Ufficialmente mai nati. Il diritto negato ai bimbi partoriti in Italia da genitori senza permesso di soggiorno

Le nefandezze del nuovo “decreto sicurezza” in tema di migranti si sommano ad alcune “chicche” già presenti nella legislazione italiana e che, anche se da quando furono emanate sono passati quasi due lustri, hanno superato indenni svariati governi. Governi, intendiamoci, non solo di destra come l'odierno, ma anche di centro-sinistra, rei non solo di non aver messo mano alla “Bossi-Fini” madre di molti problemi, ma anche di non aver sanato una questione forse piccola nella considerazione della politica, ma enorme per chi la vive da invisibile e senza voce. Ma spieghiamo meglio, erano i tempi del IV governo Berlusconi (7 maggio 2008 al 16 novembre 201) e l’on. Roberto Maroni era Ministro degli Interni, predecessore nella funzione ministeriale di Matteo Salvini, ma come è noto della stessa “pasta” politica. Fu Maroni infatti a far approvare con voto di fiducia, la storia curiosamente si ripete, il cosiddetto pacchetto sicurezza di allora che, fra le altre cose, stabiliva doversi presentare per gli stranieri non comunitari il permesso di soggiorno per ottenere la registrazione della dichiarazione di nascita di un partorito in Italia (lettera G del comma 22 art. 1 della legge 94/2009). Questo per tutti questi anni ha significato un caos dato che, in assenza di registrazione perché magari i genitori non erano ancora in possesso del permesso, il nuovo nato nonostante il primo respiro fosse italiaco, non solo non meritava neppure la classificazione di “clandestino” ma addirittura era un invisibile. A scanso di equivoci tutto questo non c'entra nulla con lo jus soli che indica l'acquisizione della cittadinanza di un dato paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori, parliamo solo di certificare la nascita. Non farlo vuol dire che per lo stato italiano, ma anche per il resto del mondo, semplicemente la persona non esiste. Privo del certificato di nascita, suo diritto personale, che ne garantisce l’identità, l’appartenenza familiare, la cittadinanza (non necessariamente quella italiana ma quella dei suoi genitori) il piccolo diventa insomma un paradosso burocratico, un abominio legale. Fra l'altro il problema si ripercuote sul neonato anche al suo eventuale rientro nel paese di origine perchè, di fatto, risulta “non nato”. Insomma dal 2009 una legge dello stato italiano ha aperto le ostilità contro i neonati, altro che “prima gli italiani”, qui si vuole addirittura negare l'esistenza di persone, che se pur piccole ed indifese, dovrebbero possedere tutti i diritti garantiti almeno dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e scusate se è poco.
E’ una condanna, comminata a bambini che provoca a catena la negazione di diritti basilari come la salute, l'istruzione e la stessa esistenza, anche se parliamo per fortuna solo di esistenza giuridica. Andando indietro nella storia, passando per l'annullamento dell'individuo praticato nei campi di sterminio nazisti, troviamo altri esempi di inesistenza di registrazione anagrafica solo come caratteristica degli schiavi di un tempo, sia negli USA che in Europa, tanto che per alcuni soggetti, magari poi liberati, non è nota la data di nascita ma solo quella di morte.
Ma in questi 10 anni cosa è effettivamente accaduto? Forse rendendosi conto dell'abominio della norma e dei combinati disposti multipli che si producevano con l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello stato (sempre nella legge 15 luglio 2009 n.94) che obbliga alla denuncia i pubblici ufficiali o che vengano a conoscenza delle irregolarità di un migrante, si materializza una circolare dello stesso Ministero degli interni, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali. Si tratta della circolare n.19 del 7 agosto 2009 che cercò di mettere una pezza, non al problema in se, ma alla contraddizione e ai rischi per i funzionari dei Comuni. Recita infatti la circolare: « Per lo svolgimento delle attività riguardanti le dichiarazioni di nascita e di riconoscimento di filiazione (registro di nascita - dello stato civile) non devono essere esibiti documenti inerenti al soggiorno trattandosi di dichiarazioni rese, anche a tutela del minore, nell'interesse pubblico della certezza delle situazioni di fatto».
Problema risolto? Ma manco per niente, visto che la circolare ministeriale è un provvedimento di natura amministrativa e potrebbe essere disapplicata dagli Uffici di Stato Civile dei Comuni che vedono comunque dei rischi, se non altro perché il contenuto della circolare di fatto è modificativo della norma di legge e soprattutto del suo spirito vessatorio. Fra l'altro la circolare, anche quando conosciuta, non rassicura i genitori stranieri che, trovandosi loro malgrado e da oggi per volontà politica in situazione largamente più irregolare, manco si presentavano e presenteranno agli uffici anagrafici. Il timore è ovvio, quello di essere fermati, internati e forse espulsi. Fra l'altro il “vezzo” ministeriale di scaricare le responsabilità di tutti i problemi sui Comuni, che addirittura viene propagandata come una scelta di democrazia diffusa, in realtà nasconde proprio la volontà di non far funzionare le cose perchè saranno molto pochi, sia i politici locali, che gli apparati burocratici che si prenderanno una qualsivoglia responsabilità. Insomma siamo all'uso pianificato della burocrazia come strumento di vessazione razziale. Ed allora non ci rimane che citare la Costituzione, la legge delle leggi, quella alla quale ogni provvedimento politico e giuridico dovrebbe far riferimento ed attenersi. Ma è evidente che a determinate parti politiche, e non solo di destra, quella “Carta” va stretta e non riuscendo a cambiarla fanno spallucce e la ignorano. Non fosse così anche il nuovo decreto sicurezza di Salvini, come quello del suo predecessore Maroni, non avrebbero dovuto, quelli sì, avere un certificato di nascita. Dice infatti l’art. 3 della Carta Costituzionale: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso , di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana …» e badate bene si parla di “cittadini” non di “italiani”.