Turchia: è vendetta premeditata, Erdogan sapeva del golpe da tre giorni e si preparava

Qualcuno diceva che un golpe fallito è di gran lunga peggio di un golpe riuscito e nel caso di quanto avvenuto in Turchia sembra proprio che tale affermazione abbia solide basi. In realtà però, rispondere con i carri armati ad una deriva di una democrazia verso un regime totalitario, è raramente la risposta giusta, soprattutto se non vi è una consapevolezza popolare di quanto sta avvenendo. Nella storia di golpi ne abbiamo visti tanti, alcuni erano pilotati dall’esterno ed è per questo che è difficile credere che quando avvenuto in Turchia fosse stato orchestrato in qualche segreta stanza del Pentagono o della Casa bianca. E vero che la Cia non è più quella di una volta, ma questo Golpe è apparso troppo pasticciato e anche la tesi opposta, che si sia trattato di una farsa messa in atto da Erdogan per stroncare ogni opposizione, appare altrettanto improbabile, anche se è innegabile che delle anomalie vi sono. Sono però spiegabili con il fatto che Erdogan sapeva quanto stava per accadere. La notizia oggi circola con insistenza, i servizi segreti turchi erano già tre giorni prima, a conoscenza delle intenzioni del gruppo di militari, ci sarebbe stato insomma tutto il tempo per organizzare le contromosse preventive, ma si è invece voluto creare il “caso” che avesse un esito scontato nel fallimento ma creasse la “vittima” Erdogan. Del resto il tentato golpe in Turchia è fallito, secondo tutti gli osservatori, perché è stato male organizzato, un “putsch” fai da te, dilettantesco. Giovani ufficiali, qualche colonnello, pochi generali, ma soprattutto una disorganizzazione assoluta e, per fortuna, il fatto che i soldati semplici non hanno sparato sulla gente scesa in piazza. Si può dire che il golpe è fallito anche perchè molti turchi democratici hanno considerato l’azione di forza militare contraria ai loro principi, insomma Erdogan ha usato l’arma della democrazia contro la stessa. Qualcuno insinua, probabilmente non a torto, che se gli aspiranti golpisti si fossero rivolti alla CIA o al Mossad, il risultato sarebbe stato diverso.
Di certo sul piano “militare” l’errore assoluto e determinante è stato quello di non bloccare Erdogan. Ma era una missione impossibile, perchè lui sapeva e non era dove i militari golpisti pensavano fosse. Hanno occupato i palazzi del potere, della comunicazione, ma non bloccato chi il comando lo deteneva per davvero. Un errore che costerà probabilmente loro la vita e ai turchi la perdita di quegli scampoli di libertà e democrazia sui quali potevano contare.
C’è un altro dato certo, nelle ore convulse fra l’annuncio dei militari golpisti di avere in mano la Turchia ed il messaggio di Erdogan alla nazione, in molti nelle cancellerie occidentali hanno sperato che ad Ankara fosse finita l’era del “sultano”. Poi il contrordine e anche se la delusione non era palese ma percepibile, dopo una notte d’attesa, le cancellerie occidentali, hanno buttato nel cestino i comunicati di “non condanna” già pronti per l’azione dei militari “laici” e si sono invece congratulati con Erdogan per il ripristino della “democrazia” in Turchia. Piroette diplomatiche che lasceranno comunque il segno, questo è certo. Nel frattempo il sultano sempre più forte e determinato nella sua svolta “presidenzialista” promette vendetta e duro castigo per i rivoltosi ed approfitta dell’occasione per regolare i conti con i quadri militari, tutti epurati, colpevoli o no, con i magistrati, sospettati di connivenza, con gli organismi costituzionali che non vedevano di buon occhio le sue riforme assolutistiche, con i gruppi dissidenti, quelli ancora non messi in condizione di non nuocere. ma anche con insegnati e impiegati pubblici. I metodi sono quelli spicci tipici dei regimi assoluti, immagini di soldati spogliati dalle uniformi, botte, probabili torture e se l’opzione “pena di morte” da ripristinare non verrà attuata per le pressioni internazionali siamo certi che le sparizioni inspiegabili non mancheranno. In pratica Erdogan sta attuando lui il vero golpe, una marcia verso il potere assoluto, senza contrappesi costituzionali, a cui sempre ambiva e che è oggi possibile grazie anche all’inerzia europea e americana che per ragioni diverse hanno lasciato fare da tempo ad Erdogan quello che voleva, anche prima del fallito golpe che lo ha reso vittima. Un inerzia occidentale provocata dal ricatto dei profughi, che Erdogan ha sempre minacciato di scaricare sui confini europei e al ruolo turco nella Nato in funzione anti Russa, che bisogna non dimenticare, resta il chiodo fisso delle amministrazioni americane. Altro che Isis, per gli Usa il pericolo viene sempre dal freddo, non dal deserto. Così forte delle incapacità occidentali, anche se Erdogan o il suo entourage non hanno direttamente orchestrato un finto golpe per consolidare il potere, di certo hanno subito approfittato della situazione, perchè anche se il “casus belli” è stato un Golpe pasticciato e maldestro, le liste degli “sgraditi” al regime erano pronte da tempo.

La Turchia del dopo Golpe si avvia a perdere qualsiasi parvenza formale di democrazia e di Stato laico per diventare uno stato integralista islamico forse assolutista allo stesso livello dell’Arabia Saudita. L’Europa rischia di avere davvero ai propri confini una potenza destabilizzante che può, con semplicità, decidere se far vivere gli Europei nel terrore basta spingere i milioni di profughi alle friontiere. Resta solo un’arma in mano all’occidente, quella economica perché è grazie agli investimenti Usa e Ue che la Turchia sta avendo un boom economico partito nel 2002, anno della prima vittoria di Erdogan. Stando alla Banca centrale turca, l’85% degli investimenti stranieri diretti viene dall’Europa (75%) e dagli Usa (10%). Una cifra colossale fra i 120 ei 130 miliardi di dollari in 13 anni. Gli investimenti azionari seguono lo stesso trend: su 40 miliardi di azioni, il 40% è targato Usa e solo il 2,4% Arabia Saudita, ma sarà una battaglia dura da intraprendere.

Fabio Folisi