VERDETTO DEL PROCESSO STORICO: RICONFERMATA LA CONDANNA AL DITTATORE DEL CIAD HISSÈNE HABRÉ

Si è definitivamente concluso quello che era stato definito “processo storico” quando prese inizio nel luglio 2015. Dopo circa 20 anni di procedimenti, l’ex capo di stato del Ciad, Hissène Habré, condannato all’ergastolo nel maggio del 2016 per crimini di guerra, crimini contro l’umanità, atti di tortura e stupro, ha visto riconfermata in appello la sentenza di primo grado. La condanna è stata pronunciata da un tribunale del vicino Senegal, paese in cui Habré si era fuggito dopo essere stato cacciato da un mandato di cattura emesso dal Belgio nel 2005. A deporlo fu un suo ex consigliere, Idriss Deby, attuale presidente.
Habré, ormai settantacinquenne, dovrà scontare i suoi ultimi anni in galera, ma non è ancora dato di sapere se il vecchio dittatore espierà la sua pena in Senegal o in un altro paese del continente.
Processo storico, si è detto, non solo perché per la prima volta un ex Capo di Stato africano compare davanti alla giustizia di un altro paese per violazioni dei diritti dell’uomo, ma anche perché si è svolto in Africa, dimostrando che uno stato africano è in grado di giudicare un ex dirigente del continente. L’obiettivo è stato quello di rispondere alle crescenti critiche nei confronti della Corte penale internazionale (CPI), con sede all’Aia, accusata di perseguire soltanto i leader africani.
La sentenza è stata accolta positivamente da più parti. Souleymane Gouenggoueng, presidente di un’associazione delle vittime della dittatura, a suo tempo incarcerato dalla “Direction de la documentation et de la Sécurité” (DDS) – la polizia politica del regime – ha fatto sapere: “Ho lavorato per oltre ventisei anni perché Habré venisse condannato. Oggi sono finalmente in pace. Spero che tutti i dittatori dell’Africa abbiano compreso il messaggio che rappresenta questa condanna.”
Anche il giurista statunitense, Reed Brody, che ha lavorato con le vittime per ben diciotto anni, assistendole durante tutte le tappe del processo, ha sottolineato l’importanza di questo verdetto: “È terminata l’epoca dei dittatori, un giorno storico, perché un gruppo di vittime di un tiranno è stato determinante nel pretendere e chiedere giustizia.”
Una commissione d’inchiesta, appositamente istituita, aveva stimato che, tra il 1982 e il 1990 in Ciad, quando Habré era al potere, erano state uccise oltre quarantamila persone. Le vittime venivano seviziate da Habré stesso in una grande piscina, trasformata in mattatoio, nella sua villa. Altre volte, il dittatore consigliava col telefonino il tipo di tortura (gas sparato negli occhi, bruciature di sigarette, “panino dell'orrore” ossia la testa stretta tra due bastoni legati con una corda che poi si attorcigliava).
Come succede spesso, Habré aveva studiato in Francia e sembrava potere diventare “l’uomo occidentale in Africa”. Era quindi salito al potere grazie al decisivo aiuto degli Stati Uniti di Ronald Reagan e della Francia, come confermato da due rapporti redatti da Human Rights Watch, e questo anche dopo che il suo regime, a partito unico, si era già macchiato di atrocità.
Habré poteva diventare un utile alleato contro le mire espansionistiche del nemico libico Muammar Gheddafi che già occupava il Ciad del Nord e poteva contare sull’allora presidente ciadiano Goukouni Oueddei, che era considerato come pro-Libia.
Un dittatore era quindi salito al potere per interessi geostrategici, a scapito del rispetto dei diritti dell’uomo. Una situazione che purtroppo è ancora all’ordine del giorno, soprattutto se si pensa che proprio Francia e Stati Uniti sono i maggiori esportatori d’armi in Arabia Saudita, un paese anni luce distante da un compiuto Stato di diritto rispettoso dei diritti umani e delle libertà fondamentali..

Danielle Maion