Siria: nuovo corso di Teheran, chiede un “fronte unito” contro lo stato islamico

A margine della Assemblea Generale Onu di significativo non c'è stato solo il faccia a faccia fra Obama e Putin sulla questione Isis, certo è importante che Mosca sia disponibile a sostenere una coalizione internazionale con mandato Onu, ma è altrettanto vero che l'accordo, se così si può chiamare, riguarda solo aspetti militari, per di più assolutamente insufficienti a contrastare il Califfato che non può essere combattuto solo dall'aria. Restano profonde differenze sulla sorte di Assad. Di importante c'è stata anche la posizione di Teheran, che rafforzata politicamente dall'accordo sul nucleare torna ad essere potenza d'area ascoltata e senza la quale nulla può davvero essere mosso in medio oriente. Anche l'Iran, che solo qualche anno fa avrebbe visto una presenza straniera nella zona come una invasione intollerabile, chiede un “fronte unito” contro il terrorismo. Teheran infatti contrariamente all'occidente ha ben chiaro che la sfida contro l'Isis non è un fattore di “ordine pubblico internazionale” ma una guerra molto ideologica fra concezioni diverse dell'islam, per cui quello degli Ayatollah oggi sembra paradossalmente progressista se confrontata con le tesi del Calliffato. Un conflitto che proprio perchè basato su una ideologia pervasa di finta religiosità è pericoloso perchè molto attrattivo nel mondo islamico che legge la politica mondiale degli ultimi decenni, non senza qualche ragione, come vessatoria nei confronti del mondo musulmano in generale, a partire dalla irrisolta questione israelo-palestinese, passando per le vicende afgane, somale, irachene e pur con le dovute differenze, libiche. All’Assemblea generale Onu, quindi, fra i discorsi più significativi c'è stato quello del presidente iraniano Rouhani, il quale non solo ha auspicato la nascita di un fronte unito per combattere l’Isis, ma rivolgendosi per la prima volta all’assise dopo la storica firma dell’accordo sul nucleare, ha rivolto un invito “al mondo intero e in particolare alle nazioni della mia regione, per dar seguito a un piano di azione e creare un fronte unito contro l’estremismo e la violenza”. La più grande minaccia per il mondo oggi, ha aggiunto, è la trasformazione di “organizzazioni terroriste in nazioni terroriste”. Sulla crisi siriana egli, che si dimostra molto più lucido in questo di altri leader, non ha voluto indicare quale sarà la sorte futura di Assad, ma ha suggerito che sia lo stesso popolo attraverso le elezioni a scegliere la guida futura. “Sosteniamo - ha detto - il consolidamento del potere attraverso il voto popolare, piuttosto che con le armi”. Certo detta dal capo di uno dei paesi che non brillano certo in democrazia, la sparata, appare risibile e strumentale, ma tuttavia sono aperture da non sottovalutare. La decisione quindi di allargare la coalizione impegnata nella guerra contro lo Stato islamico e i movimenti jihadisti in Siria e Iraq, con il possibile ingresso nel prossimo futuro di Russia e Iran a pieno titolo nel campo dei “buoni” è una novità assoluta che potrebbe davvero risolvere con un colpo di maglio la questione Isis, ma solo se verrà poi accompagnata a un piano serio di rinascita economica e istituzionale di quei territori. E su questa fase due non vi è allo stato nessun accordo, anzi vi sono visioni diversissime. Così mentre Putin e Obama ne discutono, il presidente iraniano Hassan Rouhani, probabilmente con la concretezza di chi ha ben colto il pericolo ideologico-religioso dell'Isis, invoca la formazione di un “fronte unito” contro il terrore in Medio oriente e conferma che Teheran è pronta a “portare la democrazia” dalla Siria allo Yemen.
L'agenzia AsiaNews su questo punto rilancia quanto detto da una “fonte diplomatica” a Damasco, che parla di “situazione delicata e complessa” in uno scacchiere internazionale in evoluzione e di una oggettiva difficoltà di fare previsioni. “È interesse di tutti - spiega - fermare la guerra e le violenze, anche per risolvere la crisi dei rifugiati in Europa. Tuttavia, quando si entra nei modi concreti per raggiungere l’obiettivo emergono le divergenze più ampie”. Al di là di una generica “volontà comune”, conclude la fonte, restano sempre le “discussioni” finora infruttuose sulle “soluzioni da mettere in campo. Intanto la realtà continua a essere critica, con i civili sempre più stremati da anni di conflitto”. Vedendo questo punto di vista non hanno torto gli iraniani, in effetti, Stati Uniti e Francia - che ha lanciato i primi autonomi raid aerei in Siria - insistono che Assad deve andarsene dopo un periodo di transizione e il processo di ricostruzione del Paese deve avvenire senza l’attuale presidente, ponendo in questo momento una sorta di pregiudiziale che appare inaccettabile in una logica di risoluzione del problema. Perchè Assad è certamente, come era Gheddafi in Libia, un dittatore, ma garantisce quell'ordine che, ad esempio in Egitto, l'Occidente ha applaudito con la presa del potere da parte del generale al Al Sisi. In mancanza di una soluzione diversa Assad appare il minore dei mali per evitare che la Siria post Califfato diventi come la Libia post Gheddafi. Anche per questo e non solo per mantenere le proprie basi in Siria, secondo la leadership russa, abbattere Assad ora sarebbe un “enorme sbaglio”. Comunque una qualche schiarita la si può leggere, perchè non è detto che le posizioni di facciata coincidano con gli accordi non dichiarati, perchè in diplomazia mai è tutto come appare.
Fabio Folisi