Sparita la riforma del catasto dall’agenda di Renzi. L’equita non è popolare fra certi amici

Sono passati un anno e sei mesi da quel 12 marzo 2014 in cui è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la legge dello Stato numero 23 dal titolo roboante: delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita. Il governo si diceva nella norma ha un anno di tempo per approvare i decreti attuativi della delega fiscale per la tanto attesa riforma del catasto. Invocata per anni, promessa da ogni governo la riforma del catasto sembrava davvero in dirittura d’arrivo. Ma passatol'anno, dopo annunci di un incolpevole ritardo, ecco che lo scorso giugno arriva la battuta d’arresto perchè la riforma del catasto, si dice negli ambienti di palazzo Chigi comporterebbe un’impennata della tassazione sulla casa tanto che il governo ha deciso di congelarla. Così i termini della delega fiscale sono scaduti e anche se Renzi minimizza è addio alla riforma che poturo fare la differenza colpendo in maniera davvero equa i patrimoni immobiliari. Così mentre si discute di abolizione di IMU e TASI sulla casa d'abitazione principale mascherando l'operazione come di equità della tassazione sulla casa il tema torna prepotentemente alla ribalta ed in tanti si chiedono: che fine ha fatto la riforma del catasto? Dopo essere uscita dalla porta, potrebbe rientrare dalla finestra della legge di stabilità? Operazione che appare improbabile perchè osteggiata fortissimamente da ambienti che stanno appggiando Matreo Renzi e al quale lo sgarro del nuovo catasto farebbe poco piacere.
Vecchio ormai di 70 anni, il sistema catastale non rispecchia più la realtà del mercato immobiliare italiano incidendo negativamente sul calcolo delle tasse sugli immobili che dipendono dalla loro rendita catastale. Così il premier aveva annunciato una rivoluzione del catasto e della tassazione sulla casa. L’obiettivo era di introdurre un sistema di calcolo della rendita catastale degli immobili più equo, più aderente alla realtà. Non più i vani, ma i metri quadrati delle abitazioni ma soprattutto le loro caratteristiche per determinare il valore. La riforma del catasto doveva servire per definire il valore patrimoniale degli immobili sulla base dei valori di mercato al metro quadrato, per tipologia immobiliare e tenendo conto delle sue caratteristiche edilizie: la presenza di scale, l’anno di costruzione, il piano, l’esposizione, la localizzazione. Il risultato doveva essere un algoritmo che, moltiplicato per i metri quadri dava il valore patrimoniale dell’immobile e di conseguenza determinava il valore delle tasse come IMU, TASI e TARI. L’idea di riformare il catasto era stata accolta positivamente anche dalla Commissione Europea che il 13 maggio scorso lamentava la lentezza con cui il governo stava portando avanti la riforma. Nel documento con le raccomandazioni del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2015 dell'Italia si legge: “Quanto alla tassazione dei beni immobili, ci sono stati soltanto lenti progressi della riforma del catasto, nell'ambito della quale si rende particolarmente necessaria una revisione dei valori catastali obsoleti.” Dai “lenti progressi” rilevati da Bruxelles, siamo arrivati nel giro di un mese allo stop assoluto. A fine giugno infatti, quando il Consiglio dei Ministri avrebbe dovuto licenziare i decreti attuativi della delega fiscale il Governo invece ha annunciato il congelamento della riforma. Il rischio emerso nel corso delle prime simulazioni con il nuovo sistema catastale era di un forte rincaro delle tasse sulla casa soprattutto per alcuni. L’allarme stangata ha fatto saltare la riforma del catasto anche perchè il principio basilare della delega fiscale è l’invarianza di gettito. Il CdM quindi ha disposto una proroga a data da destinarsi. In un primo momento si è pensato che la riforma del catasto potesse arrivare insieme all’introduzione della local tax in sede di legge di stabilità. Modificando insieme al sistema di calcolo della rendita catastale anche le aliquote delle tasse sulla casa, sarebbe stato più facile mantenere l’invarianza di gettito. La local tax è l’imposta unica che, dal 2016, avrebbe dovuto sostituire le tasse sulla casa IMU e TASI e forse anche TARI. Ma dall’agenda del Governo la local tax sembra essere scomparsa insieme alla riforma del catasto, sostituite entrambe da una soluzione molto più semplice e di forte impatto dal punto di vista elettorale: l’abolizione di IMU e TASI.
Sul cambio di strategia di Renzi, la Commissione europea ha già dimostrato di non essere entusiasta, spingendo il Governo verso il taglio del cuneo fiscale o della tassazione delle imprese piuttosto che l’abolizione di IMU e TASI su tutti gli immobili. Aliquote diverse, detrazioni e sconti infatti, hanno lo scopo di rendere la tassazione della casa il più equa possibile, alleggerendone il peso sulle famiglie con redditi bassi e figli minori. L’abolizione totale di IMU e TASI è certamente una di quelle promesse che porta tanti voti al partito, ma non introduce maggior equità nel sistema fiscale.
Per cercare equità serve la riforma del catasto e magari un local tax ad essa collegata che faccia pagare di più a chi può permettersi più spese e meno (o anche niente) a chi ha problemi economici. Ma un’operazione del genere, complessa dal punto di vista tecnico, dispendiosa sul piano politico e meno interessante per la comunicazione non entusiasma affatto il premier intento a cercare gli applausi a scena aperta. E così, meglio annunciare la rivoluzione copernicana delle tasse, con l’abolizione di berlusconiana memoria per tutti di IMU e TASI, poi se i comuni dovranno alzare altre tasse o tagliare altri servizi, sarà un problema di sindaci e cittadini.