Svimez, si apre di più la forbice tra Nord e Sud, divario che non si è mai ridotto e che è problema nazionale

Arrivato sui tavoli delle redazioni il  rapporto della Svimez  l'associazione per lo Sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno, e anche quest'anno viene registrata la  crescita del divario economico tra il Nord e il Sud del Paese. I dati non sono confortanti. Nel 2019, infatti anche per effetto delle politiche previste , «si rischia un forte rallentamento dell'economia meridionale», con la a crescita del Pil che «sarà pari a +1,2% nel Centro-Nord e +0,7% al Sud». Nel corso del 2017 il Mezzogiorno ha proseguito la sua lenta ripresa, ma in un contesto di «grande incertezza» e in assenza di «politiche adeguate» rischia di frenare ancora, con un «sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo» nel giro di due anni. La Svimez sottolinea in particolare che anche nel 2019 «il livello degli investimenti pubblici al Sud dovrebbe essere inferiore di circa 4,5 miliardi se raffrontato al picco più recente», datato 2010. Se invece nel 2019 fosse possibile recuperare per intero questo gap, si avrebbe una crescita aggiuntiva di quasi un punto percentuale rispetto a quella prevista.  Alle critiche il ministro Barbara Lezzi che di questo divario doverebbe occuparsi  parla di  " scarsa volontà politica di spendere i fondi per diminuire la forbice" in realtà il  Mezzogiorno viene descritto da Svimez in chiaro e scuro: ne evidenzia le potenzialità ma soprattutto i suoi ritardi e debolezze. Non è consolatorio, commentano fonti sindacali,  il fatto che, nel biennio 2019-20, il Sud beneficerà di circa il 40% delle maggiori spese previste dalla manovra, almeno in teoria, grazie soprattutto al Reddito di Cittadinanza, perché ciò è un indice significativo della crescita del malessere sociale, della caduta dei redditi e dell’impatto del PIL che resta su valori molto bassi.  Lo afferma in una nota Ivana Veronese, segretaria confederale Uil, in relazione ai dati evidenziati dalla Svimez nel suo ultimo rapporto sul Mezzogiorno.  In particolare far penetrare il concetto che per il Mezzogiorno la strada risolutiva siano i sussidi è un errore pesante, al Sud  come del resto a tutto il paese serve lavoro, occupazione  di qualità e meno precarietà .

La situazione del Sud è peggiorata ulteriormente per colpa delle politiche degli ultimi lustri, basti pensare, evidenzia il rapporto, che negli ultimi 16 anni, anno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti, la metà dei quali giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all'estero. Quasi 800 mila non sono tornati. E il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 e il 2018, passando da 362 mila a 600 mila, mentre al Centro-Nord sono 470 mila. La Svimez parla di «sacche di crescente emarginazione e degrado sociale, che scontano anche la debolezza dei servizi pubblici nelle aree periferiche. E definisce «preoccupante la crescita del fenomeno dei working poors, ovvero del lavoro a bassa retribuzione, dovuto a complessiva dequalificazione delle occupazioni e all'esplosione del part time involontario». Suscita preoccupazione anche un altro fenomeno, che la Svimez definisce «drammatico dualismo generazionale». E spiega: «Il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di occupati nella fascia adulta 35-54 anni (-212 mila) e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità)». Si è dunque «profondamente ridefinita la struttura occupazionale a sfavore dei giovani». Dal punto di vista demografico, inoltre, il peso del Sud è diminuito ed è pari al 34,2%, anche per una minore incidenza degli stranieri. Nel 2017 al Centro-Nord risiedevano infatti 4,2 milioni di cittadini non italiani, rispetto agli 872 mila del Mezzogiorno. Sul fronte dei servizi, i divari rispetto al resto del Paese si fanno sentire anche in campo sanitario. E sempre più frequentemente l'insorgere di patologie gravi costituisce una delle cause più importanti di impoverimento delle famiglie, soprattutto al Sud.

Ma tornando al rapporto, con la manovra di governo giallo-verde,  se il problema è e resta quello dell'occupazione di qualità questa non si crea se non con investimenti pubblici e provvedimenti per attrarre quelli privati. La manovra, da questo punto di vista, non aiuta in quanto per il Mezzogiorno, ad eccezione del rifinanziamento della decontribuzione per nuove assunzioni, peraltro affidata alle risorse comunitarie.

Insomma le previsioni 2018 di Svimez mettono in evidenza come, nel più generale rallentamento dell’economia italiana, si riapra la forbice tra Centro-Nord e Mezzogiorno, basti pensare che rispetto ad agosto, nel corso di quest’anno si prevede, infatti, una minore crescita del Pil italiano: +1,2% invece di +1,5%. La  crescita del Pil dovrebbe attestarsi all’1,3% nel Centro-Nord e allo 0,8% nel Mezzogiorno. Inoltre nel rapporto per il 2018  Svimez prevede  come, nel corso dell’anno, gli investimenti, che sono la componente più dinamica della domanda, crescono in entrambe le aree, ma in maniera più marcata al Nord: +3,8 nel Sud, +6,2% nel Centro-Nord. Ma è soprattutto la riduzione dei consumi totali, che crescono nel Mezzogiorno dello 0,5% e al Centro Nord dello 0,8%, ad incidere maggiormente sul rallentamento meridionale. Mentre, dopo il calo del 2017, anche i dati della spesa europea confermano che nell’anno in corso non c’è stata alcuna accelerazione delle spese in conto capitale, scontando le difficoltà delle amministrazioni, soprattutto locali, nell’erogare i maggiori stanziamenti previsti nelle ultime leggi di bilancio. L’export meridionale a fine 2018 si prevede segni +1,6% rispetto al +3% del Centro Nord. Infine le unità di lavoro salgono dell’1% nelle aree meridionali e dello 0,8% nelle regioni centrali e settentrionali. Lavoro, a sud livelli più bassi Al Sud nel 2017 gli occupati sono aumentati di 71 mila unità, +1,2%, mentre al Centro-Nord la crescita è stata di 194 mila unità. Con questo risultato il Centro-Nord ha recuperato completamente i livelli occupazionali pre-crisi, mentre il Sud resta di circa 310 mila occupati sotto il livello del 2008. E’ quanto emerge dal Rapporto Svimez 2018 presentato oggi. Prendendo in considerazione i primi 6 mesi del 2018, il numero di occupati nel Mezzogiorno è inferiore di 276 mila unità rispetto al livello del medesimo periodo del 2008, mentre nel Centro-Nord è superiore di 382 mila unità. Il tasso di occupazione è ancora due punti al di sotto del 2008 nelle regioni meridionali (44,3% nel 2018, era 46% nel 2008) mentre ha recuperato i livelli 2008 nel Centro-Nord (65,9%). Con riferimento alle regioni, tra il primo trimestre del 2017 e quello del 2018, il tasso di occupazione sale in tutte le regioni del Sud, con modesti cali solo in Campania e Sicilia.

Nel periodo 2008 – 2017, il Mezzogiorno si è caratterizzato per una contrazione più sensibile del tempo pieno (-10,7% a fronte del -3,3% del Centro-Nord), solo parzialmente compensata da una dinamica più accentuata del part time: l’incidenza del part time è passata, nel Mezzogiorno, tra il 2008 e il 2017, dal 12,6 al 17,9%. Al Sud è, però, molto elevata l’incidenza del part time involontario, che si attesta negli ultimi anni attorno all’80%, contro il 55% del Centro-Nord. Nel corso del 2017, si legge nel documento, l’incremento dell’occupazione meridionale è dovuto quasi esclusivamente alla crescita dei contratti a termine (+61 mila, pari al +7,5%) mentre sono stazionari quelli a tempo indeterminato (+0,2%). Vi è stata una brusca frenata di questi ultimi rispetto alla crescita. Se consideriamo il complesso del periodo di ripresa occupazionale 2015-2017 il tasso di trasformazione in lavoro stabile è in media pari al 9% al Sud e al 16% nel Centro-Nord. In questi anni si è profondamente ridefinita la struttura occupazionale, a sfavore dei giovani, testimoniata dall’invecchiamento della forza lavoro occupata. Il dato più eclatante, scrive Svimez, “è il drammatico dualismo generazionale: il saldo negativo di 310 mila occupati tra il 2008 e il 2017 al Sud è la sintesi di una riduzione di oltre mezzo milione di giovani tra i 15 e i 34 anni (-578 mila), di una contrazione di 212 mila occupati nella fascia adulta 35-54 anni e di una crescita concentrata quasi esclusivamente tra gli ultra 55enni (+470 mila unità)”. Al Sud abbandono scolastico rilevante, pesa povertà Abbandono scolastico e basso tasso di occupazione dei laureati sono due fenomeni che riguardano prevalentemente il Sud Italia. E’ quanto rileva il rapporto Svimez, diffuso oggi. L’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno “denuncia una marcata divaricazione tra partecipazione all’istruzione e scolarizzazione. Nella scuola primaria – si legge – nell’anno scolastico 2016/2017, il tempo pieno c’è stato in oltre il 40% degli istituti del Centro-Nord,mentre al Sud ha riguardato appena il 16% delle scuole e addirittura il 13% nelle isole. Inoltre, i tassi di partecipazione al Sud sono sì superiori al 95%, ma il tasso di scolarizzazione dei 20-24enni è notevolmente inferiore, a causa di un rilevante e persistente tasso di abbandono scolastico. Nel Mezzogiorno sono circa 300 mila (299.980) i giovani che abbandonano, il 18,4%, a fronte dell’11,1% delle regioni del Centro-Nord. E i valori più elevati si registrano per i maschi, addirittura il 21,5% nel Sud”. Nel Mezzogiorno sono presenti livelli qualitativamente inferiori, dai trasporti, alle mense scolastiche, ai materiali didattici. Sul tasso di apprendimento, al Sud pesa anche il contesto economico-sociale e territoriale: la disoccupazione, la povertà diffusa, l’esclusione sociale, la minore istruzione delle famiglie di provenienza e, soprattutto, la mancanza di servizi pubblici efficienti influenzano i percorsi scolastici e l’apprendimento”.

Il basso tasso di occupazione per i diplomati e i laureati nel Mezzogiorno a tre anni dalla laurea è testimoniato, secondo la Svimez, da questi dati: appena 70 mila su 160 mila (43,8%), contro i 220 mila su 302 mila (72,8%) del Centro Nord. Ciò spiega, spiegano gli esperti, perché negli ultimi 15 anni c’è stato un aumento dei giovani del Sud emigrati verso il Centro-Nord e/o l’estero: nell’anno accademico 2016/2017, i giovani del Sud iscritti all’università sono circa 685 mila circa, di questi il 25,6%, studia in un ateneo del Centro-Nord. Nello stesso anno accademico il movimento “migratorio” per studio ha interessato, quindi, circa il 30% dell’intera popolazione rimasta a studiare in atenei meridionali. Ciò, secondo Svimez, comporta, oltre alla perdita di capitale umano, una minore spesa per consumi privati, in diminuzione al Sud, e una minore spesa per istruzione universitaria da parte della Pubblica amministrazione.