Ttip: si “inceppa” l’ingranaggio, ma è solo una debacle strategica

In questi giorni l’opinione pubblica nazionale si è concentrata sul dramma del terremoto in centro Italia e la gran cassa mediatica si è praticamente occupata solo di quello, quasi che gli altri problemi che premono, e non è un eufemismo, sulle nostre frontiere si fossero dissolti in un lampo. Nessuno nega ovviamente l’importanza di un evento catastrofico di quelle dimensioni, ma non può essere totalizzante. E’ uno di quei casi che dimostrano un certo provincialismo mediatico tutto italiano, una divisione di ruoli e importanza delle notizie che vede una strana gerarchia informativa anche quando non si tratta di raccontare il dramma di una catastrofe naturale come un sisma, ma magari si tratta di una notiziola locale pruriginosa. Il problema è che mentre si è affaccendati a seguire l’evento del momento, il mondo continua a girare e noi, volenti o nolenti, ci siamo sopra. Fra le notizie orfane di attenzione mediatica da sempre, e non a caso, ecco irrompere nelle redazioni, si fa per dire, la vicenda del Ttip. Si tratta del famigerato trattato transatlantico o meglio del Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (in inglese Transatlantic Trade and Investment Partnership) Ttip, appunto. Ebbene qualcosa si è inceppato negli ingranaggio del meccanismo del trattato, tanto da indurre il ministro dell’economia tedesco Sigmar Gabriel ad annunciare, sia pure in un intervista televisiva e non nelle sedi ufficiali, il fallimento dei colloqui sul Ttip. Ci sarebbe di che gioire, visto che la vicenda è nata nel terreno fertile delle lobby e degli interessi speculativi, ma siccome quando si ha a che fare con i “poteri forti” anzi fortissimi, nulla può essere casuale e non è certo la protesta popolare, pur cresciuta ma mai valorizzata mediaticamente, a poter almeno per ora fermare il mostro liberal-commerciale che si voleva calare sulla testa degli europei. Siccome ad essere sospettosi spesso ci si azzecca, appare strano che un negoziato svoltosi sempre nell’ombra e nel segreto, visto che si trattava di svendere alle multinazionali dei pezzi di democrazia, trovi il suo epilogo nelle righe di un lancio d’agenzia che riprende le dichiarazioni televisive estemporanee del pur importante teutonico ministro dell’economia Gabriel. Una stranezza che fa sospettare e non convince del tutto sulla genuinità dell’informazione data dal ministro, tanto che il sospetto è che in realtà si tratti di una spregiudicata mossa negoziale piuttosto che dell’annuncio di un effettivo de profundis del Ttip. In particolare l’uscita televisiva di Gabriel, che non è certo un incauto pischiello come quelli che albergano nei palazzi della politica italiana, ci fa pensare che l’ingranaggio si sia bloccato ma che la dichiarazione vuol essere lo strumento coercitivo che serve per superare l’empasse. Un temporaneo inciampo che per i tedeschi magari ha un nome familiare, si chiama Bayer (il colosso dell’Aspirina per intenderci) e il fatto che non è andato a buon fine, per resistenze Usa, il passaggio di Monsanto proprio alla Bayer che di certo l’amministrazione di Washington non vuole concedere, visto il ruolo di testa di ponte coloniale della multinazionale in molte aree del terzo mondo, dell’America latina e persino in Europa. Controllare la Monsanto vuol dire controllare il Mondo si dice nei corridoi dell’economia che conta. Insomma il sospetto che la mossa di Gabriel voglia palesare agli americani il fatto che i grandi gruppi europei superstiti degli appetiti mondiali, temono di essere risucchiati dagli Usa e di trovarsi preclusi i mercati nemici di Washington, Russia e Cina in testa, o ancora non sono stati accontentati in alcune richieste. A contro altare di queste tesi c’è però anche la constatazione che nel presunto strategico annuncio di fallimento, un peso considerevole l’ha avuto la Brexit e il fatto che con la Gran Bretagna fuori dai giochi la trattativa diventava ulteriormente monca. Ma forse c’è anche un aspetto nazionale tutto tedesco, il sospetto che l’opinione pubblica sia particolarmente ostile al Ttip, come dimostrato dalle migliaia di manifestazioni svoltesi ovunque tra cui una imponente a Berlino (quasi del tutto ignorata dai media). Questo si aggiunge anche alla possibile reazione in altri paesi, Francia in testa, nel non volersi arrendere alla scomparsa definitiva del modello europeo, trascinato da scelte ultraliberiste e monetarie, verso l’assorbimento in un’area di cosiddetto libero scambio, dove è appunto lo scambio stesso il punto focale di tutto, con il sacrificio sul suo altare di ogni limite giuridico, sociale e politico che possa creare difficoltà alle multinazionali e in barba alla democrazia e alle Costituzioni siano esse le più belle del mondo o meno.
E’ chiaro infatti che la natura del Ttip non è quella di trattato commerciale, ma di reale strumento per una trasformazione politica in senso autoritario, un involuzione delle nostre democrazie piegate alle logiche del mero profitto. Insomma la battaglia di chi osteggia questo accordo “commerciale” non è certo finita, anzi, perchè sarà difficile che i fautori di questo nuovo ordine mondiale multinazionale si ritirino in buon ordine. In realtà il prossimo mese di settembre sarà determinante per capire di più anche se è scontato che, a questo punto, si attenderà l’entrata in carica del nuovo presidente Usa. Inoltre, nonostante la stampa italiana e gran parte di quella europea hanno messo il silenziatore sulla questione, l’ostilità delle popolazioni nei confronti di questo sedicente accordo commerciale è comunque cresciuta. Di tutto ha bisogno la leadership europea che di una opposizione popolare sui temi economici ed etici. Facile quindi si voglia, uscito dalla porta con l’annunciato fallimento della trattativa, non prendere di petto la questione per rientrare poi dalla finestra allo scopo di ottenere gli stessi risultati magari attraverso un trattato analogo. Parliamo del Ceta ovvero l’accordo con il Canada, una sorta di Cavallo di Troia che ha gli stessi contenuti, ma fa molta meno paura. Del resto il segnale c’è già, almeno in Italia, smascherato dall’inconsulto assist di Oscar Farinetti nei confronti del grano canadese annunciato come il migliore del mondo mentre veniva dallo stesso denigrata la tradizione millenaria dell’agricoltura Italiana patria della pasta e del pane di qualità. Un assist da parte di Farinetti che fra i suoi sponsor conta il premier Matteo Renzi, da molti considerato un “tradimento” non solo del gusto, ma anche della filiera agroalimentare nazionale. Del resto firmare il Ceta sarebbe come firmare il Ttip poiché anch’esso contempla la facoltà delle grandi imprese di fare causa ai governi che dovessero danneggiare i loro interessi attraverso leggi a tutela dell’ambiente, della salute, del lavoro, dei cittadini. Senza contare che in Canada c’è la sede ufficiale di molte multinazionali Usa, mentre il Paese stesso è a sua volta vittima di un Trattato nordamericano che si basa su questi medesimi presupposti, insomma il Ttip tornerebbe dalla finestra per osmosi.

Fabio Folisi