Italicum, il Pd si spacca ma è la solita “ammuina”. Intanto prosegue la germanizzazione dell’Europa

A scanso di equivoci quanto avviene in queste ore nel Pd non è diverso da quanto già avvenuto nei mesi scorsi, un dibattito interno aspro, si marcano le differenze, ma poi in aula la ricomposizione, secondo il principio che nessuno vuole per davvero andare a casa e lasciare gli scranni in genere immeritatamente occupati come già detto dalla corte costituzionale e dai fatti di questi mesi. Quindi nonostante febbri alte e mal di pancia, alla fine Renzi porterà a casa anche il sì all'Italicum. Certo il Pd si spacca in direzione, la minoranza non vota, Speranza si dimette da capogruppo, ma poi le dinamiche parlamentari asorbiranno tutto come una innaturale spugna sintetica. Così un attonita opinione pubblica vede ampliarsi sempre di più la distanza con il palazzo, una forbice incolmabile, con la maggioranza delle persone comuni sempre di più occupate a mettere insieme il pranzo con la cena o a parare i colpi di una crisi che in realtà non accenna a mollare la sua tagliola. Messo in dispensa anche l'italicum la politica si vedrà impegnata, nel suo piccolo mondo antico, con le elezioni regionali, contando sempre sull'elemento che caratterizza ormai da troppo tempo il nostro paese. Si confida sulla smemoratezza dell'opinione pubblica, conniventi la maggior parte dei mezzi di informazione, quella televisiva in primis, che difficilmente contraddice gli “ospiti” politici quando parlando dei fatti del giorno. Sembra siano tutti appena arrivati da Marte, nessuna responsabilità sul governo delle cose nel passato. Così Salvini dimentica che la Lega Nord è stata al governo per anni, lo stesso fa Forza Italia e lo stesso fanno in una par condicio della smemoratezza le altre forze oggi di governo e ieri, in qualche modo... anche. Nessuna responsabilità sulle scelte del passato quindi. Invece le responsabilità ci sono eccome, il problema è che nessuno paga mai in Italia, né dal punto di vista giudiziario, grazie all'istituto della prescrizione sul quale è veramente fondata la nostra Repubblica, nè dal punto di vista politico, grazie alla connivenza dei media e alle caratteristiche di parte del popolo italico propenso a farsi intortare da qualche promessa elettorale. C'è qualcuno invece che ha deciso di agire diversamente, ed è guarda caso la Grecia di Tsipras che, nell'indifferenza della stampa italiana, sta tentando un operazione epocale. Non riuscendo come era ovvio a spuntarla se non in maniera residuale contro lo strapotere di un Europa che tiene il piccolo paese ellenico nella morsa, il Parlamento greco ha deciso almeno di fare chiarezza sulle responsabilità nazionali. Un processo a chi ha governato potrebbe essere la piccola falla nella diga che provoca il crollo di una politica europea che con la scusa di pensare al futuro si dimentica delle responsabilità del passato. E' stato disposto infatti dal parlamento greco il varo di una Commissione di inchiesta destinata a fare luce sull’accordo capestro stipulato dai predecessori di Tsipras con gli emissari della famigerata Troika. Un riflettore non solo sulle presunte malefatte dei vari Samaras e Venizelos, che secondo i Greci hanno svenduto la Patria per entrare nelle grazie dei conquistatori europei. Ma per riflesso il “processo” è in realtà all'Europa e che questo lo faccia un parlamento sovrano è di certo una novità assoluta. Potrebbe essere un primo passo per arginare quel processo si “germanizzazione” dell'Europa che non sembra trovare oppositori veri. Non lo sono di certo i vari Rajoy, Renzi, Passos Coelho o Hollande, anzi perfino Renzi ed Hollande esponenti dichiarati di un socialismo europeo che rischia di far rivoltare i padri fondatori nella tomba non si differenziano, se non in particolari insignificanti, dalle politiche di austerità della Merkel, che in questo almeno è coerente. La favoletta della competività, la demonizzazione della spesa pubblica tout court, le privatizzazioni selvagge, l'aumento dell’età pensionabile, la precarizzazione del lavoro con, nel caso del jobs act italico, il camufflage del tempo indeterminato a previsione di licenziamento crescente dopo il triennio, lo svuotamento del welfare, la compressione dei salari, tutti elementi che sono ormai un patrimonio condiviso della politica europea in mano alle banche che tutti odiano a parole ma osannano nei fatti. E mentre qualcuno ipotizza che questa “Europa”, non è altro che la teutonizzazione del Vecchio Continente in una logica funzionale al sogno hitleriano realizzato grazie all'imposizione di regole finanziarie strangola popoli anziché con l'uso dei panzer, resta una sola speranza. Non la rottura di un patto fondativo che è nell'idea di Europa unita, ma nella rottura del patto scellerato, tutto politico-finanziario, che sta determinando l'impoverimneto di interi paesi attraverso lo scudo dell'ineluttabilità delle cose. Invece pochi ricordano che in realtà il potere decisionale rimane ancora oggi prerogativa dei singoli Stati nazionali ed anche se l'esempio della Grecia è certamente ancora debole, la strada tracciata dalla patria che fu degli inventori della democrazia, è quella giusta. Il voto popolare potrebbe rompere il meccanismo perverso. Nessuna legge europea potrebbe impedire a nessun premier democraticamente eletto di assumere, in nome e per conto del proprio Paese, posizioni politiche alternative rispetto a quelle che predicano il rispetto dell’ortodossia del rigore. Occorrerebbe tanto coraggio e un fronte internazionale di peso, quel fronte che con una certa ingenuità Tsipras pensava di creare fidandosi di Hollande e Renzi, che con grave colpa, gli hanno dato delle belle pacche sulla spalle seguite da un eloquente “vai avanti tu” per poi piazzargli il coltello nella schiena appena richiamati all'ordine dal vero premier Europeo, non lo Junker che è solo una comparsa, ma da quella Angela Merkel che comanda il vecchio continente forte del voto popolare dei soli tedeschi. Ma tanto basta, in questa Europa così disegnata e che è ostaggio della garrota e dei tank travestiti da vicoli di bilancio.