Il Papa e la Repubblica Centroafricana, dove la lotta per le risorse è mascherata con le guerre di religione

La visita del Papa in Africa si è conclusa positivamente a dimostrazione che, più che le armi e i muscoli, contano l’umiltà, la solidarietà, la testimonianza diretta unite alla volontà di pace e giustizia. Il Papa ha dimostrato, alle cancellerie occidentali, che la risoluzione dei conflitti e la lotta al terrorismo non passano necessariamente dalle armi e che contano molto di più il dialogo, la cooperazione e, soprattutto, una gestione del potere che guardi al bene comune, all’interesse delle popolazioni che, in ultima istanza, sono quelle che soffrono.

Esattamente il contrario di quanto avviene oggi. Basti vedere le ragnatele degli interessi economici e politici che avvolgono tutto il medio oriente e che le cancellerie occidentali si guardano bene dal confessare. Prendiamo il caso della Repubblica Centroafricana. Il paese è balzato agli occhi dell’opinione pubblica solo perché il Papa, dall’alto della sua statura spirituale e morale, ha deciso di visitarlo per indicare la via da seguire nei processi di pacificazione e di convivenza. La visita è stata fino all’ultimo osteggiata, in particolare dalla Francia, ufficialmente per paura di attentati, di fatto per evitare la pubblicità negativa che sarebbe derivata dal fatto che l’ex colonia è teatro, da diversi anni, di violenze diffuse che si vogliono inscrivere nello schema, oramai abusato, della “guerra di religione” tra gli ex ribelli del gruppo Seleka (alleanza) e le milizie Anti-balaka. Con la sua visita, il Papa ha voluto testimoniare direttamente, specialmente con quella alla comunità musulmana di Bangui, che la religione non è la causa delle violenze e che, al contrario può essere lo strumento per avviare il processo di riappacificazione di questo tormentato paese, se si fa leva sui principi e precetti delle due religioni monoteiste presenti anche in questa parte di Africa.

E’ innegabile che si stia cercando di veicolare la tesi che lo jihadismo, attraverso il Sudan, voglia costruire una testa di ponte per unirsi poi con i Boko Haram della Nigeria. In questo modo si dà pretesto alla Francia di mantenere la presenza militare, accanto all’attuale missione di pacificazione ONU e, tramite quest’ultima, di tutelare gli interessi economici francesi.

Lo schema è quello classico del controllo delle materie prime, in questo caso oro, uranio, diamanti e, ora, anche il petrolio. Quando il presidente Bozize, deposto con il colpo di stato del marzo 2013, dichiarò che il controllo delle miniere dei diamanti, situate nell’est del paese a maggioranza musulmana, passava allo Stato, i ribelli Seleka, oltre ad unirsi, hanno anche assoldato mercenari di Ciad e Sudan e sono arrivati fino alla capitale Bangui, con tutto il loro bagaglio di violenze e atrocità. A questo punto, si sono riorganizzati i gruppi di autodifesa, sorti alle fine degli anni novanta per proteggersi dai banditi, che sono scesi in campo indossando amuleti (gri-gris) per proteggersi contro le pallottole. Gruppi che si sono chiamati Anti-balaka, il cui nome non vuol dire “anti machete”, come molti media nazionali hanno tradotto per accostare e richiamare le stragi ruandesi fatte a colpi di machete, accreditando così all’opinione pubblica l’ennesimo scontro violento tra tribù o tra religioni differenti; “anti –balaka” significa “contro le pallottole”, quelle dei Kalashnikov dei Seleka: bal (palla, pallottola) ka, la sigla del noto fucile d’assalto. Ma anche gli Anti-balaka, una volta respinti i Seleka dalla capitale, si sono lasciati andare a rappresaglie violente contro i musulmani, con il silenzio della comunità internazionale, mentre la Francia inviava, dopo aver ritirato e chiuso, nel 1997 il contingente militare e la base di Bouar, i suoi militari a protezione dei civili. Il colpo di stato del 1993, con il quale è stato destituito Bozize ad opera dei Seleka di Michel Djotodia, è stato funzionale alla Francia in quanto Bozize, da amico dei francesi, nel corso degli anni, ne era poi diventato avversario, soprattutto per il fatto di aver minacciato di cedere i diritti di prospezione e sfruttamento delle risorse alla Cina.

Quindi in Centrafrica si sono oggi costruite nuove alleanze che soffiano sulla popolazione divisa in due macro schieramenti: a ovest gli Anti-balaka, cristiani e animisti, che controllano la capitale Bangui; all’est i Seleka, musulmani e non solo, che controllano il territorio ai confini con il Ciad e il Sudan.

Sul piano delle alleanze, ora ribaltato, la Francia si trova assieme al Ciad e al Sudan mentre la Cina ed il Sud Africa si stanno muovendo in autonomia e in concorrenza. Da qui la necessità di trasformare la Repubblica Centroafricana in un territorio instabile, alimentando scontri tra gruppi e fazioni, ed il bisogno di tirare in ballo la guerra di religione spingendo il paese verso la somalizzazione, con tutto quello che tale evoluzione implica. Per questo Papa Bergoglio ha fatto bene a recarsi in terra africana e, in questo martoriato paese, ad esortare le persone anche con queste parole: “Deponete le armi, armatevi di giustizia”. Giustizia: ecco quello manca anche alla nostra Europa.