Sorpresa: il califfo ci vuole tutti morti

Nella confusione che regna sovrana intorno all’attentato al museo del Bardo di Tunisi, l’unica cosa certa l’abbiamo vista ieri mattina sui teleschermi: l’atterraggio a Ciampino di un Boeing dell’Aeronautica militare con a bordo quattro salme. Di quattro italiani, innocui turisti o, come li definiscono i sostenitori del califfo, “crociati” e “apostati”. Intercettata da “Site”, organismo che monitora le attività telematiche dello Stato Islamico, la rivendicazione – diffusa inizialmente dalla radio di Mosul e poi trascritta e propagata su Twitter - ha sollevato parecchie perplessità. I contraddittori segnali raccolti su internet, ma anche l’incerta comunicazione delle autorità tunisine, non chiariscono se gli attentatori siano legati allo Stato islamico o siano invece militanti dei vari gruppi qaedisti che infestano la parte occidentale della Tunisia. Se siano aspiranti jihadisti entrati in azione o, invece, veterani del conflitto siriano tornati in patria per colpire. Si tratti degli uni o degli altri, queste persone sguazzano nelle turbolenze di una regione dove ci sono, tra le altre cose, i campi d’addestramento del’Isis fioriti in uno stato fallito come la Libia. Ciò che conta non è l’autenticità del comunicato, quanto il diffuso entusiasmo per la morte dei nostri connazionali e di altri quattordici occidentali. Nella "battaglia benedetta da Dio" che ha avuto luogo nella capitale tunisina, precisa la rivendicazione, "due cavalieri dello Stato Islamico” sono stati “in grado di asserragliare un gruppo di cittadini di paesi crociati". Il tutto in un luogo, il museo del Bardo, dove sono esibiti preziosi mosaici del periodo romano, manufatti incompatibili con un’ideologia che bolla come blasfeme le rappresentazioni artistiche degli umani. "Gli infedeli sono stati terrorizzati dal Signore”, afferma la rivendicazione, che ci ricorda come quei turisti sbarcati da una nave crociera siano stati colpiti mentre scendevano dagli autobus per fare una cosa normalissima come visitare un museo. Un ottimo motivo per eliminarli a colpi d’arma da fuoco e per mettere in ginocchio un paese come la Tunisia la cui economia si sorregge anche sui proventi del turismo “blasfemo”. “Quello che avete visto è solo la prima goccia di pioggia”, conclude il latore del messaggio, lasciando intendere quel che è ormai chiaro a tutti, cioè che la mattanza jihadista è appena iniziata e coinvolge tutti. I paesi occidentali, bersaglio di attacchi spettacolari come quello di Charlie Hebdo, ma anche quelli arabi come lo Yemen, dove poche ore dopo i fatti di Tunisi il califfo avrebbe messo a segno un altro colpo, trucidando centotrenta fedeli di quella confessione sciita tanto odiata dai sunniti che si riconoscono nella vocazione genocida dell’ideologia califfale. In questo micidiale impasto di estremismo, violenza e propaganda hi-tech, poco importa se gli attacchi siano effettivamente sollecitati dalla capitale del califfato a Raqqa, in Siria, o dalle propaggini di al Qaeda ancora operative in tutto il Maghreb. Nell’attuale, pericolosissima fase del terrorismo di matrice islamica le stragi sono compiute non sulla base di un’affiliazione da parte di chi le perpetra, quanto dalla motivazione che il radicalismo islamista ispira in individui o cellule che poi si mobilitano autonomamente, senza alcun coordinamento centralizzato o sostegno materiale. È la lezione del duplice attentato di Parigi, compiuto da tre musulmani europei che nutrivano ideali jihadisti ma non avevano stretto alcun accordo col “principe dei credenti” e nuovo califfo Abu Bakr al-Baghdadi. In questo quadro liquido e velenoso, ciò che conta non è chi dà gli ordini, quanto chi si esalta per la sequenza di successi del jihad ed è sollecitato ad entrare a sua volta in azione. La morte di una ventina di turisti è il frutto dell’odio nutrito nei confronti di chi non condivide un’utopia, quella della restaurazione dei fasti dell’impero islamico del VII secolo, per realizzare la quale tutto è lecito, comprese decapitazioni, crocifissioni, pulizia etnica e distruzioni di patrimoni archeologici dal valore inestimabile. Ciò che inquieta dunque non è tanto né solo l’entrata in scena di uno Stato canaglia nel cuore del Medio Oriente, quanto l’esistenza di una folta schiera di sostenitori che, se non possono accogliere l’invito del califfo ad emigrare nella nuova terra promessa, collaborano a distanza. La cooperazione consiste nel seminare morte e terrore laddove vi siano uomini o governi infedeli o regimi “empi” in quanto troppo poco “islamici”. La scelta di colpire la Tunisia era in questo senso prevedibile. Proprio dal paese nordafricano si era propagata l’onda libertaria della Primavera araba, innescata dal tragico gesto di un venditore ambulante che si era dato fuoco per protestare contro le angherie della polizia. La Tunisia è inoltre l’unica realtà in cui le rivoluzioni del 2011 hanno prodotto risultati corrispondenti alle aspirazioni di chi scese in piazza per chiedere la fine della dittatura. La transizione democratica che qui ha avuto luogo non può che essere avversata da chi ritiene che la democrazia, il pluralismo, i diritti dell’uomo siano i frutti marci della corruzione occidentale. Nell’ottica jihadista, per la quale la sovranità spetta solo a Dio e può essere amministrata esclusivamente dal “vicario” (khilafa, il califfo) di Maometto, la democrazia, le elezioni, i parlamenti, i partiti rappresentano una depravazione da sopprimere nel sangue. L’affermazione del presidente tunisino Beji Caid Essebsi secondo cui il suo paese è “in guerra” non è dunque retorica o figlia di un cedimento emotivo; deriva semmai dalla consapevolezza di rappresentare uno Stato che, avendo scelto di entrare nel campo delle democrazie, viene automaticamente etichettato come nemico. L’esperimento democratico di Tunisi e la presenza di turisti occidentali si sommano nell’equazione dei jihadisti che tutto vogliono spazzare via in nome di un progetto eversivo di portata globale. Senza mettere insieme tutte queste dimensioni, senza considerare la natura della sfida lanciata al mondo intero dal califfato, non si riesce a comprendere l’entusiasmo con cui l’ubiquo popolo del jihad ha salutato la morte dei quattro italiani. “Questo crociato è stato schiacciato dai leoni del monoteismo”, ha cinguettato un simpatizzante che ha diffuso la foto di una delle nostre vittime, pensando bene di sfregiarla apponendole una croce rossa. La soppressione di un cittadino italiano è fonte di orgoglio per i jihadisti di tutto il mondo. Uomini assetati di sangue infedele che sognano di bissare l’exploit di Tunisi.