Disordini e scontri in Burundi, nel mirino la ricandidatura del presidente Nkurunziza

Non si fermano le proteste e i disordini in Burundi dopo la decisione del presidente Pierre Nkurunziza di candidarsi per un terzo mandato alle elezioni del 26 giugno.
La costituzione burundese prevedrebbe solo due mandati ma Nkurunziza rivendica la legittimità della sua candidatura perché nel 2005 era stato nominato dal parlamento e non eletto dal popolo e quindi, in caso di elezione, andrebbe a ricoprire il suo secondo mandato.
Ad peggiorare la situazione ha senz’altro contribuito il via libera dato dalla corte costituzionale alla sua candidatura, una decisione che, secondale dichiarazioni del vicepresidente della corte, Sylvere Nimpagaritse, ora fuggito in Ruanda , sarebbe stata raggiunta dopo forti pressioni da parte del governo.
Il bilancio degli scontri fornito dalla Croce Rossa del Burundi è di 16 morti e numerosi feriti in diverse parti del paese. Fonti ONU parlano inoltre di 40.000 profughi, di cui ben 25.000 nel solo Ruanda, in queste ultime settimane.
Pare si siano anche verificati casi di intimidazioni contro i Tutsi nel nord del Burundi da parte della milizia Imbonerakure, l'ala giovanile del partito al potere, ma i fatti non sono confermati. È invece notizia certa l’arresto del candidato indipendente alle prossime elezioni Audifax Ndabitoreye, accusato di “insurrezione”.
La situazione rimane molto tesa e non sembra prospettarsi una soluzione. Da una parte, il presidente Nkurunziza dichiara che “gli arrestati verranno liberato solo se le proteste si placheranno”, aggiungendo che non si ricandiderà fra cinque anni se verrà eletto a giugno. Dal canto suo, uno dei leader della protesta, Pacifique Nininahazwe, afferma che l’unica via d’uscita “è la rinuncia di Pierre Nkurunziza”.
La piccola repubblica centro-africana, considerata uno dei cinque paesi più poveri al mondo, ha raggiunto l’indipendenza nel 1962 ed è stata lacerata da colpi di stato e da una guerra civile durata dal 1993 al 2006 quando fu firmato un cessato il fuoco, anche se non sono mancati scontri negli anni successive e le tensioni all’interno del governo sono sempre state molte alte: accuse di brogli elettorali, mancanza di libertà politica, incarcerazione degli oppositori, ecc.
Sono solo alcuni fatti che sembrano ripetersi nei vari paesi africani dove dietro gli scontri tra etnie, casi di corruzione e governi dittatoriali si celano interessi molto più grandi.
La guerra burundese, durata ben 13 anni, ha sì paralizzato l’economia del paese ma ha anche permesso l’ingresso nel territorio di potenze mondiali che puntano al Burundi come base geo-strategica di notevole rilevanza per la sua vicinanza al ricchissimo Congo, con il quale condivide il lago Tanganika, un’enorme distesa di acqua da anni soggetta all’esplorazione di petrolio di cui pare sia ricco.

Danielle Maion