Servizio Civile Universale: una vittima di guerra

In un recente appello di Arci Servizio Civile si rende noto che il governo del cambiamento non pare interessato a sostenere adeguatamente il Servizio Civile Universale il quale, lo ricordiamo, costituisce l’ossatura di molti interventi sociali e culturali messi in campo da altrettante associazioni e Onlus.

“…Il Paese…”, si legge nell’appello, “… alla vigilia del passaggio in Aula di Montecitorio della legge di stabilità 2019, progetta il suo futuro, ma si dimentica dei giovani (…) È ormai concreto il rischio di una legge di stabilità 2019 con solo 148 milioni per il Servizio Civile Universale, che, come da tutti confermato, sono in grado di dare l'opportunità a poco più di 20.000 giovani di svolgere Servizio Civile, a fronte dei 53.363 volontari del 2018 e dei 110.000 candidati al bando 2018. Un danno per decine di migliaia di giovani, così come per chi beneficia del Servizio Civile stesso, quali, anzitutto, le fasce più deboli della popolazione, privati di innumerevoli servizi. Rimaniamo disorientati che il Governo non abbia sostenutoun emendamento presentato dal gruppo parlamentare di maggioranza relativa. Chiediamo al Governo di stabilire un'idea precisa sul futuro dei giovani, intervenendo in Aula e presentando tutte le iniziative opportune affinché la Camera licenzi un testo che assicuri per il 2019 quantomeno il contingente del 2018. Una scelta diversa è un grave segno di disattenzione alle speranze dei giovani e alla loro emarginazione sociale ed economica…”

Anche se il governo del cambiamento si sta rivelando come il peggiore di tutti rispetto a questo tema, è pur vero che il finanziamento del Servizio Civile Universale (già Servizio Civile Nazionale) è sempre stato oggetto di estenuanti trattative con i governi di ogni colore sin dai tempi della sua istituzione e lo testimonia, a titolo d’esempio, il fatto che nel 2018 sono state finanziate meno della metà delle candidature pervenute.

Il Servizio Civile Nazionale viene istituito con la legge 64 del 2001. In questa fase, preparatoria alla definitiva sospensione della leva, avevano accesso al SCN le sole donne, su base volontaria.

Con la definitiva sospensione della leva militare (e quindi dell’obiezione di coscienza) sopraggiunta con la legge 226 del 2004, il SCN entra nella sua fase attuativa piena con l’apertura dei bandi ad entrambi i sessi.

Ma da allora, l’afflusso di giovani che generava l’obiezione di coscienza verso associazionismo e Terzo settore è rimasto solo un pallido ricordo.

Un pallido ricordo che, con l’istituzione del SCN si è trasformato in una fregatura bella e buona…

L’ipotesi della professionalizzazione delle Forze armate e della conseguente sospensione della leva vinse praticamente a tavolino in primo luogo perché prospettò la promessa di liberare i giovani italiani dal fardello della leva obbligatoria (salvo “imporla” indirettamente ai disoccupati e ad una particolare fascia di territorio nazionale come unico sbocco occupazionale); in secondo luogo perché questa “riforma”, a suo tempo, mise d’accordo un po’ tutti:
- gli statunitensi che la imposero come standard Nato per potere disporre anche delle Forze armate italiane direttamente o indirettamente nei loro piani strategici post 89’;
- tutti i partiti rappresentati in parlamento con l’unica eccezione di Rifondazione Comunista;
- le aziende del comparto industriale militare per ovvie ragioni legate all’aumento di commesse con alto valore tecnologico e quindi all’aumento dei dividendi per manager e azionisti (con i sindacati di categoria confederali in una posizione sempre opaca e sulla difensiva nonostante il calo costante dell’occupazione);
- il Terzo settore che sperava di vedere risarcito il suo serbatoio di giovani (prima garantito dall’obiezione di coscienza) con l’istituzione del SCN.

Tra i favorevoli alla professionalizzazione delle Forze armate solo Stati uniti, Nato ed industria bellica hanno incassato enormi vantaggi: una inedita politica estera belligerante a sostegno della spesa militare che oggi si attesta sui 70 milioni di euro al giorno e che dovrà essere portata al 2% del Pil ossia 100 milioni di euro al giorno da un lato e un grande consumatore interno di hi-tech militare dall’altro.

Le cifre parlano chiaro e, tra tutti, il Terzo settore è rimasto col cerino in mano. Non a caso fu proprio lo stesso Terzo settore, per correre ai ripari, a suggerire al governo Renzi l’istituzione della “leva civile” (implicitamente parallela all’esercito professionale).

Un palese nonsenso, peraltro finanziariamente insostenibile se consideriamo le cifre investite nell’impegno bellico permanente seguito alla professionalizzazione.

Altra vittima della contro-riforma che ha sospeso la leva (anziché ridimensionarla e ripensarla nelle finalità) è stata, indirettamente, la Protezione Civile.
In pieno caos climatico, la Protezione Civile ha infatti perso un collaboratore di primo piano: l’Esercito, con logistica, mezzi e personale è in tutt’altro affaccendato, strutturalmente incapace di essere impiegato in maniera massiccia e risolutiva nelle emergenze ambientali plurime che ci colpiscono ogni anno.

Forse è arrivato il tempo di ripensare organicamente il tema della “difesa e sicurezza della patria”, così come costituzionalmente sancito.

Ricomporre i cocci oggi significa abbandonare approcci corporativi e fare i conti con l’attuale modello di difesa nel suo complesso per superarlo. Significa fare un passo indietro per farne quattro in avanti: recuperare e potenziare la funzione di supporto ed integrazione delle Ff.aa con la Protezione Civile nelle emergenze ambientali; restituire a questo Paese un Servizio Civile come alternativa con pari dignità a quello militare; rendere le Forze armate strutturalmente indisponibili ad una politica estera belligerante asservita agli interessi Nato/statunitensi e ai fatturati dell’industria militare, avviare lo smantellamento/conversione di tutte le basi statunitensi presenti sul territorio nazionale.

Quattro passi in avanti per un’Italia neutrale, ponte di pace e cooperazione per il Mediterraneo e Paese promotore di politiche di distensione e disarmo: un grande, difficile eppure necessario ricollocamento strategico in un mondo che sta scoppiando.

Gregorio Piccin