Renzi “ondivago” in direzione Pd, parla di campanelli d’allarme, cerca il dialogo ma attacca la minoranza

Certo i toni di Renzi sono i soliti, duri e di guasconesca sfida, apparentemente senza arretramenti. Eppure nel suo discorso qualche cicatrice non rimarginata dopo le recenti regionali era percepibile. Forse la consapevolezza che quel quasi 41 per cento di consenso elettorale delle europee è ormai acqua passata, forse la consapevolezza di non aver in mano il partito nei territori. Insomma l'incrollabile fiducia in se stesso sembra aver patito dei cedimenti, delle leggere incrinature, quasi impercettibili, ma che come quelle che si determinano nelle carlinghe degli aerei, una volta in quota e nello stress del potere, potrebbero provocare una implosione, una decompressone esplosiva disastrosa. Non solo la perdita di qualche pezzetto d'ala sinistra, ma un possibile disastro assoluto. Renzi che è uomo intelligente almeno quanto arrogante, il pensierino a mettere in campo qualche rimedio, qualche pezza riparatrice, ha cercato di attualo. Così si possono leggere le aperture sul tema scuola e riforma del Senato, ma nulla invece e questo non è piaciuto alla minoranza Pd, sul suo personale modo di stare ed essere nel partito. Il segretario Dem ha lanciato il suo affondo, si è tolto quel sassolino grande come uno scoglio che da settimane gli dava fastidio: “non accetto lezioni di unità da parte di chi non ha votato la fiducia” ha tuonato, parlando poi di un Pd che deve “smettere di guardarsi l’ombelico e che decida di darsi delle regole, perché non è possibile che ciascuno decida cosa votare in Parlamento come fosse un menù alla carta”.
Ma la sua posizione è apparsa meno sicura e non solo perchè durante l’intervento in Direzione i suoi toni sono più morbidi sulle riforme, Renzi ha innegabilmente accusato i colpi inferti dall'elettorato, soprattutto da chi non ha votato. Non ha fatto spallucce questa volta che doveva essere lui a “farsene una ragione”. Insomma anche se rivendica come positivi i risultati delle regionali non nasconde i “campanelli di allarme” suonati da questo voto e prova a ricompattare le fila del suo partito uscendo dalle lotte intestine. Una chiamata alle armi contro le tre opposizioni insidiose che vede all'orizzonte: quella della destra monopolizzatrice a trazione leghista, quella di Grillo e infine quella della coalizione sociale di Landini che cerca di demonizzare sminuendola ma sulla quale nutre evidentemente le maggiori preoccupazioni in chiave di tenuta del Partito tanto da arrivare a legittimarla con un: “che verrà sconfitta ma che esiste”, insomma lascia aperta una porticina al dialogo anche se il suo Italicum non prevede le coalizioni. Sulle tematiche delle riforme invece si è detto pronto a discutere e non solo ad ascoltare. "Non ho problemi sui numeri, ha detto, posso fare la riforma della scuola anche domattina, anche spaccando il Pd, ma lo riterrei un errore politico". Poi però dopo aver gonfiato i muscoli arriva l'attesa autocritica che conoscendo la sua personalità deve essergli costata molto: "Sulla scuola non abbiamo coinvolto abbastanza i protagonisti, prendiamoci più tempo perchè è un bene supremo per l'Italia". "La riforma della scuola la facciamo per i ragazzi, non come ammortizzatore sociale", ha spiegato il premier. "Non accetto l'idea che stiamo distruggendo la scuola, quando siamo quelli che hanno messo più risorse di tutti", ha rivendicato. Meno conciliante invece la posizione dialogante sull'altra riforma, quella del Senato che può essere migliorata, ha detto Renzi, ma senza trasformare il Senato in organismo che si riunisce ogni settimana. Deve assomigliare a quello tedesco, il che vuol, dire che il premier mantiene il punto fermo, non deve essere elettivo ma pescare nelle Regioni che, non bisogna dimenticarlo, sono 17 su 20 in mano al Pd .
Insomma Matteo Renzi va avanti per la sua strada, cerca qualche mediazione, ma brandisce comunque la solita  sfida alla minoranza del Pd: "Chi vuole fermare tutto può togliere la fiducia in Parlamento e in direzione Pd, ma fintanto che questo non succede noi saremo in prima linea per cambiare l'Italia fino al 2018".