Trattati di libero scambio destabilizzati da Trump, ma le multinazionali già corrono ai ripari passando per il Canada

Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti usciranno dal trattato di libero scambio (Tpp). In un videomessaggio il presidente eletto ha annunciato le priorità del suo governo, tra cui quella di abbandonare il Trattato transpacifico, firmato nel febbraio del 2016 da 12 paesi dell’Asia, dell’America e dell’Oceania, che rappresentano il 40 per cento dell’economia mondiale. Tra le priorità dei primi cento giorni di governo, Trump non ha menzionato né la costruzione del muro al confine con il Messico, né l’abolizione della riforma sanitaria Obamacare. Il presidente eletto ha garantito che non aprirà un’altra inchiesta sul caso delle email di Hillary Clinton. Appare di tutta evidenza che anche il TTIP con l’Europa, che Obama aveva cercato di firmare prima della fine del suo mandato e che è rimasto impastoiato per i motivati dubbi di molti Paesi Europei , difficilmente vedrà la luce. Assume così un’importanza enorme per le multinazionali il Ceta fra Canada ed Ue, attraverso questo trattato di libero scambio le aziende Usa potranno operare in Ue, basterà, cosa che molti hanno già fatto, trasferire sedi legali e amministrazioni in Canada per avere accesso al mercato Europeo. Questo spiega anche l’accelerazione che in queste ore viene data al perfezionamento del Ceta in sede di Parlamento Europeo, infatti il Parlamento Europeo ieri 21 novembre ha deciso, ha fatto sapere Eleonora Forenza, eurodeputata de L’Altra Europa – gruppo GUE/NGL di dare un sostanziale e acritico via libera al trattato. 184 Parlamentari europei, molti socialisti hanno votato con le destre, hanno infatti votato contro la possibilità di un dibattito sulla base di un ricorso presentato alla Corte Europea di Giustizia, mente 170 Parlamentari hanno votato a favore della richiesta di un parere alla Corte di Giustizia sulla compatibilità del CETA con i trattati istitutivi dell’Unione europea, con particolare riferimento al capitolo legato all’arbitrato tra investitori e Stati. Si fosse andati alla discussione, spiega la Forenza, si sarebbe potuto congelare l’approvazione del CETA per due anni. Ora invece, nella Sessione plenaria in corso a Strasburgo, non avremo nemmeno modo di parlarne perchè si voterà con un Sì o un NO senza discussione. “Dopo l’estromissione delle Commissioni competenti che avevano espresso parere contrario al CETA, aggiunge la deputata de L’Altra Europa, siamo alla negazione di una delle funzioni fondamentali del Parlamento: discutere di un trattato che potrebbe avere, se approvato, un impatto enorme sulle nostre vite. Il governo italiano voleva impedire di discutere di CETA nei Parlamenti nazionali. Ora la maggioranza nega la possibilità di discutere anche al Parlamento Europeo. Il neoliberismo è davvero un regime!”