I tentacoli sull’isola felice, mezzo secolo di mafia in Friuli e Veneto

Bernardo_ProvenzanoQui in Friuli Venezia Giulia ci scandalizziamo sempre di fronte ai fatti e ai fattacci che infangano le amministrazioni pubbliche del Sud Italia, ignorando che anche il Nord Est è un ventre fecondo di malavitosi. Insomma, alla mafia, nessuno è immune e non esistono, in Italia, territori “vergini”.
Ecco che tempo fa, con l'aiuto di Enzo Guidotto, presidente dell'Osservatorio veneto sul fenomeno mafioso e già consulente della Commissione Parlamentare Antimafia Nazionale, abbiamo fatto un viaggio nel tempo ripercorrendo le tappe significative dei casi di mafia che coinvolsero Veneto e Friuli Venezia Giulia negli ultimi 50 anni; casi e "cattive compagnie" al tempo ignorati e taciuti dalla stampa locale e infine precipitati nell'oblio; ma pur sempre sibillini, tracce di un male che, per vocazione, una volta che semina, affonda radici difficilmente estirpabili.
Riportiamo, dunque, la nostra intervista.
Malavita e Friuli. Quale il legame?
«Nel Nord Est – ha osservato Guidotto - la mafia si presenta a macchia di leopardo. Ma se si esamina un caso, accade come con le ciliegie: per prenderne una te ne ritrovi in mano un grappolo. E' bene, allora, ripercorrere la storia del fenomeno: in Friuli Venezia-Giulia nel decennio dal 1961al 1972 erano presenti 44 soggiornanti obbligati, e cioè mafiosi e presunti tali, spediti in tessuti sociali ed economici “sani” non “contaminati” per favorire l'integrazione malavitosa. Sommati ai 143 presenti in Veneto, facevano in tutto 187 soggiornanti nel Nord Est. Questi, vista la posizione strategica del territorio, strumentalizzarono la delinquenza locale organizzando, soprattutto, traffico di droga. Con il passare degli anni le cose si strutturarono in modo diverso e, da qualche decennio, le varie mafie che agiscono in questa zona hanno scelto l'attività di riciclaggio e investimento, con movimenti di denaro finalizzati all'acquisto di beni: terreni, fabbricati e settori commerciali».
Qualche esempio?
«Nel '98 a Caorle venne arrestato Costantino Sarno, che all'epoca era ritenuto il numero due della Camorra. Sarno aveva aperto tra Caorle e Bibione una decina di negozi di pelletterie e abbigliamento che poi vennero sequestrati. Nel 2003, invece, la cosca Mancuso di Lamezia Terme, dunque la 'Ndrangheta, effettuò in Friuli investimenti che portarono a 15 mila operazioni bancarie; al tempo furono perquisite 19 società e quattro studi commerciali, e furono indagati 15 soggetti di cui, soltanto quattro calabresi mentre, gli altri undici, friulani.
Significativo, al proposito, che il Mancuso fu arrestato assieme a Patrizia Pasquin, originaria del Nord est e allora presidente di una sezione del tribunale di Lamezia. I settori operativi di questa organizzazione erano: turistico, alberghiero, ristorazione, edilizia e intermediazione immobiliare. Sempre nello stesso periodo, inoltre, venne arrestato un palermitano, Francesco Pecora, legato a Cosa Nostra e, in particolare, a quei mafiosi che ebbero grandi responsabilità nella stagione stragista del 1992 e '93.
A Pecora, dunque, che era collegato ai Rotolo, “eredi” di Provenzano, furono sequestrati a Pordenone la Società Edilizia Friulana Nord e, ad Aviano, sei rimesse e tre abitazioni, oltre che terreni, appartamenti e conti correnti per un valore totale di 200 milioni di euro».
Parliamo di donne del Nord Est conniventi. Se non ricordiamo male, ce ne furono altre...
«Infatti. Ci fu il caso di Lucia Parenzan, compagna di Luciano Liggio, il capo dei capi di Provenzano e Riina. Ma non solo: quando nel 2007 ci fu la strage di Duisburg in Germania, che portò a sei omicidi, furono arrestati alcuni Calabresi. Per la loro difesa furono ingaggiati degli avvocati ma i soldi per le parcelle non arrivarono né dalla Germania, né da Reggio, bensì da Codroipo, da una certa Liana Benas imparentata con esponenti della 'Ndrangheta. Infine ci fu Irma Quartesan di Pordenone, compagna di Pietro Ingoglia dipendente dell'Intendenza di Finanza pordenonese. Negli anni Settanta Ingoglia aveva rapporti con due soggiornanti obbligati: Leonardo Crimi, soggiornante a Conegliano e Giuseppe Palmeri, soggiornante a Cittadella in provincia di Padova. Assieme a loro organizzò i primi traffici di droga a livello internazionaledal Veneto, traffici che facevano capo a Trapani e alla mafia dei Partinico, il cui vecchio patriarca era Frank Coppola, espulso dagli Usa perché indesiderato e per un periodo anch'egli soggiornante obbligato ad Ajello del Friuli. Nella nostra regione Coppola rimase per poco grazie all'aiuto di un procuratore della Corte di Cassazione, certo Carmelo Spagnuolo, che poi risultò iscritto alla Loggia P2.

Arresto di Coppola a Roma

Arresto di Coppola a Roma

In seguito, Palmeri, Crimi e Ingoglia, furono arrestati e fu loro sequestrata droga per un valore di 5 miliardi delle vecchie lire. Il loro giro d'affari era diventato così complesso e fiorente, che per mettere loro le manette dovette intervenire John Molittieri agente segreto della Dea, Agenzia Antidroga statunitense».
Abbiamo parlato di 'Ndrangheta e Cosa Nostra, all'appello manca la Camorra...
«Per questa è necessario tornare ai primi anni '90. Immediatamente dopo il crollo del muro di Berlino e il disfacimento dell'Unione Sovietica, all'Est chi teneva le file si pose il problema dello smaltimento di armi e materiale nucleare. Per questo, Alessandro Vittorio Kuzin, ex colonnello dei servizi segreti russi, creò una holding a Vienna, la Kuzin Unitrade che raggruppava agenzie di Import-export in tutto il mondo. Per quanto riguarda l'Italia, furono istituite fra Trieste e Udine. Una di queste società di chiamava Sovit Trade, ufficialmente proprietà di tre soci prestanome, uno di Conegliano, uno di Motta di Livenza e un altro croato. Accadde che la Guardia di Finanza, con a capo il colonnello Cerceo, scoprì che questa società trafficava in armi e materiale nucleare e prima di riuscire a fare un sopralluogo, fuggirono i due soggetti che ne avevano il reale controllo e cioè: il colonnello dell'ex Kgb, Daniel Abramovich e Pier Meneghetti, emissario della Camorra nel centro Nord. Cerceo continuò le indagini e trovò dei documenti che attestavano i fatti ma venne, guarda caso, esautorato dal settore operativo e trasferito al settore burocratico. Il superiore che ebbe responsabilità in questo trasferimento, fu arrestato in un secondo tempo per corruzione.
Passarono gli anni e la magistratura scoprì che una società gemella della Sovit Trade, con lo stesso nome e gli stessi proprietari, operava anche a Motta di Livenza, sospettosamente vicino alla base Nato.
Al tempo, inoltre, tale Emmanuello, imprenditore mafioso legato a Giuseppe Madonia, numero due di Cosa Nostra, ottenne per un certo periodo un sub-appalto per la costruzione di appartamenti da destinare ad alloggi per militari americani.
Ecco che nel 2003 a Venezia a arrivò la Commissione Parlamentare Antimafia di cui facevo parte come consulente per le regioni del Nord Est. Un alto ufficiale della Finanza informò la Commissione che a Motta di Livenza esistevano tre società import-export di proprietà di cittadini italiani, ma funzionali alle esigenze della criminalità russa e che operavano, soprattutto, nel settore dei mobili, acquistati e spediti in paesi non aderenti a quell'organismo internazionale che contrasta il riciclaggio del denaro. I soldi per questo commercio arrivavano da due società finanziarie operanti negli Usa e collegate a banche dell'ex Unione Sovietica con sede negli States. E coloro che provvedevano ai pagamenti erano russi e, pare, ex agenti del Kgb».
E cosa fece la Commissione Antimafia?
«Non poté che prenderne atto e riferire a Governo e Parlamento. Nulla accadde. Il problema è il solito: oggi come allora le magistrature italiane non hanno rapporti di collaborazione con quelle russe».
Ma perché episodi così lontani hanno ancora rilevanza?
«Perché questi precedenti hanno seminato. Vi faccio un esempio, anche se ci spostiamo un po' dal Friuli.
Negli anni Ottanta scattò l'inchiesta per un traffico internazionale di armi e droga condotta dal giudice Carlo Palermo a Trento. Armi prodotte in Italia venivano esportate in Medio Oriente da dove veniva importata droga. Carlo Palermo scoprì che nel traffico era coinvolto un finanziere, certo Ferdinando Mach di Palmstein faccendiere in seno al Partito Socialista di Craxi.
Palermo capisce che la droga veniva smistata da Trento e arrivava alle raffinerie di Bolzano e Alcamo in provincia di Trapani.
A Trento l'organizzazione faceva capo a certo Karl Kofler, che dopo l'arresto fu trovato morto in cella con il cuore trafitto da un raggio di bicicletta. Palermo si reca a Trapani e scopre che il mafioso che gestiva le operazioni di raffinamento della droga era proprio quel Leonardo Crimi ex soggiornante obbligato a Conegliano. Palermo espone i fatti al Sostituto Procuratore di Trapani, Giangiacomo Ciaccio Montalto, che venne ucciso qualche mese dopo. Palermo chiese e ottenne di sostituire il collega a Trapani e, dopo due anni, si attentò anche alla sua vita. Rimase ferito, ma nell'attentato morirono una mamma e due gemellini di sei anni.

Ciaccio Montalto

Ciaccio Montalto

Insomma: la droga raffinata a Trapani veniva spedita ovunque ma, in Italia, soprattutto a Milano dove la mafia utilizzava i soldi derivanti dalla vendita per l'acquisto di terreni agricoli, che poi venivano subito trasformati in edificabili grazie a politici conniventi. Poi ci sono gli eventi collegati a Salvatore Lo Piccolo, erede di Provenzano a Palermo il quale, dal carcere di massima sicurezza riuscì a pilotare attività malavitose in Veneto, utilizzando prestanome e persone del posto conniventi, e che fecero scattare un sequestro di beni per 8 milioni di euro.

Attentato fallito contro il magistrato Palermo

Attentato fallito contro il magistrato Palermo

Tutto questo a conferma che i tentacoli della piovra si estendono non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Soprattutto se trovano un ambiente adatto, la così detta ospitalità ambientale.
Ma è pericoloso negare l'esistenza della mafia nascondendosi dietro l'illusione che la propria terra ne è immune. Perché così la si alimenta. La conoscenza crea coscienza e, dunque, impone l'esercizio del diritto e dovere civico. Il popolo è sovrano e può agire. Di leggi antimafia ce n'era bisogno già subito dopo l'Unità d'Italia, ma causa l'omertà e l'indifferenza, sono arrivate nel 1982, per poi essere trasformate dai politici conniventi in armi spuntate. Senza il rapporto con la politica la mafia non sarebbe mafia, ma solo criminalità comune e, di conseguenza, per indagarla non ci sarebbe neppure bisogno di un'apposita commissione».

L'uccisione di Montalto

L'uccisione di Montalto

In conclusione, guardando oggi il Friuli Venezia Giulia, cosa possiamo dire?
«Penso che le radici sotterranee che si sono insediate e sviluppate nel corso di tutti questi anni, prima o poi daranno altri germogli».

Lucia Burello