La fragile tregua in Libia naufragata dopo un mese

Eccesso di ottimismo e quindi amara delusione. Dopo nemmeno un mese dal pomposo annuncio del rappresentante dell'Onu, il diplomatico spagnolo Bernardino Leòn, sostenuto dalle grandi potenze e specialmente dall'italiana Mogherini, lo strombazzato accordo di tregua tra i due Governi della Libia è miseramente affondato. Con l'immediata conseguenza della sostituzione di Leòn con il tedesco Martin Kobler, fino a pochi mesi fa a capo della missione Onu in Congo, dove si è distinto per la sua durezza (poco gradita agli islamici).
Dal fallimento della precedente trattativa, cominciata nel settembre 2014, nasce anche il pericolo di una nuova ondata di violenze. La bozza di accordo è stata respinta sia dai due Governi libici sia dalla ridda di fazioni, tribù e milizie armate che si dividono il Paese.
Con terminologia diplomatica si dice che quel compromesso è congelato; in realtà è affondato. E' quindi rimandato ogni ulteriore sforzo di far superare lo scontro tra le due entità governative: quella di Tobruk, vicina all'Egitto, relativamente laica e riconosciuta dalla Comunità internazionale, e quella della capitale Tripoli, legatissima al Fronte dei Fratelli musulmani.
Secondo quell'intesa, la tregua avrebbe dovuto 'traghettare' la Libia verso nuove elezioni per designare un Governo volto a rafforzare l'autorità centrale, restaurare il monopolio della forza perduto nella violenta anarchia degli anni del dopo-Gheddafi e infine garantire la ripresa economica.
In 'chiave italiana', in cambio di aiuti, avrebbe dovuto controllare il caotico flusso di migranti verso l'Italia.
Il fallimento è anche dovuto alla crescita dei guerriglieri islamici di Isis nelle regioni sud-orientali e ultimamente anche a Sirte.
Stallo dunque e poche speranze di uno sblocco della grave crisi a breve termine.

Augusto Dell’Angelo
Augusto.dell@alice.it