LA FRAGILITÀ DI UN SISTEMA ECONOMICO DI FRONTE ALLA EMERGENZA SANITARIA. I CONTI TORNANO SEMPRE MENO

La crisi del neo liberismo globale del 2008 fu determinata da un piccolo focolaio di epidemia finanziaria causata dai “subprime”, cioè dal mancato funzionamento di assicurazione dai rischi per i prestatori di denaro agli acquirenti di casa che non se lo potevano permettere. Le perdite potevano essere controllate e circoscritte, ma l’intreccio finanziario invece provocò conseguenze a catena coinvolgendo sia le banche che i settori produttivi in gran parte degli stati del mondo.
In quella occasione divenne chiaro che l’intelligenza razionale del libero mercato era una pura astrazione ideologica e che alla fine si doveva sempre rivolgersi ad interventi “pubblici” per risolvere i problemi. Tuttavia la lezione del 2008, per la verità non ancora assorbita, rientrava nell’ambito classico di bolle finanziarie (e produttive) che scoppiano e che accompagnano il capitalismo da sempre. La globalizzazione dei mercati di capitali hanno esasperato il peso delle speculazioni basate sulle rendite finanziarie, ma la base della crisi è sempre stata un rapporto malato tra finanza e produzione materiale.
Quello a cui stiamo assistendo in questi giorni mi appare come qualcosa di profondamente diverso. Primo perché l’origine è una epidemia sanitaria partita da un “modernissimo” agglomerato urbano, secondo perché le conseguenze economiche nascono dalle necessarie restrizioni di flussi di persone e merci.
E’ venuta così ad evidenziarsi una situazione mondiale di movimenti che chiariscono un livello di interdipendenza totale quasi inimmaginabile nel momento in cui modelli sociali ed economici 4.0 di prevalenza dell’informazione sulla materia sembrerebbero andare in direzione opposta.
Questo ha creato una contraddizione quasi insanabile tra una gestione sanitaria dell’epidemia, il cui obiettivo fondamentale è comunque quello di poter fornire risposte adeguate alle diverse sintomatologie delle persone colpite dal virus (e quindi con l’obiettivo fondamentale di rallentare e controllare l’evoluzione del contagio), e un sistema economico globale che non può rallentare, a pena di venire massacrato dalle reazioni incontrollate delle “mandrie” che devastano i mercati.
Siamo in una condizione che è esattamente l’opposto del 2008. In quel caso sono i giochi della finanza che innescano l’incendio che, dopo una certa inerzia temporale, si trasferisce al mondo della produzione e della economia reale (con effetti di crollo dei PIL). Oggi è proprio il mondo della produzione e dell’economia reale che, bloccato nei suoi flussi (di merci, di turisti, etc.), produce immediatamente una aspettativa di crollo dei PIL e quindi poi di conseguenza si trasferisce all’intero mondo della finanza: questo trasferimento negativo appare quasi immediato, ma l’evoluzione è tutta da controllare con i suoi effetti di medio lungo periodo.
L’epidemia CoV 19 ha cioè messo in evidenza una debolezza strutturale proprio della globalizzazione della produzione e della fornitura di servizi: forse l’emblema può essere rappresentato proprio dalla nave da crociera Diamond Princess ferma davanti al porto di Yokohama, emblema di come un virus distrugge immediatamente un prodotto. Ma altre evidenze hanno sorpreso un pubblico disattento: l’esistenza di “supply chain” incredibili, con frammentazioni e delocalizzazioni di produzioni al top delle innovazioni, ma anche una reazione di accaparramento di generi alimentari da folle in preda ad ansie ingiustificate. Insomma la materialità ha ripreso un ruolo di protagonismo e chiede risposte a domande che fino ad ieri non ci ponevamo.
Ogni crisi ha effetti collegati alla predisposizione della realtà colpita a subirne danni (o talvolta vantaggi). Si apre quindi anche una dinamica globale per gestirne le competitività conseguenti, limitare i danni o approfittare delle opportunità, rendendo rapidi processi che si sarebbero verificati in un tempo più lungo. Da questo punto di vista la situazione italiana appare fortemente precaria e l’inevitabile accentuazione della situazione recessiva già presente rischia di far calare qui tutti i rapaci che amano banchettare su prede inanimate. Difendersi non sarà facile, ancor più in una realtà come il F-VG che non ha ancora smaltito i danni subiti dopo il 2008 da una dissennata “spending review” delle sue finanze pubbliche.
Prima che venisse scoperta la contaminazione del Consiglio Regionale (del Fvg ndr) da CoV 19, tra le forze politiche impegnate ad affrontare la crisi, emergeva uno slogan di fatto unificante: “contenere il virus e far ripartire l’economia”. E’ possibile o l’una affermazione contraddice l’altra?
Proprio in queste ore sta crescendo in Italia la preoccupazione sulla tenuta dell’organizzazione sanitaria nel gestire i picchi dell’epidemia, con conseguenze drammatiche per i cittadini colpiti. Siamo oggi in difficoltà quindi tra la scelta di dover agire con “frenesia” per esorcizzare l’emergenza economica e la necessaria “calma ragionata” con cui è evidente si debba affrontare l’evoluzione del virus. Forse in futuro troveremo che i virus si possono combattere con droni armati di luci laser che gli scovano e abbattono nei luoghi più nascosti. Per ora ci dobbiamo convivere sperando che i nostri comportamenti gli rendano meno aggressivi e meno nemici.
Mi permetto infine una considerazione amara. Mi pare che l’evoluzione della razza umana nel suo crescere ed agitarsi per costruirsi un futuro debba essere indirizzata meglio. Stiamo andando tutti appassionatamente verso una continua concentrazione degli agglomerati urbani in città territorio densamente abitate: Lagos si avvia verso i 70 milioni di abitanti. Un traguardo che di per sé non mi pare essere il massimo per gestire contagi. Mah!

Da FriuliSera