Rapito per otto mesi da jihadisti libici, tornato a casa ora per Gianluca Salviato c’è lo spettro della disoccupazione

Solo due mesi da quando è tornato libero Gianluca Salviato, il tecnico italiano rapito in Libia il 22 marzo scorso, rimasto per quasi otto mesi nelle mani dei jihadisti. E sono bastati due mesi per convicere la sua azienda che lui non era più necessario. Dopo il suo ritorno a casa Salviato ha scoperto che l’azienda per cui lavorava, la friulana “Enrico Ravanelli”, aveva deciso di abbandonare il cantiere libico, anche sulla scia della sua vicenda. E dunque lui e gli altri 14 colleghi sono in predicato di licenziamento. L’azienda li aveva già messi tutti in cassa integrazione già nel giugno dello scorso anno, quando Salviato era ancora nelle mani dei suoi aguzzini. Inizialmente il periodo doveva di cig doveva cessare al 31 dicembre, poi però la situazione non si è più rimessa in sesto, la Libia resta un paese pericoloso e l’azienda ha prorogato il provvedimento fino al 31 gennaio, solo grazie a un accordo con il sindacato. Ma un recente incontro fra sindacati e vertici aziendali spinge tutti al pessimismo. L’ipotesi più probabile è che dal prossimo 1 febbraio i 15, tra cui appunto Salviato, restino a casa definitivamente. Licenziati in tronco. La Ravanelli, oltre al cantiere in Libia, ha solo un altro lavoro in Italia e non è in grado di assorbire la manodopera che operava all'estero. Salviato, per ora, cerca di non farne un dramma, anche se l’amarezza trapela dalle sue parole. «Non è certo una cosa che faccia piacere, anche perché dopo quello che mi è successo mi aspettavo qualcosa di diverso dalla cassa integrazione - ammette - Ci siamo rimasti tutti male dopo l’incontro di giovedì, anche perché abbiamo dato parecchio all’azienda, tutti abbiamo lavorato con grande professionalità in mezzo a mille difficoltà. Cosa farò? Andrò in disoccupazione ma non resterò certo con le mani in mano. Mi cercherò un altro lavoro come ho sempre fatto nella mia vita».