Non v’è dubbio che Dio ha dato i numeri

Monumento al Pi Greco di Seattle

Monumento al Pi Greco di Seattle

Si avvicina il 14 marzo, giorno dedicato, in tutto il mondo, alla celebrazione del Pi Greco. La scelta della data è ispirata dalla grafia anglosassone che, al contrario di noi, nelle date pone prima il giorno del mese. Ecco che 3.14, invertito diviene 14.3, ovvero 14 marzo. Inoltre alcuni celebrano la ricorrenza dalle ore 15, in modo di adeguarsi all'approssimazione 3.1415.
La prima celebrazione del "Pi Day" si tenne nel 1988 per iniziativa del fisico americano Larry Shaw. In questo giorno nei dipartimenti di matematica e in varie istituzioni nel mondo si coglie l'occasione per organizzare delle feste. Ma a cosa è dovuto tanto entusiasmo?
Pi Greco. A scuola lo si usava, serviva per calcolare circonferenze, aree del cerchio e volumi sferici. Ma se qualcuno ci chiedeva la sua definizione, le bocche restavano cucite. E le cose non sono cambiate, perché pur leggendo il suo significato, a tutti resta ancora difficile non solo capire, ma perfino intuire in cosa consista esattamente questo numero.
La difficoltà, a ben guardare, non deve metterci in soggezione; gli stessi matematici, infatti, sono ancora affascinati dal suo mistero. Sì perché il Pi Greco sembra nascondere un segreto ben custodito.
E come non ricordare, al proposito, il film “Pi greco, teorema del delirio”, dove si ipotizzò che dietro a questa sequenza numerica si nascondesse l'identità di Dio.
Il numero Pi greco, infatti, nasce dal rapporto tra il perimetro della figura perfetta, il cerchio, e il suo diametro. Rapporto che non ritroviamo soltanto sui manufatti dell'uomo, ma anche nel disco del Sole, o in quello della Luna. Insomma: “nei manufatti di Dio” dove, pare, ci abbia lasciata la firma. Pascal scrisse: «L'Universo è un cerchio, il cui centro è ovunque e la circonferenza da nessuna parte». E il Pi Greco, infatti, numero trascendente, irrazionale che non è soluzione di alcuna equazione algebrica a coefficienti razionali (molte popolazioni antiche avevano provato a calcolare quel numero magico, dagli egizi, babilonesi ai cinesi) ma compare come limite di molti procedimenti infiniti, stabilisce a priori l'impossibilità della quadratura del cerchio. Ovvero: la costruzione di un quadrato della stessa area di un dato cerchio. Come non sospettare, dunque, qualcosa di divino dietro a questo enigma matematico?

Pi Greco teorema del delirio

Pi Greco teorema del delirio

Ma c'è una domanda, anzi due, che da sempre torturano scienziati e filosofi: la matematica è un prodotto dell'ingegno umano o una sua scoperta? E se si tratta di invenzione, come può rispecchiare così bene le regole di funzionamento del mondo? Su questo Pitagora aveva le idee molto chiare: “la matematica non è una invenzione dell’uomo, ma una scoperta. E’ la realtà stessa ad essere intessuta di matematica, fondata sul numero”. La filosofia greca coglie l’ordine, la razionalità dell’universo; la filosofia di Pitagora identifica il numero come fonte di questa razionalità. Scrisse l’astrofisico italiano Mario Livio nel suo “Dio è un matematico”: «I pitagorici radicavano letteralmente l’universo nella matematica. In effetti per loro Dio non era un matematico ma la matematica era Dio». Sarà poi Platone, con la sua metafisica, a dare alla matematica un ruolo fondamentale nella conoscenza umana, ritenendo l’esistenza delle realtà matematiche “un fatto oggettivo tanto quanto l’esistenza dell’universo stesso”.
Anche Galileo non aveva dubbi quando disse: «La matematica è l’alfabeto col quale Dio ha scritto l’universo».
Per Roberto Grossatesta (1175-1253), invece, Dio è il “Numerator et Mensurator primus” e secondo il pensiero di san Bonaventura: «Tutte le cose sono dunque belle e in certo modo dilettevoli; e non vi sono bellezza e diletto senza proporzione, e la proporzione si trova in primo luogo nei numeri: è necessario che tutte le cose abbiano una proporzione numerica e, di conseguenza, il numero è il modello principale nella mente del Creatore e il principale vestigio che, nelle cose, conduce alla Sapienza»; regola questa, magistralmente concretizzata dall'arte rinascimentale.
Giovanni Keplero (1571- 1630), scopritore delle leggi del moto dei pianeti, considerava la matematica “la struttura ontologica dell’Universo”.
Poi arrivò Ennio De Giorgi, il più grande matematico del Novecento che scrisse: «il mondo è fatto di cose visibili e invisibili e la matematica ha forse una capacità, unica tra le altre scienze, di passare dall’osservazione delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili».
Ma il tentativo di “incontrare” Dio, o di dimostrare la sua esistenza, dalla Torre di Babele in poi è la vera ossessione dell'uomo. Perché l'uomo vive e soffoca in Dio. Già soffoca, sovrastato dall'immenso mistero, come accadde al matematico austriaco, Kurt Gödel (1906-1978) che, nel febbrile tentativo di dimostrare con una sequenza matematica l'esistenza di un essere superiore, morì lasciando ai posteri dei calcoli decisamente complessi ma, a ragion del vero, esatti.

 Kurt Gödel

Kurt Gödel

Gödel diceva: «Se Dio è possibile, allora esiste necessariamente. Ma Dio è possibile. Quindi esiste necessariamente». Lo scienziato considerando l'esistenza della cosa più grande che possa esserci in assoluto, propose un modello matematico fondato su alcuni assiomi: «Ogni proprietà positiva è necessariamente positiva. Per definizione Dio ha tutte e solo le proprietà positive. L'esistenza necessaria è una proprietà positiva. Quindi Dio, se è possibile, possiede necessariamente l'esistenza. Il sistema di tutte le proprietà positive è compatibile. Quindi Dio è possibile. Essendo possibile, Dio esiste necessariamente». Finché visse, Gödel non rese nota la sua prova ontologica di Dio, ma venne pubblicata soltanto nove anni dopo la sua morte negli Stati Uniti. Ad ogni modo di grande ispirazione per questa sua teoria dev'essere stato proprio Cartesio, che cercò di dimostrare l’esistenza di Dio convinto che «le verità matematiche che voi chiamate eterne sono state stabilite da Dio e ne dipendono interamente».
Prima di Gödel, un tentativo di dimostrare scientificamente l'esistenza di Dio e dell'anima lo dobbiamo allo svizzero Eulero (1707-1783) nel suo trattato “Due solenni dimostrazioni dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima”. Anche il grande matematico italiano Paolo Ruffini tentò una simile impresa scrivendo, nel 1806, una dimostrazione matematica dell’esistenza dell’anima, mentre il matematico napoletano Vincenzo Flauti cercò di dimostrare Dio per via matematica nella sua “Teoria dei miracoli”.
«Dio esiste, governa tutto ed è un matematico. Ecco le prove scientifiche»” questo invece sostenne pochi anni fa il fisico Michio Kaku che, sulla scia di Gödel, dichiarò di aver trovato la prova dell’azione di una forza che “governa tutto”. Impegnato nello studio della teoria delle stringhe, il fisico giunse alla conclusione che: “che ci troviamo in un mondo fatto di regole create da un’intelligenza, non molto diverso dal suo videogioco preferito, Matrix, ovviamente, più complesso e impensabile.”

Matrix

Matrix

A questo punto la domanda nasce spontanea: è possibile che il genio, stimatissimo, avesse “svalvolato”? Noi profani non lo sapremo mai, ma alcuni maligni sostengono che lungo i corridoi delle prestigiose accademie in molti si chiedevano una cosa soltanto. E la domanda suonava più o meno così: «Ma Kaku, che minchia s'è fumato?».
«Credetemi – insisteva invece Kaku - tutto quello che fino a oggi abbiamo chiamato caso, non avrà alcun significato, per me è chiaro che siamo in un piano governato da regole create e non determinate dalle possibilità universali, Dio è un gran matematico».
Ma la lista dei “cacciatori” di Dio è ancora molto lunga, e continuerà a crescere fino al giorno del Giudizio. Tra questi ricordiamo Carl Friedrich Gauss (1777-1855), Bernad Bolzano (1781-1848), Niels Henrik Abel (1802-1829), Karl Theodor Wilhelm Weierstrass (1815-1897), Bernhard Riemann (1826-1866) e il grande Georg Cantor (1845-1918).

Insomma, fior fiore di scienziati non hanno avuto dubbi nel considerare la matematica la lingua universale, la lingua di Dio. E se questo fosse vero, non stupisce l'idea che il Pi Greco possa essere la traslazione del nome del Creatore. Lo si potrebbe perfino trovare scritto sul campanello, alla porta del Paradiso.
A questo punto, un suggerimento al mondo cattolico: il prossimo 14 marzo non lasciate che i festeggiamenti del Pi Greco siano soltanto appannaggio dei matematici. E' bene festeggi anche la Chiesa, perché molto probabilmente, si tratta dell'onomastico di Dio.