Un presidente azzoppato in un mondo che brucia

In un mondo che brucia è estremamente pericolosa la crisi istituzionale ai vertici della più grande Potenza del Pianeta. Il Parlamento (a maggioranza repubblicana sia alla Camera sia al Senato) contro il Presidente (Barack Obama, democratico). Lo sgambetto che 47 senatori dell’opposizione gli hanno fatto (e non è l’unico) rende ‘azzoppata’ la massima autorità del mondo. Non era mai accaduto nella lunga storia dell’America, retta da un sistema presidenziale. Contrasti interni sì, ma mai prima d’ora con iniziative sul piano internazionale in contrasto con la linea della Casa Bianca. Invece stavolta hanno scritto agli ayatollah iraniani perché non firmino l’accordo sull’atomica con Obama, invito al leader israeliano Netanyahu snobbato dal Presidente , viaggi in serie di John McCain in Medio Oriente per cercare di aiutare i ribelli siriani anti-Assad che Obama, pur ostile al dittatore di Damasco, non ha mai voluto armare. Questa impennata dei repubblicani può avere una spiegazione nel tentativo di indebolire la controparte democratica a pochi mesi dalle elezioni presidenziali che - secondo i sondaggi - vedranno di fronte Hillary Clinton e Jeff Bush, ex governatore della Florida, terzo della famiglia texana. Sul piano interno la stessa cosa può dirsi per la riforma sanitaria fatta approvare dalla Casa Bianca, ma tuttora contrastata da governatori repubblicani di alcuni Stati nonché da magistrati conservatori. Secondo l’opposizione, il Presidente non può firmare accordi internazionali senza il ‘placet’ del Congresso. La storia dimostra che son balle. Ma da due anni le cose son cambiate, dal ritiro delle truppe Usa dall’Iraq e dall’Afghanistan. Le incertezze di Obama nelle crisi siriana e libica e l’emergere della minaccia dell’Isis, Al Qaeda e Boko Haram. Nella storia vi furono però anche esempi opposti: ai tempi della guerra nel Kossovo il Congresso vietò a Bill Clinton di mettere truppe sul campo, prima ancora bloccò gli aiuti di Reagan ai Contras in Nicaragua. La differenza è che nella crisi attuale, più che a incidere su una trattativa specifica, si mette in dubbio la credibilità negoziale del Paese prospettando una diplomazia parallela . Una svolta, quella di Obama, approvata dalle capitali europee, dalla Russia e dalla Cina, ma fortemente avversata dall’ex ‘alleato di ferro’ di Washington, l’israeliano Banjamin Netanyahu.

Augusto Dell’Angelo

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