RICORDO BORSELLINO: CORAGGIO, DEDIZIONE E TENACIA

“Ricordare Paolo Borsellino vuol dire far memoria di come egli visse, interpretò e svolse il suo ruolo di magistrato, costantemente impegnato nella sua terra d'origine per l'affermazione della legalità, con rigore e con determinazione, sempre con noncuranza riguardo alla visibilità per l'attività svolta”. Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che oggi ha presieduto il Plenum del Consiglio Superiore della Magistratura dedicato al ricordo di Paolo Borsellino a 25 anni dalla strage di Via d'Amelio. All'ordine del giorno la delibera della Sesta Commissione, relatori i Consiglieri Ercole Aprile e Antonio Ardituro, che autorizza la pubblicazione di tutti gli atti e i documenti relativi al percorso professionale del giudice Borsellino, dal suo ingresso in magistratura, nel 1963, fino alla tragica morte del 19 luglio 1992, quando vennero uccisi anche 5 agenti della sua scorta. L'Assemblea Plenaria è stata aperta dall'intervento del Capo dello Stato che ha ricordato la figura del giudice Borsellino.
“Nel suo percorso professionale Paolo Borsellino, sin dall'inizio, dall'ingresso in Magistratura nel 1964, ha messo in evidenza grandi qualità professionali e altrettanto grande sensibilità umana”, ha proseguito Mattarella, che ha poi citato l’incontro “fondamentale” con Chinnici e “l'enorme lavoro dedicato all'istruzione formale del complesso procedimento che culmina nel "maxi-processo" che assorbe e caratterizza tutta la vita di Borsellino in quegli anni. Insieme a Giovanni Falcone e ad altri valorosi colleghi vengono sperimentati, con successo, metodi investigativi nuovi e più efficaci, attraverso la condivisione delle informazioni tra i magistrati e con maggiore attenzione verso il potere economico delle cosche, il settore degli appalti e quello dei movimenti bancari”.
Il metodo di lavoro, ha ricordato ancora Mattarella, “era per Borsellino un patrimonio prezioso perché basato sulla collaborazione fra un gruppo di colleghi affiatati, in grado di condividere conoscenze e prassi attraverso una costante e reciproca verifica degli orientamenti, al fine di arrivare all'adozione congiunta dei provvedimenti più rilevanti.
Questo patrimonio di esperienze si è poi tradotto in prassi diffuse e in nuove normative che hanno consentito di far assumere alla lotta alla mafia i connotati della concretezza, incisività ed efficacia, oggi riconosciuti in tutto il mondo. Ma è bene ricordare che negli anni '80 questo metodo rappresentava l'innovazione più significativa nell'esperienza giudiziaria, cui occorre ancora guardare per trarre spunto e ispirazione nella direzione di un impegno unitario dell'azione giudiziaria”.
“Nell'attività professionale di Paolo Borsellino – ha osservato il Presidente – colpisce non soltanto l'altissimo livello di professionalità, ma anche il suo spirito di abnegazione, che si rinviene nel suo modo di "vivere" il ruolo di magistrato. Il percorso professionale di Borsellino è lo specchio del suo modo di essere. La naturale disposizione ad ascoltare, fondata su un reale rispetto dell'interlocutore, l'innata inclinazione a motivare i suoi collaboratori, l'indiscussa capacità di consigliare, il rigore morale sono qualità che, prima ancora di caratterizzare il suo impegno professionale, ne hanno distinto il profilo umano”.
Borsellino “non si è mai arreso, non ha mai rinunciato a sviluppare il suo progetto di legalità, anche quando era diventato ormai consapevole di essere vittima predestinata della mafia. Come disse ad un giornalista, sapeva di camminare "con la morte attaccata alla suola delle scarpe". Paolo Borsellino ha combattuto la mafia con la determinazione di chi sa che la mafia non è un male ineluttabile ma un fenomeno criminale che può essere sconfitto. Sapeva bene che, per il raggiungimento di questo obiettivo, non è sufficiente la repressione penale ma è indispensabile diffondere, particolarmente tra i giovani, la cultura della legalità”.
“Proprio per questo – ha ricordato Mattarella – era impegnato molto anche nel dialogo con i giovani, convinto che la testimonianza di valori positivi promuove una società sana e virtuosa, in grado di emarginare la criminalità. Il 19 luglio di venticinque anni fa, alle cinque del mattino, stava proprio scrivendo la risposta a una lettera inviatagli dalla preside di un liceo di Verona. La missiva è rimasta incompiuta ma costituisce una testimonianza di grande forza dell'importanza della formazione delle nuove generazioni”.
“La sua tragica morte, insieme a coloro che lo scortavano con affetto, deve ancora avere una definitiva parola di giustizia. Troppe – ha osservato con amarezza il Capo dello Stato – sono state le incertezze e gli errori che hanno accompagnato il cammino nella ricerca della verità sulla strage di Via D'Amelio, e ancora tanti sono gli interrogativi sul percorso per assicurare la giusta condanna ai responsabili di quel delitto efferato. Oggi ricordiamo Paolo Borsellino non perché è stato assassinato ma perché ha vissuto in maniera autentica il suo servizio allo Stato, con coraggio, con dedizione e con tenacia, facendo della mitezza d'animo uno dei suoi punti di forza”.
“A lui – ha concluso – il Paese è riconoscente per la testimonianza che ha reso, per il sacrificio a cui è stato sottoposto e, con lui, la sua famiglia, per il grande senso di umanità, di giustizia, di speranza che ha permeato tutta la sua esistenza, dedicata, con efficacia straordinaria, all'obiettivo che la Sicilia e l'Italia fossero liberate dalla mafia”.