Splendore cosmopolita di Abramo Lincoln

“Una casa divisa contro se stessa, non può reggere”.
Abramo Lincoln
Il Centocinquantesimo Anniversario dalla scomparsa del Presidente Abramo Lincoln, per noi cittadini del continente europeo, è stata una celebrazione importante perché ci ha sollecitato a meditare sul destino storico del grande Presidente negli anni della Guerra di Secessione Americana, e a ponderare se oggi nel XXI secolo il Suo nome possa essere ancora in America e nel Mondo, fonte d’ispirazione civile e spirituale.
Più che mai oggi, Americhe ed Europa, possono trovare nella testimonianza storica e politica di Abramo Lincoln un fermo riferimento per la pace internazionale e per un processo di autentica riconciliazione degli Stati Uniti con gli Stati dell’America Latina. Quando negli anni della Guerra di Secessione, il Presidente Lincoln pensava strenuamente all’Unione da difendere, era consapevole che l’ideale nazionale di una grande Repubblica, di una democrazia del popolo, con il popolo e per il popolo, era un prezioso progetto umano per l’Umanità, una esperienza storica che alimentava una grande speranza per il Mondo, anche per l’Europa allora sotto gli assolutismi e le monarchie, eppure animata da forti ideali di riscatto, di libertà e partecipazione politica. Difendere l’Unione era una priorità assoluta per il Presidente e il sangue versato dalla tragica guerra civile era un prezzo per il futuro dell’umanità: gli Stati Uniti possedevano in quegli anni drammatici, un ruolo internazionale di portata storica e ideale, concreti: non avrebbero dovuto fallire. Già in questa disposizione universale, non solo rivolta al destino americano, si svela il cosmopolitismo di Abramo Lincoln: il primato dell’Unione nazionale è complementare ad una accettazione autentica delle altre nazioni, alla pace internazionale:

“Senza malanimo nei confronti di alcuno; con carità per tutti, con fermezza nella giustizia, così come Dio ci da modo di concepirla, impegnamoci a terminare l’opera intrapresa, a medicare le piaghe della nazione; ad assistere quegli che avrà dovuto sopportare il cimento della battaglia, la sua vedova, il suo orfano, a fare tutto ciò che possa darci e conservarci una giusta e duratura pace tra noi stessi e con tutte le nazioni”.
Washington, 4 marzo 1865.
(Considerazioni conclusive del discorso pronunciato da Lincoln, in occasione del secondo mandato presidenziale).

Abramo Lincoln, acuto lettore biblico, era uomo che sapeva pregare: mai ha volto le spalle, per sé e per gli altri, alla Benedizione divina. Nel discorso del 4 marzo 1864 ricorre con cognizione profonda la sofferta meditazione sulle parole “rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, del Padre Nostro, atte a interpretare l’avvenimento della guerra civile e il prezzo del riscatto del popolo americano dallo schiavismo, agli occhi del Signore.
La mediazione tra Nord e Sud

Negli anni precedenti la prima elezione presidenziale del 1861, il giovane avvocato del Medio Ovest (Midwest) dimostrò subito una naturale predisposizione a mediare tra le istanze nordiste antischiaviste e quelle sudiste a favore della “peculiare istituzione”. Come cittadino del Centro Ovest e figlio di coloni, era chiara ai suoi occhi la contesa politica che contraddistinguerà tutti gli anni cinquanta, per la conquista del West americano ad una egemonia economica o di tipo nordista, cioè orientata all’industrializzazione urbana, alla migrazione europea, allo sviluppo di nuova e libera proprietà terriera rivolta a tutti i coloni senza distinzioni, oppure ad una egemonia proveniente dai potentati terrieri latifondisti del Sud che avrebbero esteso anche nel West, territori e stati di nuova formazione, l’istituzione schiavistica. Lincoln già impegnato con i Whig contro i Democratici favorevoli alla schiavitù, mantenne sempre una posizione d’equilibrio: pur comprendendo le esigenze contingenti dell’economia del Sud, in prospettiva storica riteneva il modello schiavista destinato a tramontare nell’arco di poche generazioni: l’economia americana non poteva ripiegare su modelli di sviluppo arcaici impreparati ad assorbire le istanze nuove e dirompenti della civiltà industriale e urbana dell’Est; la politica federale avrebbe dovuto tollerare la schiavitù negli stati e territori dove già sussisteva e abolirla dove ancora non era istituita.
L’aristocrazia del Sud rappresentava l’élite culturale ancora egemonica della nazione, non sarebbe stato facile emanciparsi dalla loro civiltà fondata sui valori tradizionali e il latifondo: alla fine degli anni ’50 con l’elezione presidenziale di Buchanan, democratico e favorevole alle istanze del Sud, fu chiaro alla prevalenza delle popolazioni dei territori e stati del Midwest che l’economia schiavista avrebbe danneggiato il moderno sviluppo della Nazione verso l’Ovest e le coste del Pacifico, ma che il futuro della grande Repubblica sarebbe invece fiorito dall’alleanza con il Nord. Lincoln, cittadino dell’Illinois, è l’uomo giusto per rappresentare la Nazione negli anni sessanta, negli anni in cui è necessario congedarsi dalla civiltà del Sud, cercare nel contempo di mediare con le sue legittime pretese conservatrici, facilitandole una ragionevole transizione con legislazioni non troppo avverse o affrettate. Gli uomini del Presidente Lincoln, sia nel primo come nel secondo mandato presidenziale, provenivano anche da ambienti politici democratici favorevoli a questa nuova politica di mediazione: unanimemente si dichiararono ostili alla minaccia di secessione che il Sud democratico nel frattempo promise di rivendicare con diritto, contro l’Unione americana.
La questione messicana

Come reazione alla vittoria elettorale di Lincoln nel 1860, alla Presidenza degli Stati Uniti, alcuni Stati del Sud avviano la secessione costituendo nel febbraio del 1861 una Confederazione di Stati d’America indipendente. Ancora quattro Stati si uniscono ai Confederati tre mesi dopo. Lincoln insediatosi alla presidenza ufficialmente il 4 marzo del 1861, aveva ereditato dalla presidenza Buchanan precedente, una politica troppo sbilanciata agli interessi geopolitici del Sud e all’estensione territoriale dell’economia schiavista: metterla in discussione e limitarla fu la promessa della sua campagna elettorale. La drammatica Guerra di Secessione iniziata il 12 aprile 1861, non deve distrarre dagli avvenimenti che sempre in questi mesi, tra l’anno 1860 e il 1861, caratterizzano la contemporanea guerra civile messicana, in cui i democratici di Benito Juarez combattono e vincono con le armi i conservatori del generale Miguel Miramon. Durante la Presidenza Buchanan, favorevole allo sviluppo dell’economia schiavista del Sud sia verso i territori dell’Ovest, in contesa con gli Stati del Nord, sia verso il Messico favorendo le correnti politiche liberali, sia con l’intenzione di sottrarre Cuba alla Spagna, Benito Juarez per riconquistare la Presidenza del Messico, in cambio di armi, denaro e rifornimenti, aveva appena concesso al presidente americano ormai dimissionario, nell’autunno del 1860, diritti di sovranità su importanti Stati messicani del Nord prossimi al confine col Texas: Sonora e Chihuahua; strategici per essere prossimi alla California e per possibili approvvigionamenti marittimi sul Pacifico. Lincoln eredita sul confine col Messico questa situazione, espressione manifesta dei disegni espansionistici di vecchia data dei democratici, non condivisi bensì osteggiati sia da Lincoln che dai repubblicani; pochi mesi dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, il 17 luglio 1861 la volontà del presidente Juarez di congelare per due anni il debito estero verso le potenze straniere, riaccenderà la scintilla della guerra civile messicana, inducendo l’intervento militare francese.
Riaccendere la conflittualità civile in Messico, nel mentre scoppia la guerra civile americana, fu un calcolo strategico oppure una casuale coincidenza? L’intervento francese era stato calcolato, oppure fu per Juarez, una cattiva sorpresa? Domande importanti per capire da un punto di vista meno consueto, la Guerra di Secessione tra Nord repubblicano e Sud democratico.
Lasciamo agli storici l’analisi più profonda dell’intervento francese, certo è che la presenza europea volta a tutelare i propri interessi legittimi in Messico si adoperò favorendo indirettamente la causa del presidente Lincoln contro i sudisti. La breve storia del Secondo Impero del Messico di Massimiliano d’Asburgo, ad una più attenta analisi, può essere reinterpretata alla luce degli avvenimenti della Guerra di Secessione Americana.

L’ondata liberale che avvolse l’Europa dopo il Congresso di Vienna del 1815, portò istanze nuove dalla Francia alle nazioni dominate dall’Impero Ottomano, in un crescendo di entusiasmo popolare, grazie all’Inghilterra, potente arbitro dei destini europei, e all’esperienza nordista americana. Il filoellenismo e l’indipendenza della Grecia (1820) diedero una spinta decisiva alla formazioni di stati-nazioni fondati sui popoli e sulle costituzioni liberali; venne decretata ovunque l’abolizione della schiavitù: era un segno e un tratto distintivo dei tempi nuovi a venire. Queste difficili transizioni istituzionali tra passato assolutista e presente democratico spesso ebbe bisogno, in specie nell’area balcanica, dell’utilizzo di giovani monarchi illuminati per gestire le nascenti sovranità popolari; qualcosa di simile avvenne, negli stessi anni, anche in America Latina con i caudillos, ma in forma più improvvisata e disordinata dopo l’indipendenza dalla Spagna; così si volle rimediare anche per l’instabilità istituzionale del Messico, troppo malfida e destabilizzante ai confini degli stati uniti americani. I sudisti d’America diffidavano dei nuovi venti europei per l’eccessiva carica anti-aristocratica, gli ideali abolizionisti, la valorizzazione dell’economia monetaria rispetto quella fisiocratica (fondiaria) ed erano consapevoli di quanto prossima e intima fosse l’adesione dei valori nordisti americani a quelli europei liberali emergenti. La Dottrina Monroe (1823), come subito approfondiremo, era l’unica autorevole garanzia istituzionale condivisa nell’Unione che garantiva gli interessi e i valori della civiltà sudista dai tempi nuovi.
Anche in Giappone gli Stati Uniti, dagli anni’50 agli anni’60 dell’Ottocento, alleati con inglesi, francesi, olandesi, avviavano un processo di rapida trasformazione politica, favorendo il passaggio istituzionale da un sistema feudale (shogunato) ad uno monarchico costituzionale fondato sui principi civili anglosassoni (governo d’unione centralista “illuminato” dell’imperatore Mutsuhito, nel 1868.

In Messico, grazie all’intervento francese avviato nel gennaio del 1862, con il graduale spostamento verso settentrione delle forze democratiche juariste, ostili ai secessionisti americani, si rese più difficile per quest’ultimi, il contatto pacifico con i territori messicani dal Rio Grande alla California (questi territori erano sotto protettorato dell’Unione grazie agli accordi Buchanan-Juarez del 1860; ovvero gli Stati di Sonora e di Chihuahua). L’instabile conflittualità civile in California tra sudisti e nordisti (lo Stato era ufficialmente schierato con l’Unione), rese debole e precaria l’influenza dell’Unione nei territori meridionali del Nuovo Messico (Arizona compresa).
L’intervento francese, apparentemente filo conservatore nel primo anno e mezzo, con la rimozione della carica politica affidata all’arcivescovo cattolico e conservatore, Pelagio Antonio de Labastida, avvenuta il 17 novembre 1863, inaugura la sua autentica missione politica di tutela degli interessi proprietari e finanziari francesi, necessariamente disgiunti da quelli cattolici e conservatori: con il generale Bazaine, prima, e successivamente con l’insediamento di Massimiliano, imperatore del Messico nell’aprile del 1864, prende avvio una “illuminata” politica liberale confermativa delle precedenti riforme democratiche del presidente Juarez. L’atteggiamento del Congresso americano e del presidente Lincoln sui fatti del Messico, ufficialmente contrari alla violazione della Dottrina Monroe e impediti ad attuare un intervento militare diretto contro i francesi invasori, in favore del presidente Juarez, causa la Guerra di Secessione in atto, non impediva di osservare come la nuova situazione messicana creatasi, generava un blocco importante da sud agli approvvigionamenti e al stabile mantenimento dei commerci alla Confederazione secessionista. Non impediva, soprattutto,al nuovo imperatore, Massimiliano, poco conservatore, favorevole a molti principi della Costituzione democratica del 1857 e alla libertà di culto nel cattolicissimo Messico, di cercare sempre il consenso, l’amicizia, il prezioso riconoscimento degli Stati Uniti del Nord. Dal canto suo, nonostante il voto contrario del Congresso (il Senato, invece, non si espresse formalmente), il presidente Lincoln in più occasioni affermò di non voler influenzare la politica messicana, ma di lasciare ai messicani decidere il proprio precario destino istituzionale, in difetto di armonico e pacifico centralismo democratico, e l’intenzione conseguente di non toccare Massimiliano dal trono. Affermazioni ardite, soprattutto quando l’orizzonte vittorioso della Guerra di Secessione si faceva più chiaro e certo. L’avvocato dell’Illinois, giunto presidente degli Stati Uniti Americani, grazie alle sue manifeste potenzialità mediatorie tra nordisti e sudisti, e da sempre contrario alle ingerenze americane in Messico, non osteggiò né l’imperatore Massimiliano, né il presidente democratico Juarez: non escluse esistessero reali margini di manovra concilianti istanze istituzionali così opposte, eppure entrambe necessarie alla cronica instabilità del Messico. Un ragionamento scomodo, questo, soprattutto per quella componente democratica unionista che aderendo alla lista dell’Unione Nazionale contro la schiavitù, contribuì alla vittoria di Lincoln nel novembre del 1864.

La complessa politica francese in Messico, militare e diplomatica, si infrange con la morte del Presidente: il nuovo presidente incaricato a sostituire Abramo Lincoln, il vice Andrew Johnson, democratico unionista, ma viscerale anti-aristocratico, non né vuole sapere del Secondo Impero del Messico, né risponde alla lettera amica di Massimiliano che chiede umile consiglio su come gestire l’ingresso sul suo territorio di ex confederati sudisti, dichiarati sconfitti a Guerra di Secessione conclusa. Ultimo gesto sincero e di estrema apertura agli Stati dell’Unione, Massimiliano, il 13 settembre 1865 adotta due giovanissimi discendenti quali eredi al trono, parenti legittimi di Augustin I, primo imperatore del Messico (1821): Augustin e Salvador de Iturbide, il primo dei quali di cittadinanza americana. Sin da quando prese avvio a Miramare, vicino Trieste, la missione politica di Massimiliano d’Asburgo, non ci fu autorità più scrupolosa ad agire con umile spirito di servizio alla Dottrina Monroe, dell’imperatore in persona.
Nonostante che a conclusione del discorso d’insediamento del 4 marzo, citato più sopra, Lincoln avesse affermato la volontà di stabilire pace con tutte le Nazioni e curare le ferite della Nazione a guerra civile conclusa, al di là del Rio Grande al confine col Messico, il nuovo presidente Johnson permise fossero distribuite massicciamente armi ed aiuti a Juarez; vennero, cioè, attuati in forma non ufficiale, gli accordi di Hampton Roads contro Massimiliano, accordi proposti da Francis Preston Blair consumato politico di cultura democratica e inviso ai repubblicani più intransigenti, come ricorderà nelle sue memorie militari il generale Ulysses Simpson Grant.
La Conferenza di Hampton Roads, fatta velocemente fallire dal presidente Lincoln nel febbraio del 1865, avrebbe consentito una immediata sospensione della guerra civile senza l’umiliante sconfitta sudista, dato che Blair di sua iniziativa propose una rapida pacificazione con la Confederazione (da pochi giorni anche il Sud aveva votato l’abolizione della schiavitù, affrettando i tempi della pace), propose l’unione degli eserciti nordisti e sudisti per combattere il comune nemico Massimiliano e il ripristino dei principi della Dottrina Monroe, in Messico. Il diniego di Abramo Lincoln ai contenuti emersi nella Conferenza proposta da Blair, pose i sudisti di fronte al principio dell’Unione Nazionale da accettare senza riserve, nonostante il forte gesto dell’abolizione della schiavitù testé compiuto e approvato dalla Confederazione. Il fallimento degli accordi di pace di Hampton Roads non permise ai sudisti di uscire dalla Guerra di Secessione con onore, bensì firmando la resa imminente e l’umiliazione della sconfitta dopo quattro anni di sanguinoso conflitto militare e civile. Negli Stati del Sud e in particolare nel Maryland, uno stato dove l’influenza del prestigio del clan dei Blair era diffuso e dove dopo la vittoria del voto sudista dato a Breckinridge del 1860, il consenso si trasferì a favore di Lincoln nel 1864, lo sconforto, la delusione e il risentimento al presidente da poco votato con fiduciosa speranza, furono visibili e manifesti.

Ermeneutica dell’attentato al presidente Abramo Lincoln

L’attentato al presidente Lincoln fu la conseguenza irrazionale d’un clima di diffusa sfiducia nei suoi confronti? Forse un complotto organizzato da pochi? Più banalmente, questioni personali? Un’ermeneutica che resiste da sempre e che forse non troverà più un chiarimento definitivo. Però è anche giusto offrire nuovi spunti e percorsi d’indagine.
L’attentato materiale al presidente

John Wilkes Booth, l’attentatore del presidente, era un noto attore di teatro del Maryland, molto conosciuto per la sua professionalità, la sua ideologia sudista, il rancore personale per Abramo Lincoln. Agirà senza difficoltà, il 14 aprile 1865, presso il Teatro Ford di Washington dove aveva libero accesso, essendo amico del proprietario del teatro. Era l’uomo più indicato per commettere un’empietà e persuadersi di aver agito secondo giustizia. Come tutti gli attori, specie quelli più carismatici, anche Booth sente nell’aria i desideri del pubblico, e in quei mesi dopo l’insuccesso degli accordi di Hampton Roads, il suo intuito drammatico capì e condivise la delusione e il risentimento popolare per la Conferenza di Blair, fallita causa Lincoln che preferì proseguire la guerra fino alla sconfitta e all’umiliazione del Sud.
La scomparsa di Lincoln, comunque, non avrebbe facilitato la Confederazione del Sud che anzi, nel presidente avversario, riconosceva un insostituibile mediatore per limitare le severe richieste dei danni di guerra da parte dei repubblicani radicali, e l’autorevolezza per giungere ad una giusta riconciliazione. Quindi se ci fu complotto, o meglio, se il complotto fu semplicemente passivo, cioè dare massima libertà a chiunque di agire contro il presidente, per vendicare il fallimento della conferenza di pace, ciò fu permesso, anzi auspicato, perché non tutto era ancora perduto: perso l’onore delle armi per prima riconciliarsi e poi cacciare i francesi dal Messico, si poteva ancora insieme ripristinare la Dottrina Monroe, senza intervenire direttamente nel Paese, aiutare i ribelli a sostenere con armi la Repubblica messicana e cacciare Massimiliano. Questo progetto estremo era un dovere legittimo per quei democratici unionisti che convinti dall’Unione Nazionale di Lincoln a leggere lo schiavismo in un’ottica storica di progressivo e inesorabile tramonto, dopo aver sofferto più d’ogni altra fazione politica l’incapacità a trovare giusti accordi di pace tra nord unionista e sud secessionista, non avrebbe rinunciato di un solo millimetro sul fronte della Dottrina Monroe!
Booth presente al discorso di Lincoln del 4 marzo, citato più sopra, confermò le sue intenzioni di attentare alla vita del presidente. La politica lincolniana se fosse proseguita ancora tre anni, in “duratura pace tra noi stessi e con tutte le nazioni”, avrebbe permesso a Massimiliano di consolidare il Secondo Impero in Messico e obbligato Juarez a posare le armi e cercare il dialogo con l’invasore europeo. Interpretando il cuore di tanti o pochi democratici unionisti, Booth si propose vendicare, dopo i mancati accordi di pace di Hampton Roads, il presunto tradimento di Lincoln alla Dottrina Monroe.

La Dottrina Monroe nel 1865.

La Dottrina Monroe, enunciata nel dicembre del 1823 dal presidente omonimo, nonostante vi prese parte nella sua elaborazione anche John Quincy Adams, antischiavista del Massachussetts e whigs dal 1833, fu sostanzialmente un lascito di cultura aristocratica sudista alla civiltà degli Stati Uniti d'America.
Dopo la proclamazione di nuove repubbliche in America Centrale (Guatemala, El Salvador, Nicaragua, Honduras, Cosa Rica) e in Messico (1823, Piano di Casa Mata poi Repubblica degli Stati Uniti del Messico), il presidente Monroe stabilì la necessità di tutelare queste istituzioni consorelle a Sud (anche il Canada, a Nord, che ricadeva sotto sovranità della Corona inglese era uno stato ambito e mal tollerato) e teorizzò la netta contrapposizione tra il Vecchio mondo delle monarchie e il Nuovo mondo delle repubbliche. In realtà, già allora, il timore che l'indipendenza cubana e di Haiti potesse favorire una politica abolizionista, estendendola agli Stati americani del Sud, indusse il governo americano a tollerare la presenza spagnola nel continente latino per allontanare lo spettro di ciò che già stava avvenendo nella neonata Repubblica degli Stati Uniti del Messico: l'abolizione della schiavitù. Successivamente, la Dottrina, si prestò a legittimare la politica dei democratici sudisti, guidata da una illustre élite fisiocratica, dichiaratamente espansionista sia con la forza delle armi sia con l'arte della diplomazia, per annettere il Texas e molti territori della neonata Repubblica messicana (1848), agli Stati Uniti. La grande espansione del territorio americano verso l'America Latina, venne scoraggiata solo quando l'annessione di nuovi territori avrebbe comportato una forte inclusione di popolazioni native indios, tali da indebolire la netta prevalenza razziale e culturale delle popolazioni bianche americane. Fu il caso del Messico, per il quale si rinunciò all'annessione nell'Unione: l'influenza geopolitica ed economica sopra quella nazione fu soddisfatta, senza bisogno d'estenderle la sovranità americana, evitando così il disordine razziale.
Durante la Guerra di Secessione, l'intervento francese in Messico venne tollerato per ragioni d'opportunità politica, comunque fu dichiarato sgradito e il Secondo Impero Messicano non venne riconosciuto dal Congresso. Ma giunti quasi al termine della guerra civile, con l'abolizione della schiavitù anche da parte della Confederazione sudista, nel gennaio del 1865, il ripristino della Dottrina Monroe diventa un imperativo categorico di politica estera irrinunciabile e viene proposto come opportunità di riconciliazione tra gli eserciti del nord e quelli del sud. Nonostante il fallimento degli accordi di Hampton Roads, con la presidenza Johnson, appena insediata, il nuovo carattere geopolitico assunto dalla Dottrina, consentì di favorire i democratici repubblicani di Benito Juarez, pur senza interventi diretti e ufficiali in un Paese straniero.
Alcuni anni dopo, terminato il decennio della Ricostruzione del Sud, alla fine del mandato presidenziale del generale Grant, nel 1877, con il rientro degli ex secessionisti democratici in politica attiva, si avvierà il lungo periodo di mantenimento della discriminazione razziale nel Sud, mentre in Messico, nonostante le oneste e buone intenzioni dell'ex presidente Juarez (deceduto nel 1872), si ricadrà in una drammatica fase di dittatura politica latifondista, poco influenzata dalla civiltà industriale del nordamerica, bensì sospinta e subordinata agli interessi e alle politiche fisiocratiche e minerarie sudamericane: il Porfiriato di retaggio conservatore.
Abramo Lincoln: un’icona cosmopolitica per il XXI secolo

Non ci può essere cosmopolitismo, senza esistenza delle nazioni.

Ciascuna nazione dura generazioni, solo se fondata sull’unione.

Il Mondo per massimizzare la pace, deve riunire tutte le nazioni in una confederazione internazionale, dove l’aspirazione accentratrice al governo unico, assoluto e mondiale, sia manifestamente rigettata.

Questi concetti fondamentali di diritto pubblico, descritti e commentati dal filosofo tedesco di Koenigsberg, Immanuel Kant, nella “Metafisica dei costumi” e nel breve saggio “Per la pace perpetua”, scritti e pubblicati nella seconda metà del Settecento, furono ben noti e discussi dai Padri costituenti della Costituzione americana e ben sedimentarono nell’animo, nel cuore e nella mente di Abramo Lincoln. Il Presidente mise sopra ogni cosa l’Unione degli Stati: non sarebbe esistita a lungo l’America senza di essa. Era consapevole che la vittoria presente dei popoli liberi americani sarebbe stata una vittoria anche per il futuro di tutti i popoli, anche dei popoli europei.
Difendere l’Unione poteva avvenire nel rispetto di tutte le nazioni; la questione messicana fu occasione per dimostrarlo: il Messico giunto da poco all’indipendenza abbisognava di stabilità e di misure adeguate per passare da uno stato coloniale di secolare asservimento ad uno di libertà democratica. La monarchia liberale poteva rappresentare una giusta transizione, dopo che in pochi anni di Repubblica, dal 1824 al 1861, l’instabilità politica raggiunse livelli di corruzione e degrado inauditi. Il cosmopolitismo di Abramo Lincoln è consistito proprio nel rispettare la sovranità del Messico, nel rigettare un ritorno al recente passato della guerra messicana del 1848, nel non voler svilire il destino di altri popoli, solo per disporli al servizio e agli interessi del suo amato Paese: gli Stati Uniti d’America.
Se l’eredità di Abramo Lincoln per il XXI secolo, consiste nel temperare le proprie istanze nazionali con quelle di tutti gli altri, allora vuol dire impegnarsi a salvaguardare tutte le nazioni e favorire il bene di ciascuna, non solo della propria, senza esclusioni: come se tutte ci appartenessero. Il Mondo può massimizzare la pace se gli Stati armano il diritto per garantire la sovranità di tutti i popoli, favorendo l’unione all’interno di ciascuna identità nazionale e i diritti cosmopoliti di ciascun cittadino nel Mondo.
Oggi questo straordinario compito pare identificarsi solo nella Organizzazione delle Nazioni Unite, ma la pace internazionale richiede ulteriori sforzi sia a carattere pratico, sia teoretico.
Il presente dell’Europa, oggi è troppo disorganizzato e privo di un autentico ideale di convivenza cosmopolita: ci vorranno forse una o due generazioni ancora, per maturare una cittadinanza matura e propositiva internazionalmente; dovremmo aspettare per lo meno gli anni settanta del XXI secolo.
Il Medio Oriente è troppo conflittuale per creare nella pace, il dialogo tra i popoli dell’Abramo biblico: l’ instabilità è la sua caratteristica dominante e ci convive da troppo tempo per liberarsene in pochi decenni.
Gli Stati Uniti d’America per rafforzare la pace e il diritto internazionale, invece, potrebbero istituire una Confederazione di stati americani che include anche i Paesi latini: l’America Centrale e del Sud. Questa Confederazione, senza ledere le sovranità degli Stati confederati, aprirebbe importanti scenari di convivenza individuale e collettiva nell’emisfero americano (cosmopolitismo interno) in scala ridotta e farsi specchio della ben più complessa realtà internazionale, dove la convivenza è ancor più problematica (cosmopolitismo esterno). Contribuire con gli Stati Uniti a creare due fronti cosmopoliti: uno per togliere conflittualità infra-etniche e l’altro per facilitare la convivenza tra cittadini diversi per razza, costumi, religione, usi e consuetudini, può orientare le nazioni di buona volontà, a seguirne l’esempio sui propri territori di appartenenza continentale.
Una Confederazione che nasce sul fondamento dei diritti cosmopolitici, se vuol dare impulso ad una missione civile, non può sussistere senza partecipazione, reciprocità, democrazia, certezza del diritto. Salvaguardare una comunità internazionale, e non svilire la propria identità nazionale, anzi aiutarla a rafforzarsi nell’unione interna, è il miglior lascito di Abramo Lincoln, cittadino del Mondo, all’umanità disorientata e sofferente del XXI secolo.
Michelangelo Castellarin