Italiani preda di “sovranismo psichico”. Il 52° Rapporto Censis descrive un paese arrabbiato e impaurito, facile preda della politica senza scrupoli

Arrabbiati, impauriti, diffidenti ma soprattutto soli. Questa la fotografia degli italiani , una immagine che calza a pennello con le scelte politiche attuate a livello elettorale. Se aggiungiamo a questo che il nostro non è paese per e di giovani, il quadro desolante è concreto. Non si tratta di un giudizio fine a se stesso ma di una indagine precisa, parliamo del 52° Rapporto Censis che si spinge a dare anche una definizione a quanto sta accadendo agli italiani, il rapporto parla di "sovranismo psichico". Un’immagine in cui campeggia la delusione per una ripresa prematuramente sfiorita e per il fatto che non si sia verificata una vera ripartenza economica con il risultato di aggrapparsi alle improbabili ricette leghiste da una parte e pentastellate dall'altra, ricette però non solo in perenne conflitto fra loro, ma in linea generale approssimative quando non demenziali. Del resto i dati economici degli ulimi sei mesi appaino più di una tendenza temporanea, con il Prodotto interno lordo che ristagna, inchiodato com’è a un modesto +0,7% tendenziale rispetto allo scorso anno, molto al di sotto delle previsioni fantasiosa del Governo giallo-verde, i consumi delle famiglie non ripartono ed anche il prossimo Natale difficilmente vedrà la tendenza invertirsi. Ma c'è di più, la produzione industriale ha incominciato a flettere, così come l’export, mente restano basse le retribuzioni. Ma forse ancora più devastante è la fotografia dell'umore della popolazione e a tutte le fasce d'età: c'è infatti un diffuso senso di impotenza e di convinzione che la politica sia una sfera puramente autoreferenziale. Basti pensare che in uno degli anni che sta marcando la più alta discontinuità politica della storia repubblicana con l'avvento al potere di una forza eterogenea come il M5s, il 56,3% degli italiani dichiara che non è vero che nel nostro paese le cose stiano cambiando. Altro che Governo del “cambiamento”, lo pensano, in particolare, il 73,1% degli studenti, il 62,2% degli anziani, il 60,7% dei residenti nel Nord Ovest e il 60,2% delle donne.

Il fatto è che in un’epoca di bassa crescita (o, addirittura, a rischio di un rapido ritorno in recessione) si arresta anche la fiducia in un ascensore sociale che funzioni. Così l’Italia è oggi il paese dell’Unione europea con la più bassa quota di cittadini che affermano di aver raggiunto una condizione socio-economica migliore dei propri genitori (23% contro il 33% tedesco o il 43% della Danimarca) mentre la quasi totalità delle persone con basso titolo di studio e basso reddito ritiene che resterà per sempre nella sua condizione e mai potrà diventare benestante.

La delusione e il rancore, in una società praticamente balcanizzata, possono diventare cattiveria vera a propria ci dice il Censis, che appare assai preoccupato dal «sovranismo psichico», cioè la crescente tendenza all’enfatizzazione identitaria e al rifiuto dell’altro. Basti pensare ai sondaggi che segnalano come il 63% degli italiani oggi vede in modo negativo l’immigrazione da paesi non comunitari; una quota che, ovviamente, è divenuta preponderante nelle categorie più fragili, anziani e disoccupati. Ma c'è di più, dai dati Censis risulta che del 63% degli italiani vede in modo negativo l'immigrazione dai Paesi non comunitari, il 58% pensa che gli immigrati sottraggano posti di lavoro ai nostri connazionali, il 75% che l'immigrazione aumenti il rischio di criminalità.
Questo spiega le politiche di Salvini che cavalca queste percezioni cercando di avvalorale spesso con le sue Fake news o quantomeno con il martellante evidenziare ogni dato che possa aumentare la percezione di insicurezza verso i migranti. Ma è molto probabile che il cavallo di battaglia leghista sia destinato a perdere fiato sopraffatto dalle altre criticità, quelle vere, sul piano economico e sociale. Basti pensare che il potere d'acquisto degli italiani risulta dai dati essere inferiore del 6,3% in termini reali rispetto a quello del 2008, ma soprattutto il problema è il timore di spendere anche quello che si ha, infatti la liquidità ferma cresce, nel 2017 superava del 12,5% quella del 2008. Questo spiega la stagnazione dei consumi, perchè a spendere meno sono gli operai e chi sta peggio, nelle famiglie di imprenditori la spesa per consumi tra il 2014 e il 2017 è invece aumentata del 6,6%, ma questi sono numericamente pochi. Ma la fotografia del 52mo rapporto non si ferma ai dati contingenti, analizza anche le altre realtà del Paese. L'Italia ad esempio è fanalino di coda nella spesa in istruzione, investe poco lo Stato e si ritrae anche il cittadino che fra le prime spese che contrae sono quelle relative alla cultura. Nella distribuzione delle risorse disponibili, rileva il Censis, alla tradizionale sproporzione tra gli investimenti nei segmenti scolastici iniziali e l'Università (meno finanziata) si è sostituito "un omogeneo volare basso che ci colloca in tutti i casi al di sotto della media europea". L'Italia investe infatti il 3,9% del Pil, mentre la media europea è del 4,7%. Investono meno di noi solo Romania, Bulgaria e Irlanda. Si sta anche facendo prepotentemente strada la tesi che l'istruzione classica serva poco, così abbiamo meno laureati e molti attratti invece dai miti del web, "social" in primo piano, dove teoricamente, almeno così pensano in tanti, tutti possono diventare registi, fotografi, giornalisti, filosofi e tuttologi. Le speranze dei giovani si stanno via via concentrando sulle logiche tanto care ai grillini, con metà della popolazione italiana convinta che oggi chiunque possa diventare famoso, e che l'ascensore sciale non si attivi con impegno e studio ma con le scorciatoie date da internet. Una convinzione che fra i giovanissimi è più radicate basti pensare che il 53,3% tra i giovani tra i 18 e i 34 anni è convinto che basti postare le cose giuste su Facebook o Youtube per diventare famosi e fare tanti soldi. Il risultato di questa nuova ideologia si concretizza in un tasso di abbandoni precoci dei percorsi di istruzione del 18% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, quasi doppio rispetto a una media europea del 10,6%, nelle basse performance dei quindicenni italiani nelle indagini Ocse-Pisa, e in 13 punti percentuali di distanza che ci separano dal resto dell'Europa in relazione alla quota di popolazione giovane laureata. I laureati italiani tra i 30 e i 34 anni raggiungono il 26,9%, contro una media Ue del 39,9%. In tutta questa situazione pesano ancora lo squilibrio tra Nord e Sud.