Einstein antiquario: Meccanica celeste nell’orologio astronomico di Berna

Premessa: Il giovane Albert sin da bambino è probabile abbia osservato con curiosità le antiche meridiane, gli orologi solari molto diffusi nelle città e nelle campagne di tutta Europa, ma non sappiamo se li abbia anche indagati e analizzati con attenzione.  Quando nel gennaio 1902, da Zurigo, dove alloggiava come studente, si trasferisce a Berna, sede dell’ufficio brevetti in cui avvìa la propria carriera professionale, invece è certo che il celeberrimo orologio astronomico cittadino gli comparisse ogni giorno davanti agli occhi: visibile sulla stessa via a poche centinaia di metri dalla sua abitazione. Dal 1902 al 1905, l’anno in cui scriverà i noti cinque articoli che rivoluzioneranno la fisica del Novecento, Albert data la sua indole di persona curiosa e affascinata dai meccanismi complicati e cervellotici, potrebbe essersi posto il problema di come funziona il criptico sistema di ruotismi e geometrie che caratterizzano l’antico orologio astronomico della torre di Berna.

Esaurita la suggestione degli automi che ad una certa ora compaiono e scompaiono ai rintocchi delle ore principali del giorno, l’attenzione potrebbe essersi concentrata sulla correlazione (Terra)-Luna-Sole-Costellazioni, come compare al centro dell’orologio, sul cerchio mobile zodiacale. Quando Albert in compagnia dell’amico Michelangelo Besso, passeggiava per le strade di Berna, può essere che quello “strano” orologio possa aver ispirato mirabili fantasie e ragionamenti antiquari…
Tenendo presente le sorprendenti e geniali idee che ogni giorno all’ufficio brevetti Albert doveva passare in rassegna, idee ad alto contenuto tecnologico per quei tempi, molte di queste orientate alla misurazione del tempo e alla sincronizzazione degli orologi ferroviari (anche con ingegnosi scambi di segnali elettromagnetici!), è plausibile che il sistema degli antichi orologiai, di collegare in un unico meccanismo il tempo e lo spazio abbia incuriosito Albert e Michelangelo, giovani amici di belle speranze dell’Accademia Olimpia, l’associazione informale nata per discutere di filosofia, scienza, teologia che si riuniva qualche volta a cena in un clima di amena cordialità.

Nello scritto del 1905 che illustra la sua teoria della relatività speciale, Albert ringrazia l’amico Besso per i suggerimenti ricevuti: la letteratura scientifica è propensa a supporre che il contributo di Besso possa essere stato non strettamente tecnico, ma a carattere più generale e filosofico. Sappiamo che prima di scrivere quell’articolo Einstein era rivolto a pensare al problematico rapporto tra la luce e il tempo. In particolare se la luce non possiede velocità infinita e il concetto di “simultaneità” viene definitivamente meno (tema ben noto al mondo scientifico e tecnico di allora), cosa ne è del tempo assoluto? Ecco che, a questo punto, lo spazio-tempo dell’orologio astronomico di Berna, forse grazie anche al contributo dell’amico, può aver suggerito una mirabile intuizione…

Una mirabile intuizione?

Non credo che leggendo gli articoli di Albert Einstein del 1905, si abbia l’impressione di seguire i ragionamenti di un astronomo. l’autore medita sulle dimensioni delle molecole, sul moto browniano, su radiazione e proprietà energetiche della luce, su massa di un corpo e suo contenuto di energia (con esplicito riferimento ai sali di radio), su spazio e tempo con riferimento alla cinematica del corpo rigido per argomentare di elettrodinamica (Maxwell): il suo obiettivo è mettere a fuoco l’identità fisica della luce: era rivoluzionario, a detta dello stesso Einstein, immaginare che la luce possedesse una struttura a granuli, come un gas, dotati di massa (poi chiamati fotoni), e interagenti con la materia.
Tra il 1905 e la formulazione della Teoria della relatività generale, invece è sicuramente intervenuta anche una approfondita meditazione sugli astri e lo spazio siderale. Faccio questa considerazione per mettere ancor meglio in evidenza come la lettura del quadrante astronomico dell’orologio di Berna possa aver offerto ad Albert Einstein un prezioso spunto di riflessione nel 1905.
Quando viene formulata la Teoria della relatività ristretta, la perdita di simultaneità tra due eventi visti da due sistemi di riferimento in moto relativo (uniforme) tra loro, è conseguente all’aver assunto, come postulato, limitata la velocità massima della luce: 300.000 km/sec. Se la luce non ha velocità infinita, sono le altre due grandezze a farsi carico di questo limite: ovvero lo spazio e il tempo.

Einstein, nel suo scritto “Elettrodinamica dei corpi in movimento” quando tratta la parte cinematica, alla fine ammette di immaginare due orologi posti su un medesimo meridiano, ma uno all’equatore e l’altro ad uno dei due poli terrestri. Non è interessato alla longitudine, ma ha in mente due orologi che “segnano istantaneamente” il mezzogiorno dell’ora locale. Ebbene due orologi posti sul medesimo meridiano, ma ad una differente latitudine possiedono andamenti differenti: uno è più lento relativamente all’altro, cioè il loro spazio temporale è diverso (si dilata all’equatore per il primo orologio, si contrae al crescere della latitudine, per il secondo). Senza confrontare orologi sincronizzati, il “dilatarsi” e il “contrarsi” delle lunghezze dei tempi è immediatamente percepibile osservando l’orologio astronomico di Berna: in corrispondenza di ogni segno zodiacale che indica una precisa costellazione, al passare delle stagioni da quella con maggior luce estiva a quella con minor luce invernale, anche i relativi spazi unitari di tempo di passaggio del sole sono proporzionalmente dilatati o contratti. Se nella Teoria della relatività ristretta un postulato è l’invarianza della velocità della luce, negli orologi astronomici antichi l’invarianza è la durata del giorno solare (medio) di 24 ore. La costruzione dei ruotismi dell’orologio insieme alla geometria dei suoi quadranti (orario, giornaliero, stellare) ha comportato l’utilizzo di tacche temporali siderali (per sole e luna) differenti, ma percorrenti unità di tempo omogenee: al pari delle trasformate di Lorentz, nessuna misura delle tacche è più “vera” delle altre: ogni istante temporale è relativo alla posizione del sole (o della luna) rispetto alle stelle, nell’arco dell’anno.
Forse proprio la fascinazione degli orologi astronomici antichi, l’uso “relativo” di spazi temporali differenti per unità di tempo omogenee, ha innescato in Albert Einstein un ragionamento differente da quello portato avanti da Lorentz sulla contrazione dell’elettrone: considerare “vere” e non fittizie le misurazioni del “tempo locale” e quindi escludere la possibilità dell’esistenza di un tempo universale valido per tutti i sistemi di riferimento.
orologio praga


Successivamente al 1905, se manteniamo valida l’ipotesi che l’orologio astronomico di Berna, di concezione rigorosamente geocentrica, abbia effettivamente incuriosito la mente di Einstein, l’estensione della Teoria della relatività ristretta allo spazio fisico, al sistema solare, alla forza di gravità e ai sistemi di riferimento accelerati, potrebbe essere interpretata anche come conseguenza necessaria nell’immaginare contemporaneamente due sistemi cosmici contrapposti, ma equivalenti: il sistema copernicano e il sistema di Tyco Brahe.
Quest’ultimo sistema è geocentrico: tutti i pianeti girano intorno al sole, tranne la luna. E’ proficuo supporre che quando Einstein perviene al suo Principio di equivalenza, potesse avere in mente contemporaneamente anche il modello geocentrico di Tyco Brahe. E’ affascinante immaginare l’universo finito einsteniano non molto estraneo negli aspetti topologicamente più compatibili, con le concezioni cosmiche rinascimentali pre-copernicane.

Michelangelo Castellarin

Didascalia di apertura: Immagine del quadrante dell’orologio astronomico di Berna. Nel testo orologio astronomico di Praga, entrambi osservati da Albert Einstein tra il 1902 e il 1912.