Nuova battuta d’arresto per il Pd. Venezia passa al centrodestra. Gli eletti ai ballottaggi sono rappresentativi?

luigi_brugnaro_veneziaIl pessimo risultato del centrosinistra ai ballottaggi delle elezioni comunali con Venezia, Arezzo e Matera che passano al centrodestra, dovrebbe far ragionare molto il Pd. La battuta d'arresto non è certo compensata dalla riconquista di Trani e Mantova. E' innegabile che è la perdita di Venezia la situazione che brucia di più, anche se puerilmente, si cerca di addossare la colpa all'incolpevole candidato Felice Casson, reo secondo alcuni commentatori molto renziani, di essere della minoranza Pd. Insomma secondo questa tesi Venezia è stata persa non per colpa degli scandali del passato o di quelli di Roma Capitale in effetto risonanza o sulle questioni immigrazione, scuola e mercato del lavoro. Pesa fra l'altro molto una legge elettorale che attraverso la pratica del ballottaggio riduce di fatto la rappresentività dell'eletto che, pur vittorioso, spesso ha preso meno voti di quanti aveva preso il suo avversario al primo turno. Del resto proprio a Venezia il ballottaggio non ha portato bene al candidato vittorioso al primo turno tre volte su quattro, dimostrando che il sistema elettorale dei due turni, che tra l'altro è previsto per le politiche dall'Italicum, non garantisce effettivamente che la vittoria vada a chi ha più voti. Insomma si ribalta il concetto, vince chi ne perde meno, un elemento di involuzione democratica che mette davvero a rischio le istituzioni. In passato la storia della città lagunare racconta che gli elettori veneziani crollano di numero tra il primo e il secondo turno delle elezioni amministrative, anche se si tratta di scegliere il proprio sindaco: una flessione del 18-20 per cento che ha caratterizzato le due precedenti elezioni giunte al secondo turno (nel 2010, Giorgio Orsoni vinse direttamente al primo). Così nel 2000, i votanti furono il 71,9 per cento al primo turno (sui 246.962 aventi diritto), ma solo il 50,4 per cento tornò alle urne per decretare al ballottaggio la vittoria di Paolo Costa (55,96%) su Renato Brunetta (che al primo turno era uscito vincitore con il 38,9%, 1,3 punti di vantaggio sullo sfidante).
Nel 2005 la storia si ripetè, anche per il rovesciamento di fronte: al primo turno si recarono alle urne il 72 per cento degli elettori, ma quando si trattò di scegliere tra Massimo Cacciari e Felice Casson tornarono a votare solo il 55,67 per cento degli elettori. Vinse Cacciari con il 50,5 delle preferenze, rovesciando i risultati del primo turno, quando Casson era in vantaggio con il 37,7 per cento dei voti contro il 23,2 del futuro sindaco. Oggi lo scarto tra i due contendenti non è stato enorme: 53% a 47%, ma è la certificazione che a Casson non è bastato il pur netto vantaggio del primo turno (38% a 28%), visto che su Brugnaro si sono riversati i voti dei vari candidati di centrodestra, quello leghista in primis, mentre i Grillini che non avevano dato indicazioni di voto nonostante Casson fosse per il suo passato di legalità personaggio politico gradito, hanno ingrossato la schiera delle astensioni. Astensioni che che sono stai largamente la maggioranza, al ballottaggio a Venezia hanno complessivamente votato 103.782 elettori su 211.720 iscritti, pari 49,01%. Al primo turno aveva votato il 59,81% degli aventi diritto. Ma il centrosinistra a sorpresa è stato battuto anche ad Arezzo, città del Ministro Maria Elena Boschi, dove Matteo Bracciali (Pd e civiche) dopo un lungo testa a testa ha ceduto al suo sfidante Alessandro Ghinelli per circa 600 voti. Arezzo era una roccaforte storico della sinistra, con il sindaco 'rosso' eletto al primo turno nelle ultime due tornate. Dal punto di vista generale si è ripetuto quanto avvenuto alle regionali, il Pd è in flessione, i grillini si dimostrano efficienti solo nel non determinare le vittorie, ma le sconfitte. Anche il centrodestra pur ricompattato non può cantare vittoria, anche se in ossequio al detto "chi si contenta gode"  lo farà.  l'unico dato politico è quello delle astensioni, che non possiamo nasconderlo è il più pericoloso per la democrazia, perchè c'è il rischio che a furia di far “spallucce” e sottovalutare il fenomeno si vada ad una forma di democrazia ridotta dove la rappresentatività degli eletti venga alla fine riconosciuta solo da una sorta di elite con le conseguenze che si possono avere nel caso in cui la massa dei non affezionati al voto trovi un catalizzatore, un uomo “forte”. Il passato ci dice che da situazioni del genere nascono disastri e dittature, speriamo che la storia non si ripeta, anche se il miglior viatico sarebbe l'allargamento della platea democratica, della partecipazione e non il suo restringimento anche se il “piccolo”, ai piccoli leader politici pare più facile da controllare.