Braccio di ferro fra premi Nobel sulla Grecia, molti voterebbero No

Ci sarà rimasta male la pletora di economisti più o meno improvvisati che fanno a gara per compiacere le teorie del Sì al referendum Greco nello scoprire che il premio Nobel Paul Krugman (nella foto ndr)  è convinto sostenitore del no e che è in buona compagnia. Krugman da sempre osannato dal centrosinistra italiano ed europeo oggi si rivolta al pensiero unico dei poteri forti e dall'alo della sua capacità critica spara bordate difficilmente digeribili, ad esempio, per il Pd renziano. Ieri dalle pagine del New York Times l'economista americano Krugman ha infatti lanciato la sua adesione al fronte pro Tsipras: “La Grecia deve votare no e il governo deve essere pronto a uscire dall'euro” ha detto il premio Nobel per l'economia, la crisi di Atene “rende ovvio che la creazione dell'euro è stato un errore terribile che ha portato a un punto di non ritorno, e ora continuare la politica di austerity rappresenterebbe un vero e proprio suicidio dato che il collasso dell'economia greca non è imputabile solo agli errori che il suo governo ha fatto fino al 2008, ma soprattutto alle misure di austerità e all'euro”. Anche secondo l'economista francese Thomas Piketty, autore del best seller internazionale Il capitale nel XXI secolo, votando per il no i greci contribuirebbero a fare ripartire non soltanto il proprio Paese ma tutto lo sviluppo europeo: “Syriza è l'ultima spiaggia dell'Europa, dove la tensione è talmente alta che sta per scoppiare” ha affermato convintamente, “Sostenere il governo greco vuole dire promuovere un'auspicabile revisione totale dell'attuale politica basata sull'austerity che sta uccidendo il Sud dell'eurozona”. Insomma la bocciatura sonora è per la Ue a trazione germanica. Ma c'è anche l'altro economista americano premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz sulle barricate di Tsiparas: “Se fossi greco saprei chi votare" dice senza mezzi termini dalle pagine del Guardian invitando a sostenere il fronte del no. L'economista americano già in passato analizzato gli errori delle istituzioni economiche internazionali nelle gestioni delle crisi finanziarie. Stiglitz è particolarmente critico nei confronti del Fondo Monetario internazionale accusato di imporre politiche economiche che rispondono alle esigenze dei paesi più forti – soprattutto gli Stati Uniti – che si rivelavano inefficaci o addirittura di ostacolo per il superamento delle crisi, a discapito delle nazioni più povere. E' questo il caso della Grecia, dove in gioco c'è soprattutto la democrazia. Contenuti questi che sono stati espressi in una  lettera appello rivolta ai leader europei da lui firmata insieme a Piketty e altri economisti, pubblicata sul Financial Times.
I greci devono votare no per salvare se stessi e la propria capacità di determinare democraticamente il proprio futuro, perché non sono loro i responsabili dei drammi che stanno vivendo dice l'economista che evidentemente da una lettura umana dei numeri. "Quasi nulla dei prestiti concessi dai creditori sono andati al popolo, ma sono serviti per pagare i creditori privati, tra cui molte banche tedesche e francesi". I leader europei fanno credere ai greci di essere direttamente indebitati con loro per poterli ricattare e "fare accettare loro l'inaccettabile", qualora vincesse il sì. Un voto questo, che sarebbe in palese contraddizione con quanto espresso con le elezioni di gennaio, quando a Tsipras veniva chiesto di porre fine alle misure di austerità.
Ma c'è di più, sostiene l'economista americano e con lui molti altri esperti di politica economica, una vittoria del sì mostrerebbe come l'Europa sia in grado di manipolare il volere dei cittadini, facendo cambiare loro opinione in base ai propri interessi economici. Insomma per il premio Nobel Joseph Stiglitz non ha senso votare per il sì perché le misure “punitive” richieste dai creditori non andrebbero comunque in favore della popolazione, anzi porterebbero a un peggioramento della crisi. A Bruxelles e Berlino “sembrano credere che a forza di bullismo si possa far capitolare il governo greco e fargli accettare un accordo che viola il mandato ricevuto dai cittadini”.
L'invito a votare sì da parte dei creditori mostra come "il concetto di legittimazione popolare sia incompatibile con le politiche dell'eurozona". Quella che la Grecia deve vincere, dice in sintesi Stiglitz , è una battaglia per la democrazia. Gli ellenici hanno la possibilità e il dovere di entrare nella storia mostrando al mondo quanto il progetto europeo sia l'antitesi della democrazia.
Non faremmo buona informazione però se tacessimo il fatto che altri economisti la pensano diversamente, sono infatti 13 gli economisti greci, tra cui il Nobel Chris Pissarides, che hanno più volte chiesto al governo ellenico di firmare un accordo per evitare il default. E nell'appello pubblicato dalla Cnbc descrivono uno scenario apocalittico in caso di una vittoria dei no: “Senza un accordo, la Grecia sarà in default a luglio”, perché “una Grexit e un passaggio a una nuova dracma sarebbero un completo disastro per la Grecia. Le banche crollerebbero e i depositanti dovrebbero ritirare i loro euro senza sapere se saranno in grado di ritirare in un secondo momento e con quale tasso di cambio”.
La nuova moneta debole, prosegue l'appello, porterà a “importazioni molto costose, tagliando il potere d'acquisto dei greci della metà o di un terzo. Politici irresponsabili stamperebbero nuova moneta, alimentando l'inflazione ed eliminando eventuali guadagni di competitività internazionale derivanti dalla valuta più debole. La carenza di beni di prima necessità, anche come i farmaci e il carburante, diventerà la norma”. Una posizione di preoccupazione nella quale, visto che sono tutti facoltosi esponenti del mondo della finanza nella quale si può intravvedere una legittima preoccupazione anche personale. Sembra invece collocarsi con una posizione intermedia l’ex direttore del Fondo Monetario Internazionale Dominique Strauss-Kahn. Non dice apertamente di sostenere il no ma in qualche modo sembra farlo capire. Parla dalle colonne del quotidiano francese Liberation e attacca il carattere “inetto e disastroso degli aggiustamenti di bilancio troppo severi che hanno caratterizzato la crisi europea e sostiene che si vorrebbe continuare a ripetere gli stessi errori”. Quindi, spiega, “costringere il governo greco a cedere creerebbe un precedente tragico per la democrazia europea e potrebbe mettere in moto una reazione a catena incontrollabile”.