Libia polveriera esplosiva meno parole, ma più fatti

Se qualche italiano è sequestrato (e non si sa da chi) o affonda un barcone pieno di disperati (e si sa chi sono i mercanti di uomini che li traghettano nei porti più vicini) la polveriera libica sbalza in prima pagina e nelle 'aperture' dei telegiornali. Passata l'emozione, tutto torna come prima.
Nel regno degli impegni senza seguito anche se la Libia resta un'esplosiva polveriera. Per il mondo, ma in particolare per l'Italia che le sta di fronte ed è l'unico Paese che là opera con centinaia e centinaia di nostri lavoratori.
Va avanti così da mesi, anzi da anni, da quando gli occidentali (francesi in particolare, ma anche noi) hanno avuto la geniale pensata di far fuori Gheddafi, dittatore sì, ma l'unico in grado di tenere a bada le molteplici bande dei miliziani che ora sono i veri padroni, dalle coste mediterranee al deserto.
Ieri era a Roma Bernardino Leòn, lo spagnolo inviato dell'Onu per cercare un accordo almeno tra i due Governi che si fronteggiano sul territorio: quello di Tobruk, vicino all'Egitto e riconosciuto dalla comunità internazionale, e quello di Tripoli dominato dagli islamici fondamentalisti e aperto all'Isis. E i tagliagole, da parte loro, dicono che vogliono conquistare la Libia per poi, da lì, attaccare l'Italia.
Ecco perché la polveriera appena al di là del 'mare nostrum' è un pericolo per tutti, ma in particolare per noi. Però i mesi di trattative condotte in Marocco da Leòn non hanno portato a risultati concreti e adesso il tempo appare davvero scaduto.
Eppure, in tutto questo lungo periodo negoziale, erano state annunciate missioni di terra e di mare, operazioni di polizia internazionale e c'era stata anche una risoluzione dell'Onu che autorizzava l'uso della forza. Cosa è stato fatto? Niente.
Lasciar andare alla deriva un Paese così diviso e in preda al caos è un'omissione grave che può avere conseguenze terribili. Noi italiani (con i rapimenti di nostri lavoratori e con l'invasione dei migranti) stiamo pagando un prezzo altissimo per il fatto di trovarci dall'altra parte del Mediterraneo e ciò ha trasformato le nostre coste meridionali nella meta principale dei trafficanti di uomini. Ma rischiamo di pagarne uno ancor più alto se non si riuscirà a fermare la rivalità fra le bande dei miliziani e sopratutto l'avanzata dell'Isis.

Augusto Dell’Angelo
Augusto.dell@alice.it