Tsipras si è dimesso. La lezione di Atene 2015 come quella di Praga 1968

Alexis Tsipras si è dimesso. In un discorso alla nazione trasmesso in diretta Tv il premier greco ha annunciato le sue dimissioni e ha chiesto elezioni anticipate. La notizia era stata anticipata già in mattinata di ieri da ampie indiscrezioni. Il governo come è noto non aveva più una maggioranza in parlamento a causa della frattura interna a Syriza, provocata dall’approvazione del terzo piano di aiuti ad Atene proposto dai creditori internazionali, che assicura circa 85 miliardi di euro in tre anni, fondi necessari per evitare il default ma a prezzo di nuove pesantissime “riforme” e la svendita di interi pezzi del patrimonio dello Stato greco ad uso e consumo dei poteri forti d'Europa, svendita sotto il capitolo “privatizzazioni” ovviamente. Alexis Tsipras ha quindi dovuto affrontare una vera e propria rivolta interna al suo partito, Syriza, dove l’ala più radicale si è ribellata, perché accusa Tsipras di aver tradito le promesse fatte in campagna elettorale, accettando le politiche di austerità imposte dai creditori. Per queste ragioni è probabile, se non certo, che ci saranno una o più scissioni all’interno di Syriza. Ad esempio, il leader della corrente Piattaforma di sinistra, l’ex ministro dell’energia Panagiotis Lafazanis, ha dichiarato che vuole formare un nuovo movimento contro l’austerità, accusando il governo Tsipras di aver ceduto alla “dittatura dell’eurozona”. Dopo le dimissioni di Tsipras, l’opposizione ha annunciato strumentalmente che proverà a formare un governo di minoranza per evitare le elezioni, ma pare una mossa solo propagandistica per presentarsi agli elettori a settembre come quelli che avrebbero voluto salvare la legislatura. Le elezioni sono quindi la strada più probabile. Intanto il mandato di Tsipras sarà assunto ad interim dal presidente della corte suprema greca, Vassiliki Thanou-Christophilou.
Ma dopo questa svolta, per alcuni versi drammatica, vale la pena fare qualche riflessione anche in Italia. Riflessioni sulle responsabilità della sinistra Europea nella fine ingloriosa di quella che ha buon diritto si può considerare l'incruenta resistenza greca non solo alla eurozona a trazione tedesca, ma soprattutto ad una concezione di comunità solo finanziaria e monetaria lontana dalle necessità dei popoli, se non per affermare la supremazia di alcuni su altri. In queste ore molti intellettuali si interrogano, alcuni tardivamente, e stanno paragonando Atene 2015 a Praga nel 1968. Un paragone che in effetti ha delle analogie e non soltanto perchè la Grecia di Tsipras e Varoufakis è stata lasciata sola a combattere una lotta impari. La sinistra europea non è infatti scesa in campo per schierarsi apertamente con il popolo greco. Certo anche la sinistra europea ed italiana ha avuto le sue ragioni, la paura di rompere equilibri che evidentemente alle classi dirigente ormai contigue con certi poteri tutto sommato vanno benone. Esattamente come avvenne nelle Praga del 1968 quando i paesi democratici si limitarono, dopo l'arrivo dei tank “normalizzatori” del Patto di Varsavia, a proteste verbali, poiché allora era chiaro che il pericolo di confronto nucleare al tempo della Guerra Fredda non consentiva, se non con rischi altissimi di guerra anche atomico, ai paesi occidentali di sfidare la potenza militare sovietica schierata nell'Europa centrale, e poi tutto sommato non era ancora il momento di rompere gli equilibri come avvenne 22 anni dopo con la caduta del muro di Berlino. Insomma i cecoslovacchi erano troppo avanti, come probabilmente lo sono stati oggi i greci. Ma la sinistra italiana ed europea poteva agire in difesa di Atene, non aveva certo pericoli “nucleari”, ma doveva “solo” sfidare il vero volto dell’oligarchia d’Europa, smettendo di guardare in basso verso il proprio ombelico e cercando un'Europa dei popoli, non delle mafie, delle cieche burocrazie dei conflitti di interessi e delle banche. Una battaglia però non certo alla portata di una classe dirigente italiana, né a sinistra, né tanto meno a destra, dove il filo conduttore anti-euro è solo finalizzato a cavalcare il consenso popolare coagulando il tutto con parole d'ordine simil-nazionaliste, per non dire peggio. Il problema non è l'Europa, ma questa Europa, il problema non è l'idea di unità dei popoli, ma il modo con il quale è stato imposto un regime che con la democrazia ha davvero poco da spartire, se non le timide comparsate elettorali ormai a sovranità limitata, che ci vengono spacciate per libertà di scelta. La prova è proprio la Grecia, che nonostante avesse scelto con chiarezza una strada di rottura, alla fine si è dovuta omologare. E' stata imposta, obtorto collo, la solita ricetta e la mortificazione della classe dirigente che è dovuta passare sotto le forche caudine che ormai hanno le sembianze della porta di Brandeburgo. Ed allora torniamo alla vicenda greca e al paragone con Praga del 1968, fra chi sta sostenendo una certa affinità fra i due eventi c'è da citare Božidar Stanišić, uno scrittore, poeta e traduttore bosniaco che dal 1992 insieme alla famiglia abita in Friuli a Zugliano in provincia di Udine, in seguito al suo rifiuto di imbracciare le armi e portare una divisa allo scoppio delle guerre jugoslave in Bosnia ed Erzegovina. In un suo recente scritto, postato su internet in vari blog (citiamo uno per tutti “la Bottega dei barbieri”) sostiene che la sostanza dell’accordo Atene – Bruxelles è paragonabile all’intervento di Mosca sovietica e dei suoi alleati nell’estate 1968. Scrive Stanišić: “Chi in quegli articoli vede i carri armati deve essere mandato in manicomio? All’ammalato mentale resterebbe l’unica speranza, consistente in: “Non accendete il televisore, per favore!” Ma perché il caso Atene 2015 è paragonabile con il caso Praga 1968? In quei tempi lontani-lontani una potenza cieca e sorda ha dimostrato i suoi muscoli, ma poco cervello. Oggi un gigante economico, Berlino, nascosto sotto il prestanome Bruxelles, sta dimostrando i muscoli della sua finanza. I sovietici allora volevano difendere un comunismo che con il comunismo e il socialismo aveva poco o nulla in comune. Sì, difendevano l’unica idea, un unico santo libro di un’ideologia. Oggi Berlino e suoi alleati difendono un Europa che con l’Europa dei cittadini di legami ne ha ogni giorno di meno. Certo, oggi ad Atene nessuno vedrà i carri tedeschi, né degli altri 17 paesi dell’euro – ma gli effetti devastanti causati dall’umiliazione di un paese saranno più evidenti che prima. L’Urss di Breznev aveva usato la mano dura contro i ribelli boemi, l’Europa di Berlino, realizzatasi senza uno sparo un secolo lontano dall’idea dei falchi tedeschi che alla vigilia della Grande guerra sognavano un Commonwealth europeo guidato da Berlino, usa la stessa mano dura: non c’è altra soluzione, la Grecia deve essere un monito forte a tutti che vogliono il ritorno alla sovranità nazionale e la vita a misura d’uomo. E ricordiamo la volontà di Praga di indirizzarsi verso il socialismo con il volto umano? E’ casuale ricordare l’amara constatazione di Louis Aragon, poeta e comunista doc, che tuttavia sulla Praga del ’68 esclamò: “Il futuro è già accaduto…” Oggi, solo chi usa soltanto gli occhiali del presente non vede quanto il progetto del futuro costruito dai difensori dei poteri finanziari non è differente dal progetto del comunismo falso dell’Est Europa”. Che dire.... meditiamo gente, meditiamo.
Fabio Folisi