Ucciso Eusebio, l’indios paladino della foresta amazzonica, trucidato dai trafficanti di legname

Difficile che la sua morte trovi grande clamore, nonostante la sua azione concreta di lotta alla deforestazione si inquadri perfettamente nelle tematiche di un neonato Expo neppure giunto alla sua prima settimana che con le sue ambientazioni d'effetto e le foreste finte, rischia di essere il triste precursore del futuro del mondo.  Parliamo dell'assassinio avvenuto in Brasile fra il 26 e il 27 aprile di Eusebio dei Ka’apor, uno dei leader della resistenza indigena contro la deforestazione nello Stato del Maranhao. Non li ha nemmeno visti in faccia Eusebio i suoi carnefici, perché è stato freddato da un colpo di arma da fuoco alla schiena esploso da due sicari in sella ad una moto. Due uomini incappucciati, probabilmente assoldati dai taglialegna illegali che lavorano, anche se indirettamente, al soldo di multinazionali del legname, uomini i doppiopetto  senza scrupoli. Dopo un’agonia di due ore, nelle quali il compagno era corso a cercare aiuto, Eusébio è spirato solo nella sua foresta. I drammatici fatti sono avvenuti  nel territorio dei Ka’apor, un gruppo etnico brasiliano che non arriva al migliaio di persone, da anni è sotto attacco dei taglialegna, e le tribù sono convinte che siano stati loro i mandanti dell’omicidio, non solo perchè Eusebio non aveva altri nemici e non era certo possibile obiettivo di rapina, ma soprattutto perchè, subito dopo l'assassinio, il figlio di Eusébio è  stato fermato da uno dei taglialegna e avvertito, in perfetto stile mafioso, che molti altri avrebbero potuto fare la stessa fine.
Una situazione di soprusi e violenze che in quella regione dura da tempo e che  è progressivamente degenerata e contro la quale le autorità brasiliane poco possono o vogliono fare. “Ci minacciano di morte da lungo tempo, ha detto un anziano della tribù, ora stanno cominciando ad uccidere per intimidirci. Dicono che è meglio lasciarli fare se non vogliamo morire tutti. Noi non sappiamo cosa fare, perché non abbiamo nessuna protezione. Lo Stato non fa nulla". I Ka’apor vivono nel territorio Alto Turiaçu, nella parte orientale della foresta amazzonica brasiliana, abitata anche dagli indiani Awà, la tribù più minacciata della terra. Molti di loro non hanno mai avuto contatti con il mondo esterno, eppure i taglialegna disboscatori sono arrivati anche qui. L’Alto Turiaçu ha perso circa 44mila ettari di foresta dal 2012 a oggi, pari all’8 per cento del totale nella regione. Si tratta della quinta zona più minacciata dell’Amazzonia.
Le autorità brasiliane non hanno saputo fermare gli invasori, troppo grossi e grassi gli interessi in ballo, così i Ka’apor hanno deciso di difendersi con le proprie forze. Nel 2013 hanno formato un piccolo esercito a presidio dei loro confini e catturato numerosi taglialegna illegali. Ma nessuna violenza gratuita, solo simbolica, li hanno privati dei vestiti e li hanno consegnati alla polizia brasiliana.
Ma nell'ultimo periodo, la violenza contro la tribù è cresciuta, soprattutto negli ultimi mesi, dopo che i Ka’apor hanno chiuso l’ultimo sentiero nella foresta e istituito posti di guardia. In verità  le autorità brasiliane avevano messo in piedi sull'onda di proteste internazionali un’operazione volta ad stroncare la deforestazione illegale ma con scarsi risultati.
Gli assassini fanno parte della banda di criminali che sta distruggendo l’Amazzonia, ne è certa l’organizzazione che difende i diritti dei popoli indigeni Survival International che solo nel 2012 aveva visto con favore l'inizio di una campagna militare di controllo e bonifica dei territori in difesa degli indios. "Finalmente! Il Brasile avvia le tanto attese operazioni per salvare gli Awá". Così esultava a fine 2012 Survival International - organizzazione mondiale totalmente dedicata ai popoli tribali e ai loro diritti - nell'annunciare il successo, seppure tardivo, di un'iniziativa per combattere il disboscamento illegale nei dintorni proprio della terra awá, nell’Amazzonia brasiliana nord-orientale. Poi però la spinta propulsiva del governo brasiliano si è inspiegabilmente spenta. Anche l’organizzazione ambientalista Greenpeace punta oggi il dito sulle autorità brasiliane. Dopo diverse richieste di aiuto alle istituzioni, dice Greenpeace, il governo ha condotto alcune attività di monitoraggio, ma non appena queste si sono concluse, l’attività criminale e le minacce sono riprese come e più di prima. Chiara Campione, responsabile della campagna foreste di Greenpeace Italia, ha detto che ciò che incoraggia le imprese a rubare il legname in Amazzonia “è il fatto che la refurtiva possa facilmente essere spacciata per prodotto legale e venduta, anche sul mercato internazionale, senza problemi”.
La denuncia di quel che avveniva ed ora torna ad avvenire ad opera di coloni, allevatori e taglialegna illegali molti dei quali armati pesantemente, era nota da anni e si era tradotta nella grande campagna per salvare "la tribù più minacciata del mondo".

Tale campagna, si legge nei documenti di Survival International era stata lanciata il 25 aprile 2012 dal premio Oscar Colin Firth con un video-appello sulle note del compositore brasiliano Heitor Pereira. “Stanno tagliando la loro foresta illegalmente, per il legno. Quando i disboscatori li vedono, li uccidono", denunciava Firth, aggiungendo: "Archi e frecce non hanno chance contro i fucili. E come altre volte nella storia, potrebbe finire tutto lì. Un altro popolo cancellato dalla faccia della terra, per sempre. Ma possiamo far sì -concludeva- che il mondo non lo lasci accadere". Oltre all'attore britannico, si erano unite alla causa di Survival altre star internazionali, quali l'attrice statunitense Gillian Anderson, l’attore italiano Claudio Santamaria, il ciclista Andy Schleck, la stilista britannica Vivienne Westwood. Fondamentale, poi, l'apporto venuto dal fotografo brasiliano Sebastião Salgado. Salgado, assieme al giornalista e scrittore Alex Shoumatoff ha trascorso diverse settimane con gli Awá, per verificare e documentare l’allarmante distruzione della foresta da parte dei taglialegna armati. Gli scatti di Salgado e la storia scioccante degli Awá -ricorda Survival- sono stati pubblicati da Vanity Fair, dal Sunday Times e dal giornale brasiliano O Globo, raggiungendo milioni di persone in tutto il mondo. Questo, in estrema sintesi, il quadro emerso e raccolto dai media: le terre degli Awá vengono distrutte a una velocità superiore a quella di qualunque altro territorio indiano dell’Amazzonia. Il Governo ha ignorato diversi ordini del tribunale che gli imponevano di espellere i taglialegna. Oggi sopravvivono solo 450 Awá, di cui un centinaio sono incontattati e si nascondono in un’area di foresta pluviale sempre più ristretta per sfuggire ai sicari che danno loro la caccia. Sempre tra gli effetti della campagna, dopo il suo lancio, l'invio di oltre 55mila lettere al Ministro della Giustizia brasiliano per sollecitare un intervento e la diffusione del logo dell'iniziativa in luoghi e monumenti di tutto il mondo: dal Pan di Zucchero in Brasile al Golden Gate di San Francisco, dalla Torre Eiffel di Parigi ai canali di Venezia. Di concerto con l’ONG brasiliana CIMI (Conselho Indigenista Missionário) era stata, inoltre, inviata un’istanza urgente alla Commissione Inter-Americana per i Diritti Umani in cui si chiedeva di premere sul Brasile per salvare gli Awá. Grazie a questa campagna internazionale, dal 2012 gli Awá erano stati inseriti in cima alla lista delle priorità del dipartimento brasiliano agli affari indigeni. Ma poi spenti i riflettori su quanto avveniva, il Governo brasiliano, ha mollato la presa, il disboscamento è ripreso ed il povero Eusebio ci ha rimesso la pelle e dopo di lui chissà quanti altri rischiano la stessa sorte.

Fabio Folisi