Proverbi in estinzione, sintomo del tempo malato

20140415_oancaCamminando lungo una strada, osservavo il passare veloce delle persone: in auto, in moto, perfino in aereo. Passaggi con la 24 ore e l’I-Pad.
Tutto sembra correre a una tale velocità, da non poter più percepire la portata dell’esistenza.
Nel mondo in cui viviamo, ad esempio, non s'inventano più detti da tramandare alla storia: “luna rossa promette vento”, “ricci di mare e granchi son pieni a luna tonda”; e questo perché, tramontata la civiltà contadina e subentrata quella spesso demenziale del consumo e della tecnologia, non c'è il tempo per l'osservazione.
Nel tempo dove viviamo, non c'è più il tempo per l'esperienza. E la sola possibile, è passiva davanti ai monitor.
A un certo punto sono scesa lungo un viottolo tra fiume e mare, verso un porto canale immerso nel bosco. A terra la roccia bianca, poi improvviso un canneto e il vento a dondolarlo. E si muovevano gli alberi delle barche e i gozzi, e il vento era gelido. Chiudendo gli occhi potevo essere in montagna, in mezzo a una mandria di mucche con i loro glon glon. Ma poi li ho aperti sul mare, all'improvviso. Un abbaglio. Bricole in controluce e gabbiani. E le golette sempre a sbattere, ricordandomi una desolata stagione. Mi sono sentita felice e ricca per quello scorrere lento dei minuti. Per il privilegio di quel tempo.
Quella mattina, mentre al bar sorseggiavo la quotidiana dose di caffeina, avevo ascoltato la conversazione di due anziani. Avevano l’aria d'essersi alzati almeno quattro ore prima di me. Insomma, “razza dura dell’alba” che lavora sodo. Imprecavano contro Renzi, il governo, le tasse e la viabilità poi, come sempre accade quando si finiscono gli argomenti capitali, la loro conversazione era scivolata sul tempo. Ed ecco che il più tarchiatello se ne era uscito con una previsione che mi ha lasciata senza fiato per bellezza e poesia: «Quando il tempo muta, la bestia starnuta».
E' deciso, allora: considero la perdita dei proverbi, un segnale pericolosissimo per la nostra specie, un po’ come la moria delle api. Non ne siamo più all’altezza, perché non sappiamo più dare tempo al nostro tempo, non sappiamo più osservare né ascoltare. Il nostro tempo, in definitiva, non lo sappiamo più pensare. Inoltre, abbiamo smarrito una delle virtù che, da sola, vale cento biblioteche: l'attesa.
Insomma, nell'epoca dove viviamo, davvero non c'è più il tempo per l'Esperienza.
Commenti sempre più superficiali, argomentazioni di basso cabotaggio, ritmi frenetici, appuntamenti compulsivi, etica sbriciolata in cipria, valori sovradimensionati col silicone, o venduti incelofanati sugli scaffali degli outlet; e poi rumore dappertutto, a partire dalle grida sguaiate e volgari dei talk-show a quelle disperate di chi non sa più in cosa credere e cosa dire; o di chi crede di sapere tutto. Ma come possiamo, a queste condizioni, tornare a essere uomini coltivati e non colti? Come possiamo tornare a essere creatori di proverbi, recuperando il talento di riconoscere, in ogni cosa che ci circonda, l'evento epifanico?
Forse, per cominciare, potremmo imparare a restare in silenzio, perché in una cultura consumistica dove non può esistere minaccia peggiore di un uomo pensante, ci stanno negando il tempo per la riflessione e il discernimento. Velocità e rumore, dunque, sono al servizio di un sistema deviato e deviante che ci tiene in ostaggio e sempre più lontani dalla capacità di pensare; sempre più lontani da quel silenzio/tempo senza il quale non possiamo fare esperienza della vita né accedere al livello dell'umano. Perché osservazione, ascolto e attesa, sono una condizione sine qua non per sviluppare intelletto, idea creativa, comprensione e originalità. Senza tutto questo, non sapremmo mai attraversare il nostro tempo, ma soltanto superarlo, sperperando così, il privilegio dell’esistere.