Migrazioni senza rete, un puzzle di difficile soluzione

Su quanto sta avvenendo nel Mediterraneo non scontiamo solo la drammatica situazione determinatasi in molte aree dell'Africa e in Medio Oriente, situazioni di guerra sulle quali l'occidente non può di certo proclamare la propria estraneità o innocenza, ma un ritardo politico interno alla stessa Europa che, sommato alle vicende di natura economico monetarie, dovrebbero far vacillare la coscienza del più fervente e convinto europeista. E' questa l'Europa che sognavano i padri fondatori e ancora prima di  loro gli estensori del Manifesto di Ventotene? La risposta temiamo sia non certo positiva. Si rischia oggi più che mai di far naufragare ogni intento propulsivo di un Europa dei popoli e non dei burocrati. Siamo dinnanzi a un naufragio della Ue come fosse una di quelle carrette dei mari che portano i profughi verso un Europa. Quell'umanità disperata che vedendo la propria casa in fiamme, cerca la salvezza, un utopia di salvezza, ma che è certo meglio della morte certa nel loro paese in guerra. Una responsabilità storica, quella dei morti in mare, che pesa su tutti noi, deve pesare soprattutto sulla politica del vecchio continente incapace di uscire dalle logiche degli egoismi nazionali e che dimentica che sulla Libia e sulle tragedie dei naufraghi nel canale di Sicilia, la responsabilità europea è ancora più diretta nell'aver innestato una bomba, attaccando Gheddafi non certo per nobili intenti, senza considerare gli effetti a catena che avrebbe determinato. Così oggi la situazione è senza soluzione o meglio ogni soluzione avrà conseguenze pesanti e servirà valutare con attenzione come limitare i danni, perchè questo è chiaro, dei danni ci saranno. Del resto che la situazione sia difficile lo dimostra il fatto che ogni politico italiano oggi sembra avere la propria ricetta risolutiva. Questo non solo perchè il nostro Paese si trova in prima linea, ma per il fatto che la situazione politica interna sconta cocenti divisioni e sente la responsabilità enorme nel non aver posto davvero per tempo al resto della comunità europea la questione con la risolutezza che un emergenza del genere avrebbe voluto. Altro che pietire solidarietà e qualche manciata di euro. Serviva tirar fuori gli attributi e chiedere subito un intervento collettivo vero sui flussi e soprattutto la revisione di quello scellerato accordo di Dublino che prevede che i migranti siano affare di chi li riceve per primo sul proprio territorio. Che l'Europa abbia insabbiato il problema non c'è dubbio, ma quello che ora dovrebbe fare d'urgenza non è chiaro a nessuno, con una sconfortante scarsa lucidità sia a destra che a sinistra. La Lega Nord, forte della sua incrollabile xnofobia, vuole un blocco navale armato davanti alle coste libiche, un muro invalicabile. Una operazione militare costosa, difficile e quasi sempre fallita ovunque la si sia tentata se non sostenuta da una area di sicurezza sul territorio o dal sostegno di autorità locali che oggi in Libia non esistono. Fra l'altro non si capisce se si tratterebbe di un respingimento che nel caso di natanti in difficoltà, e lo diverrebbero tutti senza alcun dubbio, equivarrebbe a infrangere ogni norma del diritto della navigazione internazionale, respingimenti sui quali, dobbiamo ricordarlo, l'Italia fu già condannata dalla Corte per i diritti dell'uomo. Il caso era proprio un respingimento verso la Libia, il cosiddetto caso Hirsi, che riguardava 24 persone che nel 2009 furono costrette al dietrofront. Venne violato l'articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, disse l'alta Corte di Strasburgo, quello sui trattamenti degradanti e la tortura, articolo sulla cui violazione sembra che l'Italia si stia tristemente abbonando. Ma non è che a sinistra regni la chiarezza, si chiede a gran voce che l'Unione europea e possibilmente anche l'Onu non lascino sola l'Italia nell'opera di emergenza, magari che ogni singolo paese della Ue partecipi ai soccorsi e venga a prendersi la propria quota di migranti, qualcuno dice perfino direttamente negli scali in nord Africa riproducendo su scala continentale quel piano di accoglienza regionale che solo pochi giorni fa il Viminale aveva inviato alle prefetture e da queste ai Comuni con i nervosi risultati “mai nel mio giardino” che sappiamo . Un idea suggestiva ma che rischierebbe di innestare una sorta di corsa all'oro, moltiplicando le partenze dai paesi di provenienza. L'idea sarebbe quella di togliere il lavoro agli schiavisti, una sorta di liberalizzazione dei viaggi, per paradosso, simile alla liberalizzazione delle droghe leggere per togliere il mercato ai trafficanti. Ma vista dal Nord Europa, principalmente dalla Germania, la situazione appare inaccettabile. Esiste il trattato, naturalmente firmato a occhi chiusi anche dall'Italia nella sua prima stesura dalla coalizione di centrodestra che ora si strappa le vesti, c’erano Alfano, Lega Nord e Berlusconi al Governo, mentre è altrettanto vero che venne ratificata una nuova versione dal governo Letta, colpevole di non aver fatto una battaglia per la modifica. Il Protocollo di Dublino obbliga come detto, chi dà soccorso a identificare e registrare i migranti, e come paese di primo ingresso a dare a chi lo richiede diritto d'asilo ma non la libera circolazione in Europa. Come dire voi li soccorrete, voi ve li tenete. Nel 2014 su 166 mila sbarcati in Italia ne sono stati registrati però solo 70 mila. Ne mancano 100 mila, e su questa cifra gli europei accusano l'Italia di fare la furba, di aver fatto in modo che questi soggetti, non identificati, finissero per ingrossare la schiera della immigrazione clandestina e quindi spingendoli di fatto verso nord. La faccenda è molto sentita in Germania, dove da sempre si cerca di regolare l'immigrazione anche in base all'interesse economico nazionale. Tanto che l'anno scorso i partner della Ue, Germania in testa, hanno identificato 25 mila persone soggette al Protocollo di Dublino e le hanno rispedite in Italia con biglietto di sola andata. Si tratta di una guerra occulta fra burocrazie ministeriali, polizie e servizi di sicurezza, con al centro anche l'Interpol che cerca di dirimere la matassa. Insomma tutta la situazione pare maledettamente complicata, puzzle, in mare ed in terra e sarà difficile che gli annunciati vertici straordinari, utili a dimostrare alle opinioni pubbliche un impegno di facciata, possano davvero risolvere qualcosa. La speranza che la situazione evolva nei paesi di provenienza e decisamente flebile, così come lo è relativamente a una autostabilizzazione dei paesi di transito come appunto la Libia. In quel Paese in preda alla guerra civile è in corso da mesi, sotto l'egida delle Nazioni Unite, la mediazione dell'inviato Bernardino Leon, che mira a riunire a un tavolo le varie fazioni del paese. Missione quasi impossibile che nonostante annunci trionfalistici dello stesso Leon, anche di alcune settimane or sono e ripetute ieri, rischia di essere invece destinata al fallimento, perchè le delegazioni discutono ma intanto i vari miliziani agiscono con le armi. Dunque riempirsi la bocca di grandi strategie diplomatiche d'Europa e di Onu può andar bene forse a fini politici e mediatici interni, ma la realtà è un'altra cosa. Forse l'idea migliore per ottenere risultati concreti, almeno sul controllo dall'alto delle coste libiche e del Nord Africa per prevenire le partenze, l'aveva avuta proprio il premier italiano Matteo Renzi, che vorrebbe interventi mirati per distruggere i barconi prima della partenza. Ma servono satelliti e droni, l'unico paese in grado di muoverli entrambi in maniera coordinata sono gli Stati Uniti, peccato che Renzi, nella sua missione a Washington, non sia riuscito a ottenere da Barack Obama alcun impegno concreto in tal senso, non è servito neppure lo scambio offerto di una disponibilità italiana a restare più tempo in Afghanistan. Insomma il viaggio di Renzi, nonostante i toni trionfalistici che l'hanno accompagnato è stato un mezzo fallimento. Del resto, l'America è ormai in campagna elettorale e in questo è proprio come l'Italia, nessuno intende impegnarsi in qualcosa che ricordi vagamente le catastrofi militari, prima fra tutte quell'intervento in Somalia, guarda caso altra ex colonia tricolore, nel 1993. Per non parlare degli altrettanto fallimentari interventi nelle Primavere arabe nel 2010-2011 che hanno portato alla attuale destabilizzazione di buona metà del mondo islamico. La missione di Renzi in Usa era davvero impossibile, perchè campagna elettorale a stelle e strisce a parte, l'impiego costoso di droni e satelliti in un teatro che nessuno negli Usa considera prioritario, non verrebbe mai approvato dal congresso, dal Pentagono, dalla Cia ma soprattutto dall'opinione pubblica americana. Certo volesse Barack Obama potrebbe imporsi, ma perchè farlo, non certo per l'amicizia verso Matteo Renzi verso il quale negli Usa nutrono qualche sospetto, non avendo ancora capito il perchè del machiavellico cambio Letta-Renzi.