Centenario Dadaista: “La mia casa è in un puntino nell’Universo”

Puntino universale (1)Hugo Ball, cento anni fa a Zurigo, inaugurò al Cabaret Voltaire di Zurigo la prima serata dadaista: era il 5 febbraio 1916, durante il primo drammatico conflitto mondiale. Una serata storica per testimoniare con il sacrificio-massacro del fare artistico, dell’estetica e dell’etica europea, dei grandi nomi della nostra civiltà - Kant e Voltaire inclusi – il fallimento non riscattabile dell’umanità in guerra. Al contrario dei Futuristi, dei quali condividevano l’irriverenza alla “ragione”, i giovani ispirati dalle melanconiche meditazioni di Hugo Ball non accettarono di patire la sofferenza della propria generazione: darsi reciprocamente la morte in una guerra di posizione, incomprensibile, assurda, nonostante la conclamata secolare saggezza delle nazioni europee a cercare la pace e le ragioni profonde della convivenza internazionale.
La civiltà europea è fallita, la Prima Guerra Mondiale ne era la prova: le ideologie borghesi e quelle socialiste, la filosofia, le religioni, l’arte da quella classica a quella contemporanea, non era più credibile. Il “Bello” non porta al “Bene”, ma al “Bellum”, alla guerra, all’odio, alla vendetta di sangue, al male organizzato.
Era necessario, dunque, oltrepassare la “ragione” riappropriarsi del “caso” del “fare a caso” nell’azione artistica senza mediazione intellettuale, giacché ormai era certo che la casualità non è necessariamente meno pericolosa e disumana dell’ordine, del fare progettuale, della simmetria e della giusta proporzione tra le parti: la razionalità è follìa, la peggiore follìa, insospettabile, che germina invisibilmente dentro lo spirito ingenuo dell’umanità. L’arte deve smascherare questa impurità della “ragione” e della “Ragione”, imitando il caso, disarticolando ogni fisso riferimento, o canone estetico, manifestando un infantile approccio agli oggetti, distruggendo ogni forma di meccanismo e legame tra le cose: materiali, parole, suoni, immagini, che siano.
Questa origine “Dada” del post-Moderno, oggi è sopita, per non dire dimenticata. L’azione artistica del XX secolo si è ridotta a semplice ribellione politica, a provocazione culturale, si è lentamente addomesticata al consumismo pur criticandolo o schernendolo: oggi siamo tutti prevalentemente informali, sfiduciati dell’arte classica, figli dell’improvvisazione e di un’estetica del “brutto”; abbiamo volutamente smarrito i grandi presupposti morali che misero in moto la serata del 5 febbraio a Zurigo; anzi abbiamo preso di mira la morale, borghese, consumista, assolutista, senza ricominciare un percorso, necessariamente faticoso e in salita, per riaffermare la dignità umana, i possibili “Bene” oltre ogni estetica e seduzione del “Bello”. La casa d’abitazione iperfunzionale, esteticamente essenziale, informale e tecnologica, privata da ogni riferimento col passato, senza memoria storica, sradicata d’antiquariato, solo apparentemente “concilia” con le istanze dadaiste: non a caso, ora, è un antiquario a scrivere di Hugo Ball (ma in questi giorni a parte Zurigo, Torino, Vicenza, Modena, Milano, chi evoca il 5 febbraio? Pochi, pochissimi operatori culturali hanno ricordato il centenario). Oggi una casa dadaista dovrebbe avere le condotte del metano che si invertono con quelle dell’acqua, i fili elettrici esibiti e visibili, il water sostituito con il lavello della cucina, e viceversa, il salotto in giardino, la televisione nel ripostiglio, il telefono fisso che squilla dalla cuccia del cagnolino: invece tutto è perfettamente “razionale”, tutto è ben congeniato nelle nostre case per funzionare: è stato tolto con formidabile idiozia consumista, il “passato” che ci aiuterebbe a interpretare questo “presente”, sin troppo relativista e ben sospetto d’essere essenzialmente un “bellum”. Anche nelle forme più accese di ribellione culturale, cioè alla Biennale di Venezia dell’Architettura o dell’Arte, non ricordo provocazioni dada che marcino in direzione anti-funzionale così provocatorie da evocare ad esempio Hans Arp e Tristan Tzara, o Marcel Duchamp. Anche l’arte oggi celebra il “caso”, ma a differenza di cent’anni fa, lo celebra come opportunità estetica, per generare stupore d’occasione, eventi sociali privi di troppa lungimiranza civile, finalizzati semmai ad un banale aumento del PIL per l’anno in corso, e a beneficio delle amministrazioni pubbliche del settore culturale.
Oggi i dadaisti di allora, invece, stupirebbero di fronte all’immagine fotografica scattata da Voyager 1, nel 1990: la “Pale Blue Dot”; l’immagine della Terra scattata dal confine del Sistema Solare, a sei miliardi di chilometri di distanza da “casa nostra”… Come si può vedere dall’immagine storica qui pubblicata, in quel puntino reale nel buio dello spazio più profondo, abita il passato, presente, futuro della nostra Umanità. Viviamo il secolo della “Big Science”, della ricerca scientifica e tecnica che vive grazie a finanziamenti milionari e con pieno impiego di una quantità ingente di scienziati: una nuova classe operaia intelligente specializzata nell’agire e nel pensare.
Siamo nell’Era dell’Informazione, ma gli stessi operatori del settore confermano, anzi dimostrano, che i processi di dis-informazione, mescolanza di vero/falso, perdita formativa, si sono nonostante l’evoluzione tecnologica, accresciuti esponenzialmente.
Nell’immagine della Terra dallo Spazio, i dadaisti vedrebbero il puntino come un microcosmo immerso nel macrocosmo: la Terra ridotta alla grandezza di un pixel, ovvero alla misura reale dello zigote umano! (lo zigote è il concepito monocellulare).
Queste misure indicate sono inferiori al millimetro, eppure contengono un cosmo di colori, vita e futuro.
Oggi i dadaisti da Zurigo ci inviterebbero a non dare troppa fiducia alla Civiltà della Scienza & Tecnica, a diffidare dalle speranze odierne proprie della dittatura del proletariato, come allora a quelle della civiltà borghese: le forze capitaliste, oggi come in passato, sono asservite ancor di più alle persone giuridiche piuttosto che alle persone fisiche; il disumano agisce da “servo” e dunque ci appare sopportabile.
Recuperare memoria è necessario: oggi anche i Dada sono entrati nella memoria di un passato da non dimenticare.
Ma allora c’è spazio per un pensiero dada nel XXI secolo? la risposta, per me, è affermativa. Nel 2009 ho realizzato un Cd musicale per pianoforte solo, dedicato al centenario odierno: chi fosse interessato ad approfondire nei contenuti suggestioni dadaiste, può scrivermi e riceverlo gratuitamente in spedizione postale.

Michelangelo Castellarin