Ennesima strage in mare, vergogna tutta europea

Ormai pare proprio certo, il bilancio delle vittime del naufragio nel Canale di Sicilia è il più grave di sempre. Il racconto dei pochi superstiti aggiungono orrore all'orrore. "Eravamo in 950. C'erano anche duecento donne e 50 bambini con noi. In molti erano stati chiusi nella stiva". Sono sprofondati, in fondo al mare, senza neanche poter provare a salvarsi, a nuotare, ad aggrapparsi ad un relitto, alle braccia di un soccorritore, non solo non hanno trovato la felicità di cui ha parlato un Papa Francesco affranto quanto disperato per l'insensibilità delle nazioni, ma hanno trovato la disperazione di non poter neppur annaspare nell'acqua nella speranza che qualcuno li potesse salvare. Insomma non c'è fine all'orrore nel canale di Sicilia, eppure l'Europa aveva solennemente promesso che la strage di Lampedusa (dove morirono la bazzecola di 386 persone) sarebbe stata l'ultima. Così non è stato, tanto che, anche senza questa ultima enorme tragedia, sono state migliaia le vittime degli ultimi mesi in uno stillicidio di morti, molti dei quali sono rimasti senza nome, senza corpo, senza cittadinanza e con una anonima tomba di terra o di mare. "Mai più" aveva anche chiesto Papa Francesco, lanciando da Lampedusa il suo grido di dolore al mondo. E invece è arrivata l'ecatombe, la tragedia del mare Mediterraneo più grande dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il racconto del giovane del Bangladesh scampato miracolosamente, forse perchè, contrariamente agli africani, lui sapeva nuotare e aveva familiarità con l'acqua che invece per i sub sahariani è una rarità preziosa. Ebbene, il racconto di quel giovane è un reportage dell'orrore di rara sintesi e crudezza: "Siamo partiti da un porto a cinquanta chilometri da Tripoli, ci hanno caricati sul peschereccio e molti migranti sono stati chiusi nella stiva. I trafficanti hanno bloccato i portelloni per non farli uscire", perchè sottocoperta ci vanno i paria, i più deboli di fisico, di etnia, di religione, d'età e di sesso. Così donne e bambini cacciati nell'inferno della stiva, chiusi come fossero belve feroci o peggio merci senza valore. I senza diritti, quelli che pagano meno perché hanno meno soldi. Perché anche tra i disperati c'è chi è più disperato di altri. Anche nel naufragio a Lampedusa, davanti la splendida isola dei conigli, quando i sub dopo giorni riuscirono a tirare fuori i morti che erano rimasti nella stiva, li trovarono ancora accucciati, un groviglio di bambini abbracciati alle mamme, un ammasso di povere carni già macerate dall'acqua marina stipate come sardine in salamoia. Anche per questo dire che quella di oggi è la tragedia più grande è una falsità, la tragedia più grande è data dalla cieca insensibilità di un occidente che ha dimenticato la validità dei valori di umanità, accoglienza e diritti umani, con buona pace della Corte dei diritti dell'uomo che dovrebbe processare gli Stati europei e forse perfino se stessa. Come dimenticare che di pescherecci, barconi o gommoni stipati all'inverosimile ne sono arrivati molti e partiti ancora di più. Anche il racconto del comandante del mercantile portoghese King Jacob che per primo è stato dirottato nella zona conferma la drammaticità di una situazione che era in realtà una condanna a morte ad orologeria per chi era stato stipato in quella carretta. "Stavamo navigando nella loro direzione - ha detto il comandante alla Guardia Costiera italiana - Appena ci hanno visto si sono agitati e spostati su un lato del natante e il barcone si è capovolto. La nave non lo ha urtato, si è rovesciato prima che potessimo avvicinarci e calare le scialuppe". In pochi momenti era già tutto finito, chi era sul ponte è finito in mare, ha tentato di aggrapparsi a qualcosa, altri non sapevano nuotare e sono finiti nel risucchio del peschereccio che affondava con all'interno il suo carico di umanità spezzata. Si può facilmente immaginare che in molti non abbiano neanche capito quel che stava accadendo, chi era nella stiva deve aver sentito solo lo sconquasso del ribaltamento, il rumore del legno marcio e delle lamiere che si piegano, si frantumano, poi ha sentito e non certo visto nel buio della notte, l'acqua color pece, liquido gelido e assassino che travolge, forza prima la bocca cacciando indietro il grido di terrore e poi riempie i polmoni, pochi spasmi e tutto è finito con i grandi occhi sbarrati fissati in un ultimo sguardo sul buio. Il fragore lascia il posto al silenzio della morte. Il comandante del mercantile portoghese, come tutti gli uomini di mare, deve aver subito capito, calato le scialuppe in operazioni frenetiche ma inevitabilmente troppo lente per salvare più dei 28 superstiti. Al posto del barcone restano solo relitti e corpi galleggianti, nafta e detriti, pezzi di legno alla deriva. Questo lo spettacolo negli occhi dei soccorritori. Le ricerche di improbabili naufraghi sono proseguite per tutto il giorno, poi nella notte scorsa, anche questo disperato tentativo di salvare qualcuno si è spento e stamattina la nave Bruno Gregoretti della Guardia Costiera italiana con a bordo 24 cadaveri, è arrivata nel porto de La Valletta, mentre nel pomeriggio saranno trasferiti a Catania i 28 superstiti che hanno raccontato l'orrore e spiegato che il barcone della morte era partito dall'Egitto caricando i migranti da un porto minore della Libia, vicino alla città di Zuara. Poi il copione, il solito. Era arrivata al Centro Nazionale Soccorso della Guardia Costiera una telefonata da un satellitare Thuraya. "Siamo in navigazione e abbiamo problemi, aiutateci", aveva detto un uomo – probabile complice degli scafisti - con un tono di voce che l'operatore descrive come neanche concitato. Una chiamata classica, simile a tante arrivate nelle ultime settimane da barconi e gommoni carichi di migranti. Quasi un invito affinché le navi italiane li raggiungessero per consentire ai "passeggeri" di completare la traversata verso le coste italiane e magari al barcone di essere recuperato dai trafficanti, per prepararlo a un nuovo passaggio. Il dispositivo di soccorso si era subito messo in moto e grazie al sistema satellitare gps, la Guardia Costiera aveva rapidamente individuato le coordinate del punto dal quale era partita la telefonata ed inviando delle motonavi di passaggio in soccorso. Il barcone era a circa 70 miglia a nord delle coste libiche (110 miglia a sud di Lampedusa) quando è stato raggiunto dal King Jacob, un porta container di 147 metri di lunghezza, armatore portoghese, ed il dramma s è consumato proprio quando la massa umana ha visto i soccorritori e la speranza di essere salvati si è tramutata nella certezza di essere morti.