Fotografia di una guerra: Chi sono i protagonisti della crisi nello Yemen

L’offensiva lanciata nello Yemen dall’Arabia Saudita e da altri nove paesi (Marocco, Egitto, Sudan, Giordania, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Bahrein, Pakistan) con la “benedizione di Usa e Gran Bretagna e la benevolente indifferenza del resto dell'occidente per fermare l’avanzata dei ribelli houthi rischia di trasformare una crisi politica interna in un conflitto regionale se non peggio. Ma le tante domande relative alle ragioni di un acutizzarsi della crisi nello Yemen alcune risposte possono essere date, soprattutto quelle relative ai protagonisti della guerra civile yemenita che ora diventa guerra terrestre vera e propria. Iniziamo con il dire che gli Houthi sono popolazione originaria del nord dello Yemen e seguaci dello zaidismo, una variante locale dell’islam sciita. Diciamo anche che l'area è da sempre turbolenta, senza andare nel passato più remoto si può dire che già avvisaglie di quanto poi avviene ai giorni nostri si possono ritrovare nei priome anni 60, era infatti il 1962 quando nello Yemen scoppiò una guerra civile tra i repubblicani e la fazione fedele alla corona yemenita, contrariamente a quanto avviene oggi però Egitto e Arabia Saudita allora erano su fronti contrapposti. Nel 62 le forze militari egizianeinfatti entrarono nel territorio dello Yemen con l'intento di aiutare le forze repubblicane, mentre l'Arabia Saudita appoggiò i sudditi fedeli alla corona. La tensione tra Arabia Saudita ed Egitto terminò solo nel 1967 con il ritiro dei militari egiziani dallo Yemen.

Tra il 2004 e il 2010, dalle loro roccaforti intorno a Saada, al confine con l’Arabia Saudita, gli Houthi avevano già combattuto una lunga serie di guerre contro il governo del presidente Ali Abdullah Saleh. Dopo la rivoluzione del 2011, e in particolare a partire dal 2013, inizia una sorta di telenovela in salsa islamica dove gli attori spesso si confondono e dove amici e nemici si interscambiano rendendo difficile la comprensione della situazione. Comunque ci proviamo: Gli houthi quindi si sono scontrati a varie riprese con altre milizie, con potenti gruppi tribali e con i combattenti qaedisti. Nel settembre dello scorso anno, insoddisfatti del ruolo offerto al nord dal progetto di nuova costituzione federale che si stava faticosamente mettendo in atto, sono avanzati verso la capitale Sanaa e a gennaio l’hanno conquistata, costringendo il governo riconoscito a livello internazionale a dimettersi. Nelle scorse settimane hanno lanciato un’offensiva per conquistare Aden, città portuale del sud, dove aveva trovato rifugio il presidente in carica Abd Rabbo Mansur Hadi costretto alla fuga. La loro presa di potere è stata possibile solo con un’alleanza di circostanza con il loro ex nemico Ali Abdullah Saleh e il sostegno dell’Iran, paese a maggioranza sciita. Ali Abdullah Saleh È salito al potere nel 1978, inizialmente come presidente dello Yemen del Nord, uno stato indipendente fino alla riunificazione con lo Yemen del Sud nel 1990. Ha lasciato l’incarico all’inizio del 2012 in seguito alle proteste popolari ispirate dalle primavere arabe, accettando un piano di transizione promosso dai paesi del Golfo. Saleh ha continuato ad avere il sostegno di una parte significativa dell’apparato della sicurezza. Nonostante tra il 2004 e il 2010 abbia lanciato almeno sei offensive contro gli houthi, la nuova alleanza con i vecchi nemici, per ora, fa comodo a entrambi: gli houthi hanno bisogno di avere al loro fianco una figura conosciuta a livello nazionale e Saleh è uno sciita; l’ex presidente ha bisogno di una forza militare per cacciare il nuovo governo. Le due parti, inoltre, hanno un nemico comune: il partito Al Islah, il ramo yemenita dei Fratelli musulmani, alleati del presidente Abd Rabbo Mansour Hadi.
Abd Rabbo Mansur Hadi era il vice di Saleh e l’ha sostituito quando l’ex presidente è stato costretto a lasciare il potere. In seguito è stato eletto come capo dello stato alle elezioni del 2012. È sostenuto dagli Stati Uniti e dalla maggioranza dei paesi del golfo Persico perché ha appoggiato la lotta contro il terrorismo jihadista nello Yemen, ma non è mai riuscito ad affermare fino in fondo la sua autorità e si è dimostrato, secondo autorevoli osservatori internazionali, inefficiente e debole di fronte alle sfide degli ultimi anni, dalla siccità alla crisi economica, dagli attacchi terroristici alle ingerenze straniere. Dopo essere stato messo agli arresti domiciliari a febbraio, in seguito alla conquista di Sanaa da parte degli houthi, Hadi è scappato e si è rifugiato nel grande porto meridionale di Aden, suo luogo di nascita e seconda città del paese, scelta come nuova capitale dello Yemen. È sostenuto da una parte dell’esercito e della polizia e da una milizia nota come Comitati di resistenza popolare. Ma la popolazione del sud gli rimprovera di aver represso le rivendicazioni secessioniste durante il suo mandato da presidente e quando era ministro della difesa. Forse anche per questo la popolazione non ha frenato l'avanzata delle forze houthi, fatto che ha determinato la fuga Hadi rifugiatosi in Egitto. Nonostante la fragilità dei suoi appoggi locali, Hadi ha comunque il sostegno della comunità internazionale. Hadi è sunnita, la corrente dell’islam maggioritaria nello Yemen.
Altro attore sul territorio yemenita è una vecchia conoscenza dell'occidente, Al Qaeda nella penisola araba (Aqpa) Considerato come il ramo più pericoloso di Al Qaeda, il gruppo si oppone sia agli houthi sia al presidente Hadi. Si è formato nel gennaio del 2009 dalla fusione dei rami yemenita e saudita di Al Qaeda. La presenza dei jihadisti nel paese risale ai primi anni novanta, quando migliaia di combattenti tornarono nello Yemen dopo la guerra contro l’occupazione sovietica in Afghanistan. Combattuto dal governo saudita, il gruppo è stato costretto a stabilire le sue basi nello Yemen. Nel 2010 gli Stati Uniti hanno cominciato a bombardare le postazioni del gruppo con i droni. L’Aqpa è alleato con le tribù delle zone di frontiera nel nord e nel sud del paese. Secondo il dipartimento di stato Usa nel 2014 l’organizzazione aveva quasi mille affiliati in armi. Dal 2006, l’Aqpa ha rivendicato la responsabilità di numerosi attentati nella regione, tra cui gli attentati alle ambasciate degli Stati Uniti, d'Italia e del Regno Unito. Gli obiettivi del gruppo sono rovesciare il governo di Sanaa, colpire gli occidentali e i loro alleati, tra cui i componenti della famiglia reale saudita, e danneggiare i loro interessi nella regione.
Una new entry è il “Gruppo Stato islamico” che ha annunciato il suo arrivo nello Yemen il mese scorso. Finora le uniche operazioni conosciute del gruppo sono stati i recenti attentati suicidi contro due moschee sciite a Sanaa, che hanno provocato 137 morti e centinaia di feriti. Alcuni gruppi jihadisti locali accusano l’Aqpa di non essere stata in grado di fare gli interessi dei sunniti yemeniti e si sono avvicinati allo Stato islamico. Attore esterno, ma che ora con la probabile invasione armata diventerà “interno” è l'Arabia Saudita che condivide con lo Yemen un confine lungo olte 1700 chilometri. Riyadh considera il vicino l’anello più debole per la sua sicurezza nella regione del Golfo e un terreno fertile per le ingerenze di Teheran. Per questo ha sempre sostenuto il governo di Sanaa e ha tenuto una posizione ostile verso i ribelli houthi. Riyadh ha già condotto un’operazione militare contro gli houthi nel 2010. Poi nel 2014 con la benedizione Usa li ha inseriti nella lista dei gruppi terroristici. Ma l'Arabia Saudita ha anche fornito a Sanaa sostegno economico e militare per contrastare le attività di Al Qaeda nella penisola araba. La decisione di bombardare Sanaa e di guidare la coalizione regionale contro l’avanzata degli houthi è stata presa per impedire all’Iran “di inasprire il conflitto confessionale nella regione”, nel momento in cui a Losanna sono in corso i negoziati sul programma nucleare iraniano tra Teheran e i paesi del gruppo 5+1 (i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu e la Germania). Insomma le ragioni non sono solo locali, ma anche di squilibrio della delicata situazione geopolitica del Medio Oriente Da anni Arabia Saudita e Iran infatti conducono una lotta per affermare il loro potere e la loro influenza in Medio Oriente, sfruttando le divisioni confessionali tra sciiti e sunniti. Per questa ragione non desta meraviglia il fatto che molti rapporti evidenzino prove degli aiuti iraniani agli houthi sotto forma di armi e denaro, precedenti e successivi alla presa di Sanaa nel settembre scorso. Alcuni combattenti houthi sarebbero anche andati ad addestrarsi in Iran. Gli zaiditi, che rappresentano tra il 35 e il 40 per cento dei 24 milioni di yemeniti, sono infatti una costola dell’islam sciita. In passato il sostegno di Teheran alla ribellione degli houthi non è stato forte come quello garantito ad altri gruppi sciiti della regione, come Hezbollah in Libano. L’allontanamento dal potere dell’ex presidente Saleh ha riacceso gli interessi iraniani nei confronti dello Yemen. Per Teheran consolidare l’influenza su paese significherebbe avere una base per eventuali operazioni contro l’Arabia Saudita e questo non può essere tollerato da Riyadh e dagli alleati americani.