Riforma del lavoro e contratti nel Jobs Act: ecco cosa cambia tecnicamente

Tutti contro o tutti a favore del Jobs Act by Matteo Renzi. L'italia come spesso accade si divide in fronti contrapposti ma spesso armati di scarsa conoscenza sulla materia del contendere. Certo il problema è soprattutto di interpretazione del mondo del lavoro fra chi vorrebbe mantenere fermi alcuni diritti e chi questi diritti li considera privilegi. Alla base c'è certamente una diversa concezione del futuro. Ma per valutare bene sarebbe opportuno capire al di là delle linne generali dei Jobs act su cui essere o non essere d'accordo cosa cambia davvero con i decreti attuativi recentemente varati a completamento della Riforma dei Contratti prevista dal Governo, introducendo il nuovo tempo indeterminato a tutele crescenti, eliminando progressivamente una serie di tipologie contrattuali come le collaborazioni a progetto o le associazioni in partecipazione con apporto di lavoro, riformando altri istituti come il part time, mentre restano inalterati ad esempio il tempo determinato e l’apprendistato. Ecco un breve vademecum riassuntivo della Riforma comprensivo delle misure inserite nei diversi decreti attuativi della delega del Jobs Act, che mette in luce cosa cambia.

Il contratto a tempo indeterminato: Una delle misure portanti della Riforma Contratti riguarda il nuovo tempo indeterminato a tutele crescenti, che viene applicato a tutte le nuove assunzioni. In pratica, chi è già assunto a tempo indeterminato resta con il vecchio contratto, ma a chi trova lavoro o lo cambia viene invece applicato il nuovo contratto. Questa riforma è contenuta in un decreto ad hoc, che ha già terminato l’iter attuativo. La norma è lo “Schema di decreto legislativo in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183"  recante disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti“. Iniziamo con il dire che per le PMI con meno di 15 dipendenti: nel caso in cui superino questa soglia con assunzioni a tutele crescenti, si applicano le nuove regole sui licenziamenti anche ai vecchi assunti. É un particolare non secondario che forseè sfuggito ai più e che fa comprendere come in realtà il progetto finale, almneno di un parte della maggioranza, è andare progressivamente al nuovo sistema allargando a tutti le nuove normative superandocosì del tutto l'art.18. Upiù che un sospetto si tratta della naturale evidenza dei fatti e delle tendenze.  In estrema sintesi, cambiano le protezioni dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ovvero le norme sul reintegro in caso di licenziamento ingiusto, che resta inalterato solo per i licenziamenti nulli o discriminatori. Per tutti gli altri, quindi giustificato motivo oggettivo e soggettivo e giusta causa, ovvero sia per i licenziamenti economici sia per quelli disciplinari, è previsto un risarcimento economico pari a due mensilità per ogni anno di servizio, con un minimo di quattro e un massimo di 24 mensilità. Nel caso di licenziamenti disciplinari (giustificato motivo soggettivo o giusta causa) resta il reintegro se in giudizio si dimostra l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore. Un’altra novità relativa al tempo indeterminato è contenuta nella Legge di Stabilità, e prevede per le assunzioni 2015 una decontribuzione per tre anni, al 100% fino a 8.060 euro su base annua. L’obiettivo dichiarato dell’esecutivo è quello di rendere maggiormente conveniente per le aziende la stipula dei contratti a tempo indeterminato, rendendoli meno costosi ad esempio rispetto al tempo determinato. Sui contratti a tempo determinato il testo di riferimento (come per tutti gli altri contratti che seguono) è invece il decreto di Riforma Contratti, che è stato approvato dal Governo nel consiglio dei ministri dello scorso 20 febbraio e che ora deve percorrere l’iter dei decreti attuativi delle deleghe, quindi passare per il parere dalle commissioni parlamentari e dalla conferenza stato regioni (ci vogliono circa un paio di mesi). In pratica, viene confermato in toto l’impianto del Decreto Poletti 2014. Il contratto a tempo determinato è consentito per tre anni senza causale (36 mesi), non può riguardare più del 20% dell’organico aziendale a tempo indeterminato, tranne che nelle micro imprese fino a cinque dipendenti, che non hanno nessun paletto all’applicazione. Sono esenti dal limite del 20% anche le start up innovative, le assunzioni di lavoratori con almeno 55 anni, le sostituzioni di dipendenti assenti, le attività stagionali, i contratti per specifici spettacoli o programmi radiofonici e televisivi. Anche sull'apprendistato è confermato il Decreto Poletti del 2014. Restano quindi tutti i contratti di apprendistato già previsti (per la qualifica, il diploma e la specializzazione professionale; professionalizzante; di alta formazione e ricerca). La durata minima è di sei mesi, alla scadenza le parti possono recedere (previo preavviso), oppure il contratto diventa a tempo indeterminato. Ci sono regole precise per la formazione durante l’apprendistato. Destinate a sparire invece le collaborazioni a progetto, anche se sono previste una serie di eccezioni. I contratti in essere possono proseguire fino a scadenza, solo per questo 2015. A partire dal 2016, invece, vanno trasformati. Scatterà il tempo indeterminato se la prestazione è continuativa, di contenuto ripetitivo, con modalità di esecuzione organizzate dal committente anche con riferimento a tempi e luogo di lavoro. Potranno invece sopravvivere i contratti a progetto nel caso in cui ci siano specifici accordi con i sindacati, oltre che per i professionisti iscritti agli ordini, e i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni. Tutto questo vale per il privati, nella PA è tutto rinviato al 2017. Infine, i datori di lavoro che trasformano da subito a tempo indeterminato collaboratori a progetto o consulenze a Partita IVA, estinguono automaticamente le violazioni in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso (a meno che non siano state già accertate). Restano tutte le possibilità attualmente previste di part-time orizzontale (riduzione orario giornaliero), verticale (riduzione settimanale o mensile) o misto, ma vengono introdotti nuovi paletti per il lavoro supplementare o straordinario. Il primo, possibile solo per il part-time orizzontale, nel caso in cui non ci siano paletti specifici nei contratti nazionali, è consentito solo fino al 15% dell’orario settimanale pattuito. Il lavoro straordinario, applicabile al part-time verticale o misto, sempre nel caso in cui non ci siano disposizioni nei contratti collettivi, è consentito fino al limite del 25% dell’orario concordato. In entrambi i casi, la retribuzione deve prevedere una percentuale di maggiorazione sulla retribuzione oraria globale pari al 15%. Altre novità riguardano la trasformazione del rapporto: introdotta una nuova possibilità di part-time alternativo al congedo parentale che prosegue per tutta la durata del congedo (quindi sei mesi a testa per ogni genitore per un massimo di 10 o 11 mesi), e che poi torna automaticamente a tempo pieno. Previsto poi il diritto al part-time in alcuni casi gravi di malattia, e c’è diritto di precedenza nella trasformazione del contratto per alcune esigenze di cure parentali. Viene invece eliminato il contratto di associazione in partecipazione che prevede anche una prestazione di lavoro: i contratti in essere proseguono fino a scadenza, non se ne possono stipulare di nuovi. Nessuna per il contratto a lavoro intermittente, resta sempre possibile per i lavoratori con più di 55 anni o con meno di 24 anni di età, è ammesso per un massimo di 400 giornate lavorative in tre anni. Nuove regole estensive invece per il cosiddetto lavoro accessorio, rispetto alla precedente normativa. L’utilizzo dei voucher lavoro viene ampliato a tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali, nel limite di 3mila euro di corrispettivo annuo. In generale, il limite annuo della somma dei committenti è pari a 7mila euro, mentre ogni singolo committente non può superare i 2mila.