PARTITA DOPPIA ITALIANA CON LA LIBIA E L’EGITTO

Son poche le guerre dopo le quali gli alleati di oggi non diventino i nemici di domani, a conflitto finito. L'esempio più clamoroso è quello del 1946 quando, dopo la vittoria comune sul nazismo di Usa e Urss, il Cremlino eresse la 'cortina di ferro' e avviò la 'guerra fredda' contro l'Occidente. E' il rischio che corre l'Italia nella partita doppia che è costretta a giocare con Libia ed Egitto se vuole riportare un po' di ordine nella sua ex colonia e nel contempo limitare la portata dell'esodo dei migranti.

Da una parte, nella Tripolitania che circonda la capitale Tripoli, l'Onu ha insediato un Governo di pacificazione nazionale guidato da Fayez al Serraj, riconosciuto dall'Occidente (e quindi anche da noi), oltre che dai Fratelli musulmani 'moderati' che erano prima al potere, nonché da alcune della miriade di bande armate che scorazzano nel Paese che fu di Gheddafi.
Dall'altra parte, nella Cirenaica vicina all'Egitto, c'è invece un Governo, quello di Tobruk, che fino all'arrivo di al Serraj era riconosciuto dalla comunità internazionale (ma non da Tripoli) che adesso non accetta di unirsi con l'altro. In sostanza si sono rovesciate le carte in tavola e la pacificazione resta lontana.
A orchestrare il 'no' a un accordo è la sempiterna 'anima nera' della Libia, il generale Khalifa Haftar, 73 anni, stretto alleato con un altro generale, il golpista Presidente egiziano al Sisi. La storia della sua vita contorta cominciò a fianco di Gheddafi, quando nel 1969 lo aiutò a detronizzare re Idris. Abbandonò il colonnello nel 1987 dopo la catastrofica operazione nel Ciad. Fu arrestato, ma evase formando un drappello di oltre duemila detenuti. Condannato a morte, ma fuggì di nuovo e ottenne asilo negli States. Divenne cittadino Usa e tornò in Libia nel 2011 dopo l'uccisione di Gheddafi.
Gli americani non si fidarono tanto di lui, che in compenso si legò al Presidente egiziano. Divenne l'uomo forte del regìme di Tobruk. Ora le sue milizie, sostenute da quelle di al Sisi, puntano su Sirte, città natale di Gheddafi e caposaldo dei fanatici dell'Isis che ne han fatto l'avamposto della loro penetrazione in Libia puntando sui vicini pozzi di petrolio.
E' lo stesso obiettivo che si propongono i militari di Tripoli ed è fatale che le due forze entreranno prima o poi in rotta di collisione. L'Italia corre quindi un grosso pericolo dati i suoi interessi economici, i legami storici con l'ex colonia e la vicinanza con le nostre coste. Un aggravante di questa partita doppia è la presenza contro gli uomini del Califfato delle truppe di al Sisi, nei cui confronti la controversia sulla tragica fine del ricercatore friulano Giulio Regeni è tutt'altro che conclusa.

AUGUSTO DELL’ANGELO

Augusto.dell@alice.it