi dello Stato Islamico. Sono 190 gli arrestati accusati di aver partecipato agli attentati anti-sciiti, in maggio contro la moschea di al-Qadeeh, costati 20 vittime. “Chi sostiene Isis vuole creare il caos in Arabia Saudita ed è un nostro nemico”, ha affermato il generale Mansour Turki, portavoce del ministero degli Interni, imputando agli arrestati “il progetto di ricreare qui la stessa situazione in cui si trovano Siria, Iraq e Libia” ovvero precipitare il Paese in disordini e guerra civile. In effetti gran parte degli arrestati sono sauditi ma altri sono cittadini di Yemen, Egitto, Siria, Giordania, Algeria, Nigeria e altri Paesi. Soggetti che operavano in cellule “ognuna delle quali rispondeva a ordini in arrivo da fuori e svolgeva una mansione particolare”. Insomma lo schema consolidato del terrorismo islamista, soggetti attivi singolarmente o in piccoli gruppi senza essere in contatto con le altre cellule. Si studiavano obiettivi, si faveva proselitismo, ma soprattutto si pianificavano attacchi, acquistavano armi, costruivano esplosivi. Alcune attività erano logistiche, si preparavano rifugi e trasporti per realizzare attacchi suicidi. Fra i 431 arrestati, almeno 144 erano impegnati in attività sui social network come reclutare nuovi seguaci e diffondere l’ideologia jihadista del Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi. Anche il Gran Muftì dell’Arabia Saudita Sheikh Abdul-Aziz la più alta carica religiosa del paese, non molto tempo si era espresso duramente nei confronti dei gruppi terroristici islamisti: “L’estremismo islamico – aveva detto – non fa in alcun modo parte dell’Islam, ma è il suo nemico numero uno e i musulmani le sue vittime”. Fin qui solo la cronaca odierna, ma in realtà il cambio di rotta, al di là delle azioni antiterrorismo avranno un impatto geopolitico notevole. Il fatto che le potenze del Golfo Persico abbiano preso le distanze da Isis e Al-Qaeda non solo a parale condannando la violenza con la quale i due gruppi terroristici stanno portando avanti le loro battaglie è un segnale di svolta preciso in quanto questa inversione di marcia potrebbe causare problemi economici alle due organizzazioni, dato che l’attacco arriva da quelli che sono ritenuti i maggiori finanziatori dei gruppi fondamentalisti islamici. A finanziare i gruppi terroristici in Siria infatti c’era anche l’Arabia Saudita che in passato ha finanziato non solo Al-Qaeda, ma anche i taliban afgani e pakistani e in ultimo proprio l’Isis.
I finanziamenti da parte delle potenze della Penisola Arabica non sono, però, l’unica fonte di approvvigionamento dei gruppi fondamentalisti islamici. La maggior fonte di denaro per i miliziani dell’Isis proviene dai furti avvenuti nei territori conquistati in Siria e nel nord dell’Iraq, tenendo conto che nel secondo stato i terroristi hanno potuto saccheggiare la Banca Centrale di Mosul e altri istituti locali, per un bottino totale di 420 milioni di dollari, circa 320 milioni di euro, a cui vanno aggiunti i lingotti d’oro presenti nelle casse delle banche. Inoltre, i miliziani del califfo Abu Bakr al-Baghdadi hanno iniziato a trafficare petrolio iracheno oltre il confine con la Turchia. Inoltre sia lo Stato Islamico che al-Qaeda, va ricordato, utilizzano gli ostaggi come merce di scambio per la liberazione di loro miliziani o, più spesso, per finanziare la jihad.