Sul terrorismo c’è chi da sempre fa il gioco delle tre carte. Ma anche oggi gli Usa vendono nuove armi ai sauditi per 1,29 miliardi di dollari

Che l'Isis sia il nemico da abbattere era chiaro già prima degli attentati di Parigi, sia quelli recenti che quelli di Gennaio a Charlie Hebdo, ma un occidente ipocrita ha pensato di poter trattare la questione con interventi aerei che hanno avuto l'efficacia solo di poco superiore a quella di semplici manovre militari, per non parlare di quelli che sono stati praticamente alla finestra come se la questione di uno stato islamico integralista e sanguinario non li riguardasse. Un primo cedimento alla consapevolezza del problema lo si è avuto con l'ondata di profughi attraverso la via balcanica, perchè quella che proveniva da sud sembra essere affare dell'Italia. Fin qui, le cose che sappiamo. Quelle che invece non sappiamo si riassumono in alcune domande semplici e tuttavia dalle risposte complesse e articolate, ma la principale è quella di chi si chiede chi abbia dato ad Abu Bakr al-Baghdadi, comandante supremo dell’ISIS auto-proclamatosi califfo, i milioni di dollari necessari per equipaggiare e armare il suo esercito e mantenere il suo personale Stato. Non è ancora chiaro da dove provengano tutti i fondi dell’ISIS, ma al di là dell’autofinanziamento realizzato con il controllo dei giacimenti petroliferi, il contrabbando del greggio e la vendita di reperti archeologici, la maggior parte degli analisti concorda sul fatto che la gran parte dei soldi arrivino  da ricchi donatori dell’Arabia Saudita, via Kuwait, grazie alla facilità di riciclare il denaro in questo piccolo Paese, ma anche con la  connivenza di istituti di credito occidentali. Altri invece índicano Qatar ed Emirati Arabi Uniti che avrebbe finanziato i ribelli siriani, si cui in principio l’ISIS era solo una costola. Ma puntare il dito contro le petromonarchie appare un esercizio fin troppo facile e ipocrita, chi compra infatti il greggio di contrabbando, chi acquista le opere d'arte ed archelogiche che i miliziani hanno razziato dai musei? Non certo i sauditi. Tuttavia, è notorio che i sauditi abbiano alle spalle una lunga tradizione d’appoggio morale e finanziario alle reti internazionali del fondamentalismo islamico. La storia degli ultimi 30-40 anni è chiara. Anzi c'è perfino una data a cui poter far riferimento, è il 1979, il momento chiave per lo sviluppo dei movimenti jihadisti, si tratta dell'anno dell’invasione sovietica in Afganistan e della rivoluzione khomeinista in Iran. A partire da quel momento il nefasto triangolo d'interessi tra Arabia Saudita, Pakistan e Stati Uniti ha  permesso di respingere l'invasione sovietica e bloccare le mire espansionistiche iraniane, contribuendo non solo a preservare il predominio statunitense in Medio Oriente ma di dare un colpo pesantissimo all'Urss che da lì a poco si sarebbe dissolta. Ma il prezzo di questa operazione è stata la fioritura del terrorismo islamico nel mondo, di cui al-Qaida sarebbe stata solo il primo ceppo e oggi l'Isis una evoluzione ancora più drammatica e pericolosa.
Dagli anni 80 ad oggi i sauditi non hanno mai smesso di finanziare più o meno nell'ombra i fondamentalisti, fatto notorio anche negli Usa se consideriamo che, per fare solo un esempio, il documento finale della Commissione USA incaricata d’indagare sull’11 settembre ha identificato nell’Arabia Saudita la principale fonte di finanziamento di al-Qaida e di Osama Bin Laden.
Cert all'indomamni dell'11 settembre non si poteva dichiarare apertamente guerra all’Arabia Saudita per ragioni economiche e geopolitiche, così si preferì colpire gli esecutori, L'Afghanistan, piuttosto che mandanti e finacheggiatori. Oggi la situazione è altrettanto complessa anche se il riavvicinamento tra Stati Uniti e Iran, dopo l'accordo di Vienna sul nucleare ed il diverso ccli che si inzia a respiarre con Putin, è una prospettiva molto sgradita ai sauditi. Se si dovesse arrivare ad un qualche forma di intervento congiunto tra Teheran e Washington in funzione anti-Isis, considerato fino a poco tempo fa impossibile, l'Arabia Saudita rischierebbe di essere messa nell'angolo reagendo in maniera virulenta, continuando a finanziare il terrorismo jihadista, ma più probabilmente usando le armi dell'economia globale che i petrodollari gli forniscono. Per questo l'occidente, Stati Uniti in testa continuano ad avere due facce con i sauditi, da un lato sanno di essere davanti a finanziatori di stragi e della guerra fra sciiti e sunniti, dall'altro hanno la necessità di evitare un braccio di ferro economico che diventerebbe più devastante di una guerra. Ed allora ecco che si spiega il fatto che oggi si è saputo che Washington venderà nuove armi all’Arabia Saudita per 1,29 miliardi di dollari. Si tratta di forniture di armamenti e di pezzi di ricambio per quelle già fornite ai sauditi da tempo. Fra i sistemi d'arma che presto saranno in mano a Riyadh anche 13mila bombe “intelligenti”. Dopo l'annuncio odierno il Congresso Usa ha 30 giorni per approvare l’accordo, ma il via libera appare scontato. Sarebbe una sorta di dote necessaria per far digerire l’accordo nucleare iraniano. É stato il Dipartimento di Stato americano ad approvare, ovviamente con il beneplacito di Obama, la vendita degli armamenti all’Arabia Saudita. L'operazione che è anche un ottimo affare economico per l'industria bellica a stelle e strisce, nasce dopo che il presidente Barack Obama si era impegnato a rafforzare il sostegno militare a Riyadh, dopo le tensioni delle ultime settimane non solo per il già citato accordo sul nucleare iraniano sostenuto con forza dalla Casa Bianca ma anche per la scarsa determinazione di Washington, secondo i sauditi, nel cacciare il presidente siriano Bashar al Assad.
Insomma la risoluzione della situazione Isis in un modo o nell'altro passa per le armi, non solo quelle sul campo, ma anche quelle commerciate e che dimostrano lo storico stretto legame fra Stati Uniti e Arabia Saudita in tema di armi, con questi ultimi fra i maggiori acquirenti di armi al mondo prodotte dagli Stati Uniti, ma anche da Francia e Italia. Un legame strategico storico, come abbiamo visto, intrecciato da Washington con gli alleati sunniti nel Golfo (fra cui Qatar ed Emirati Arabi Uniti) che ha portato moltissimi lutti, non ultima la sanguinosa guerra in Yemen contro il movimento ribelle sciita Houthi, vicino a Teheran. La fornitura prevista non è di armamenti leggeri, ma di complessi e sofisticati sistemi d'arma con tecnologia satellitare, capaci di colpire con estrema precisione un obiettivo a lunga distanza. Il rifornimento di bombe “intelligenti” serverebbe a riempire le scorte dell’arsenale saudita, che in questi mesi sono andate esaurendosi proprio nel contesto della guerra in Yemen.