Sinistra: Non resta che ripartire dalla Costituzione

Il nobile tentativo di creare un aggregazione dal basso, che è passato in questi mesi sotto il nome di “Brancaccio”, è fallito. Fallito probabilmente perché era intriso di personalismi e di una buona dose di velleitarismo. In migliaia di persone hanno creduto che per davvero si potesse partire dall'ascolto dei cittadini, dei movimenti sul territorio, per arrivare ad un programma condiviso che si potesse integrare e confrontare alla pari con quelli delle formazioni politiche, vecchie e nuove, che hanno oggi per unico reale denominatore comune quello di sentirsi alla sinistra del PD renziano che ormai, facciata a parte, ha assunto una collocazione, ad essere generosi, di natura centrista. Non demonizzabile di per sé, ma certamente non più adeguata a rappresentare le istanze sociali di una vasta area sociale del Paese. Insomma il PD è un partito di centro con alcune sfilacciate frange che nuotano nella tempesta dell'isolamento decisionale con buona pace di alcun fondatori della fusione Ds-Margherita dimostratasi nei fatti un fallimento. Veltroni & C ci provano a dimostrare di non aver preso una cantonata colossale, provano ancora a ricucire quello che allo stato non è ricucibile.

Il problema per chi ancora si richiama ai valori della sinistra progressista non è quello di essere contro il PD che naviga legittimamente verso altri lidi, ma quello di sostituirsi alla rappresentanza sociale che in quella formazione non trova più cittadinanza e che si è spesso auto-isolata nel limbo dell'astensione e del disimpegno. Un punto di partenza che vuol dire certo qualcosa, ma che non è sufficiente, a meno di non pensare alla classica fusione fredda pre-elettorale fatta di suddivisione di presunti seggi e di mantenimento di rendite partitiche di posizione. Il Brancaccio che per molti voleva rappresentare una riscossa dal basso, è saltato e questo è certo un problema, tuttavia se Montanari e Falcone si sono evaporati, questo non vuol dire che con loro siano sparite le migliaia di persone che si stavano mobilitando. Certo la modalità del fallimento ha lasciato l'amaro in bocca a chi ci ha creduto o sperato che per una volta settarismi e personalismi potessero rimanere fuori dalla porta. Ma se una battaglia e persa non è detto che non si possano riordinare le truppe, perchè anche un'armata Brancaleone se motivata può dare una spinta propulsiva formidabile. Basti pensare alla Resistenza, alle formazioni partigiane che, mentre fischiava il vento ed infuriava la bufera, con le loro scarpe rotte e le armi spuntate marciavano verso la libertà riuscendo perfino a far fronte comune al di là delle differenze ideologiche. Anche allora, come oggi, non vi era libertà di stampa, anzi oggi è peggio perché ti fanno credere che ci sia, eppure mai come nelle fasi più esaltanti della lotta di liberazione vi è stato un proliferare di stampa libera, certo clandestina, ma in grado comunque di parlare alla gente e creare coscienza antifascista. Paragone forzato, forse, ma oggi in qualche modo bisogna riacquistare quello spirito, risentirsi partigiani ed utilizzare quell'arma formidabile che è proprio nata dal sacrificio di quelle donne e quegli uomini che hanno sofferto e in tanti sono morti per darci libertà e una Costituzione magnifica. Una Carta che è certamente la “più bella del mondo” ma che purtroppo è rimasta in molte parti poco applicata. Ed allora non rimane proprio che partire da quella Carta di principi ed indirizzi, non solo per difenderla come è stato fatto il 4 dicembre 2016, ma per farla diventare programma politico.

La scadenza elettorale si avvicina inquinata da una legge elettorale, il rosatelum, ancora una volta in odore di incostituzionalità, ma che soprattutto darà, comunque vada, un risultato viziato da un sistema che non è fatto per garantire una corretta rappresentatività del corpo elettorale, sacrificato sull'altare di una presunta necessità di governabilità. “La sera delle elezioni dobbiamo sapere chi sarà il Presidente del Consiglio”, questo è stato il mantra che ci è stato propinato per oltre un ventennio, dimenticando che in democrazia, fondamentale è che il risultato delle urne, dia non un “capo” ma un risultato corrispondente alla volontà politica dei cittadini, senza trucchi ed artifici. Questo è l’unico modo per contrastare l’enorme sfiducia nei confronti delle istituzioni e la crisi della rappresentanza che si fa sempre più palpabile dalle Alpi alla Sicilia.

Dobbiamo in sostanza ritornare ad una cultura costituente facendo sì che la politica a sinistra recepisca il messaggio espresso dal referendum del 4 dicembre. Oggi ad un anno dal tentativo renziano di impadronirsi della Costituzione, basterebbe questo per sbattergli in faccia la porta, ma se poi aggiungiamo la nessuna autocritica sulle politiche fin qui fatte e l'imposizione del rosatellum, sembra perfino strano che qualcuno possa pensare di trovare un accordo. Anche il trucco del “voto utile” a fermare le destre non può funzionare visto che si vorrebbe attuare senza esprimere alcuna volontà di correggere quegli obbrobri legislativi fatti dal Governo Renzi prima e da quello fotocopia Gentiloni poi. Politiche che si sono mosse prevalentemente nell'area ideologica della destra e che come si è visto spingono gli elettori a votare l'originale e non il surrogato. Ma anche sentendo le ultime dichiarazioni del segretario del PD, “ niente abiure dei Mille Giorni" appare chiaro che lui non ha colto il problema. E allora bisogna ripartire da quei milioni di NO che indicavano una precisa strada politica basata sul recupero dei valori della nostra Carta costituzionale e inevitabilmente dalla bocciatura del PD renziano e delle sue politiche di governo (dal jobs act alla “buona scuola”, dall'attacco ai diritti sindacali dei lavoratori, al problema del welfare), politiche che si sono allontanate dallo spirito costituzionale e da quello di una sinistra attenta alle esigenze dei popoli. Ma è evidente che aver battuto quel tentativo di violenza sulla Costituzione non è sufficiente, una volta salvaguardata la Costituzione dagli attacchi, ci si deve ora impegnare tenendo conto delle sue immense potenzialità. Intendiamoci non è che la Carta sia un monolite immodificabile, ma le eventuali modifiche devono manifestarsi come uno svolgimento della logica stessa costituzionale e dalla strada tracciata dai suoi principi fondamentali, quelli sì inalienabili. Se tutto il mondo della politica prima di votare una legge valutasse preliminarmente se la norma ricade nei dettati e nello spirito dei principi costituzionali e magari di quelli della Carta Universale dei Diritti dell'Uomo, avremmo tanti problemi in meno e tante leggi migliori. Del resto nella Carta ci sono principi fondamentali che valgono per sempre. La Costituzione è infatti a garanzia della vita collettiva, lo è anche verso il “potere politico, quello economico, quello culturale e perfino religioso”. Significa però che la Costituzione prevede dei limiti verso coloro che hanno il potere: trasferendo e dispensando il governo delle cose tra tutti ed attraverso un mirato sistema di pesi e contrappesi evitando che vi siano rigurgiti dittatoriali, che nella logica della “governabilità”, trova i massimo della applicazione. Uno decide per tutti e i cittadini sono sudditi muti, magari mutuando al popolo il motto dei carabinieri: "usi obbedir tacendo e tacendo morir"... magari di precarietà e assenza di welfare. Insomma quando si parla di cultura costituzionale occorre riferirsi al tema della rappresentanza effettiva del potere decisionale. Le persone si devono sentire davvero rappresentate. Tanto che l’alta affluenza al referendum del 4 dicembre dimostra che i cittadini vogliono riappropriarsi della vita pubblica. Le persone hanno mostrato una maggiore sensibilità e volontà di essere protagonisti, ma solo quando comprendono di contare per davvero o che in gioco ci sono libertà e diritti.

Fabio Folisi