LIBIA: L’ATTENDISMO NON PAGA MA ORA DUE RISCHI PER L’ITALIA

Giusto 40 anni fa, quando ero inviato a Mosca per “Il Gazzettino”, andai a intervistare Andrei Sakharov a casa sua. Era il giorno in cui a Oslo dovevano consegnargli il Nobel per la fisica, ma non poté andarci perché Breznev glielo vietò. Dall'alto della sua scienza mi disse una frase che ho sempre tenuto presente, specialmente in tempi bui come questo. “Se un carretto sta a lungo fermo lungo un pendio scosceso, prima o poi precipita”. Tradotto, significa: l'attendismo non paga.
Per quanto riguarda la Libia, è un principio applicabile in particolare alle titubanze di Obama, ma anche alle incertezze di Italia, Francia e Gran Bretagna (le ultime due 'scottate' dal fallimento dell'attacco contro Gheddafi del 2011 che ha creato il caos nella nostra ex colonia).
Ora che ci siamo imbarcati nel sostegno ai raid Usa (nessun soldato schierato sul campo, per carità!), anche se il Pentagono assicura che dureranno soltanto un mese per distruggere la roccaforte dell'Isis a Sirte e legittimare il traballante Governo di Serraj, contestato da Bengasi, corriamo due rischi nel caso l'azione non produca il doppio effetto sperato: col decollo degli aerei yankees da Sigonella o da Aviano, crescerà il pericolo del terrorismo e inoltre resterà del tutto fuori controllo il criminale traffico di migranti diretti in Italia, sulla cui pelle lucrano milizie costiere che meriterebbero lo stesso trattamento dei tagliagole del Califfato.
Un ulteriore pericolo: nel mondo islamico i bombardamenti americani potrebbero esser considerati l'ennesimo esempio dell'arroganza da superpotenza di Washington. E questo peggiorerebbe la situazione.
Ma c'è anche un rischio di natura politica: Obama ha rotto gli indugi troppo tardi e l'Europa ha confermato il vuoto di unità che invece sarebbe stato necessario. Questo significa che potrebbe restare un sogno quello dell'Occidente, in particolare dell'Italia: un Governo e un esercito unico, mettendo d'accordo i rivali di Tripoli e di Tobruk (sostenuto sottobanco dall'Egitto del dittatore al-Sisi), ma sopratutto uno Stato unitario e non la pericolosa frammentazione con la Tripolitania a Ovest e la Cirenaica a Est, con l'aggravio di una terza entità, il Fezzàn al centro.
In questa guerra che lambisce le nostre coste la chiave di volta potrebbe essere il generale Haftar, l'uomo forte di Bengasi che ha sempre puntato a una soluzione non unitaria per fare della Cirenaica uno Stato-cuscinetto come vorrebbe l'Egitto, ma che per cambiare rotta pretenderebbe di essere il capo militare incontrastato ora che le milizie di Misurata (filo-Tripoli) hanno fallito.

Augusto Dell'Angelo

Augusto.dell@alice.it