Il Kurdistan manda il conto agli Usa e chiede l’agognata indipendenza

La notizia sta passando in sordina, perché è una di quelle scomode. Eppure potrebbe avere conseguenze notevoli nella stabilizzazione o ulteriore destabilizzazione dell'area medio orientale e di Paesi in precario equilibrio. Parliamo della zona fra le più calde del mondo, quel triangolo Turchia, Siria e Iraq dove si stanno svolgendo scontri armati pesantissimi, una guerra civile "multipla" e dove sta proliferando il Califfato nero di Al Bagdadi. Come è ormai noto sulle questioni sul tappeto c'è anche la vicenda del popolo Curdo, questione in genere indigesta a tutti, soprattutto alla Turchia, storica alleata Nato che vede come fumo negli occhi l'autonomia del popolo Curdo. Però nella fase più cruenta del conflitto con l'Isis l'esercito Curdo, i mitici peshmerga, è stato un vero e proprio baluardo contro l'avanzata dei tagliagole con le bandiere nere. Ovviamente è giunto il momento per i Curdi di fare cassa, di sventolare il conto all'Occidente. Così il presidente del Kurdistan autonomo iracheno, Masoud Barzani, discuterà dell’indipendenza della regione con i vertici politici statunitensi nel corso della sua prossima visita in Usa. Lo ha annunciato il capo dello staff del governo regionale curdo (Krg), Fuad Hussein, spiegando che verranno trattati anche altri temi come la sicurezza e lo sviluppo dell’area. Barzani dovrebbe volare negli Usa dopo il primo Maggio, e avere colloqui ai massimi livelli compreso il presidente Barack Obama, ma anche con i vertici del dipartimento di Stato e della Difesa. Con gli Usa farà il punto della situazione sugli ultimi sviluppi nella lotta contro l’Isis e in particolare sul ruolo dei peshmerga nel conflitto. Parallelamente, discuterà anche dell’indipendenza del Kurdistan. In previsione dell’incontro con Obama, comunque, Barzani ha già inviato al presidente Usa una lettera nella quale anticipa i temi che affronterà, indipendenza compresa. In realtà la visita del presidente curdo è la quarta negli Stati Uniti ed è l’evoluzione di un percorso di avvicinamento cominciato già anni fa, all'epoca degli interventi militari usa nell'area, fino alla richiesta a Washington la rimozione dell’Unione patriottica del Kurdistan (Puk) e del Partito democratico curdo (Kdp) dalla lista delle formazioni terroristiche. Ma in questa occasione Barzani ha qualcosa di concreto da mettere sul piatto della bilancia: ilsuo esercito, i peshmerga. Fondamentale è stato e probabilmnete sarà in futuro il loro ruolo nel contrasto al Daesh sia per quanto riguarda la Siria che per il nord dell’Iraq. Di conseguenza, questa volta il leader dei Curdi ha un potere contrattuale non indifferente rispetto al passato, sia nei confronti degli Usa e dell'intero occidente che con Baghdad, obbligata dai fatti sul terreno delle operazioni militari a operare con i combattenti curdi per contrastare e sconfiggere lo Stato Islamico. A Washington ne sono ben consci, tanto che recentemente è stata deliberata la concessione di un finanziamento eccezionale al Krg con l’obiettivo di non perdere un alleato preziosissimo, in vista della nuova offensiva prevista nelle prossime settimane a Mosul che vorrebbe neutralizzare definitivamente le capacità operative dell’Isis nel paese. E che la questioni si giochi anche sul fronte economico e non solo militare lo dimostra il fatto che anche il “Califfato” è alla ricerca disperata di nuove fonti di finanziamento, dopo che la comunità internazionale ha smantellato i principali canali dove passa il flusso di denaro destinato al sostentamento dello Stato Islamico, compresi quelli relativi alla vendita del petrolio e ai fondi che ormai arrivano meno copiosamente dall'area saudita. L’ultima trovata in ordine di tempo in Iraq pare sia addirittura quella di chiedere una sorta il “pizzo” ai residenti di Mosul. Una tassa mensile di 80 dollari per ogni abitante per la propria protezione. Un pizzo “democratico”, è infatti è uguale per tutti, ricchi e poveri. L'idea sarebbe quella di racimolare così 80 milioni di dollari, da destinare al sostentamento dei miliziani e all’acquisto di nuove armi e rifornimenti. C'è poi il problema del reclutamento, vera spina nel fianco del califfato, sarebbero infatti finiti i tempi che vedevano frotte di fanatici affluire nelle schiere dei combattenti. I recenti sforzi internazionali e soprattutto quelli dei paesi vicini hanno abbattuto di molto il numero dei volontari che riescono a raggiungere l’Iraq per unirsi alla jihad. Ed allora, secondo fonti della resistenza interna, il movimento jiadista sarebbe corso ai ripari recluatndo più o meno coercitivamente nuove truppe fra i locali. In particolare a Mosul sarebbe stato introdotto un sistema educativo “pro Isis”, che si avvale di materiale didattico per introdurre bambini ed adolescenti alla ideologia estremista, violenta e all'uso delle armi. Le famiglie sono state obbligate a mandare i loro figli nelle madrasse del califfato, delle scuole coraniche dove l'interopretazione dei versetti di Maometto è ovviamente assolutamente sovrapponibile agli insegnamenti del califfo. Parallelamente, tutti i giovani già in età da “fucile” sono stati coscritti e arruolati nelle file dello Stato Islamico a forza.